2019-04-29
Persino gli africani adesso implorano: «Smettetela di darci denaro a pioggia»
Gli stanziamenti occidentali spesso prolungano le dittature, sono un incentivo ai conflitti e non producono crescita del Pil.Noi vogliamo aiutare l'Africa, ma l'Africa deve e vuole essere aiutata? E se sì, come? Con stanziamenti «a pioggia» e a fondo perduto, come ha fatto in genere l'Occidente per levarsi un peso dalla coscienza? Oppure con accordi di partenariato, che la Cina sta usando come cavallo di Troia per estendere ulteriormente la sua influenza sul Continente nero?Domande di stretta attualità, già contenute però in una ricerca che, alcuni anni fa, scosse l'ambiente della cooperazione internazionale.Titolo: La carità che uccide. Come gli aiuti occidentali stanno devastando il Terzo mondo (Rizzoli, 2010), autrice Dambisa Moyo, nata a Lusaka, nello Zambia. L'economista - con studi a Oxford e Harvard nel curriculum - tirò una sassata nello stagno del politicamente corretto, che le valse l'inserimento da parte di Time nella classifica delle 100 personalità più influenti dell'epoca, partendo da un banale assunto: com'è che a a fronte degli oltre mille miliardi di dollari elargiti alle principali economie africane a partire dagli anni Cinquanta, non ha corrisposto uno stabile ed equo sviluppo economico, e i quattro cavalieri dell'apocalisse dell'Africa, corruzione, malattia, povertà e guerra, hanno continuato a imperversare?Moyo lasciava le risposte ai diretti interessati. Ecco per esempio il presidente del Ruanda Paul Kagame: «Dopo aver speso centinaia di miliardi di dollari in aiuti per l'Africa, ai donatori e partner occidentali si pone la domanda: cos'è cambiato, dov'è la differenza? È evidente che qualcuno non sta facendo la cosa giusta, altrimenti i risultati sarebbero diversi». SOCCORSI INUTILIFaceva eco il presidente del Senegal Abdoulaye Wade: «Non ho mai visto un Paese svilupparsi grazie agli aiuti o al credito. Dopo aver conquistato l'indipendenza, molti Stati africani hanno imboccato la strada sbagliata».Non solo: gli aiuti internazionali hanno spesso allungato la permanenza al potere dei dittatori. Moyo cita il caso di Robert Mugabe in Zimbabwe, ma anche di Mobutu Sese Seko in Congo, che era riuscito a impossessarsi di 5 miliardi di dollari, somma pari all'intero debito estero del suo Paese, uguale a quella depositata in alcune banche svizzere dal presidente della Nigeria Sani Abacha. Ed è notizia di poche settimane fa, la caduta causa colpo di stato militare - dopo 30 anni al potere in Sudan - di Omar Al Bashir, accusato in passato di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità nel Darfur, ai danni della popolazione non afro-araba (400.000 vittime).Il modello di sviluppo basato sulle sovvenzioni assistenzialistiche, insomma, non genera crescita economica, anzi: basti rilevare che nel 1980 il reddito pro capite di Malawi, Burundi e Burkina Faso era superiore a quello della Cina. Cina che peraltro in Africa si è mossa con una strategia mirata: prima sul piano economico, non con donazioni ma in partnership, adesso con il supporto ai golpisti in Sudan, dopo quello offerto in Zimbabwe nel novembre 2017 (i blindati di fabbricazione cinese nel centro di Harare, la capitale, sono stati ampiamente fotografati). Moyo si chiedeva polemicamente: «Cosa succederebbe se i paesi africani ricevessero una telefonata o un'email in cui i maggiori donatori annunciano che entro 5 anni i rubinetti degli aiuti saranno chiusi per sempre, fatti salvi i soccorsi straordinari per carestie o disastri naturali?». Per poi rispondersi da sola: «Un numero maggiore di africani morirebbe di povertà e di fame? Probabilmente no: le vittime della povertà in Africa non sono toccate comunque dal flusso degli aiuti. Ci sarebbero più guerre? È dubbio: senza aiuti internazionali, cioè senza soldi, si toglie un grosso incentivo ai conflitti. Si smetterebbe di costruire strade, scuole, ospedali? Improbabile».La sentenza finale di Moyo era senza appello: «Chi sta meglio è indotto a sottoscrivere il concetto che donare elemosine ai poveri è giusto, ci viene fatto credere che ciò sia doveroso, e la cultura pop ha rafforzato questa idea sbagliata, gli aiuti sono diventati un format dell'industria di intrattenimento, da Bob Geldof a Bono Vox degli U2, via We are the world». Per dirla con le parole di David Kennedy, professore di diritto ad Harvard e autore de The dark sides of virtue (I lati oscuri della virtù), «l'umanitarismo ci fa diventare arroganti, ci fa idealizzare le nostre intenzioni e i nostri comportamenti». E LA CROCE ROSSA?Si potrebbe obiettare: evidenziare i limiti dei nostri interventi in Africa è come sparare sulla Croce Rossa.Solo che perfino su quest'ultima c'è chi ha «sparato» virtualmente davvero, non reputandola esente da colpe. «Non è detto che ciò che ha un'immagine universalmente riconosciuta come positiva sia necessariamente buono ad ogni costo», ha spiegato il giornalista e regista Alberto Puliafito che ha messo il titolo di Kennedy in calce alla sua inchiesta proprio sulla Croce Rossa (Aliberti, 2011). «Kennedy ha illuminato il grande equivoco degli aiuti umanitari, che troppo spesso si trasformano in business e interesse di chi aiuta, invece di perseguire l'interesse di chi beneficia dell'aiuto».L'analisi di Puliafito è successiva a quelle già citate di Philip Gourevitch Il lato oscuro degli aiuti, che conteneva riferimenti alla Croce Rossa tutt'altro che benevoli, e di Giovanni Moro nel suo libro Contro il non-profit. Ha scritto Moro: «Per inciso, la Croce Rossa - questa nobile istituzione di cui peraltro è in corso una rilettura critica in relazione al suo paradossale contributo al prolungamento delle guerre e delle sofferenze per i civili - almeno nel caso dell'Italia sinceramente non ha molte ragioni per essere difesa». Amen.