2025-11-23
Garofani è protetto, altrove si dimettono
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Il consigliere di Mattarella può tramare contro Meloni e conservare il suo incarico. Invece il portavoce del ministro lascia per il sostegno al centrodestra in Campania.Piero Tatafiore si è dimesso. Il portavoce del ministro della Cultura ha lasciato per aver inviato, dal suo account ufficiale, un link riguardante la partecipazione di Alessandro Giuli a un’iniziativa politica per le elezioni in Campania. Appena la mail è arrivata ai giornalisti, il Pd ha sollevato la questione, accusando Tatafiore e di conseguenza il suo capo di fare campagna elettorale per il candidato di centrodestra a spese della collettività. Nonostante l’accusa fosse evidentemente falsa, il portavoce credo non abbia impiegato nemmeno un minuto a decidere di fare un passo indietro. E infatti, già nella serata di ieri, sul tavolo del ministro c’era la sua lettera di dimissioni. Credo che una qualsiasi persona onesta colga la differenza fra il comportamento di Tatafiore e quella di Francesco Saverio Garofani.Il primo, pur essendo un funzionario ministeriale, era al servizio di un esponente politico, dunque espressione di una parte. Portavoce di un ministro dichiaratamente di destra, in un governo di centrodestra. Che dal suo ufficio, oltre a parlare delle iniziative culturali patrocinate da Giuli, possa aver comunicato anche le partecipazioni del ministro a eventi legati ad appuntamenti elettorali al fianco di candidati di centrodestra non stupisce nessuno. Da tempo presidenti del Consiglio e responsabili dei diversi dicasteri fanno campagna elettorale (il primo fu Massimo D’Alema, quando da premier fece un tour de force per sostenere i candidati alle regionali, pagando con le dimissioni la sonora sconfitta). Dunque, nessuno si dovrebbe stupire che Giuli faccia il tifo per Cirielli. Né che il suo portavoce rilanci la partecipazione del ministro a un evento in vista del voto. Ma in un mondo di ipocriti, anche un errore veniale (l’utilizzo della mail ministeriale) può trasformarsi in un capo d’accusa. E dunque il portavoce ha preferito togliere dall’imbarazzo il suo capo. Chapeau.Tuttavia, il comportamento di Tatafiore stride se confrontato con quello di Francesco Saverio Garofani il quale, pur beccato a prefigurare strategie per battere l’attuale maggioranza di governo, se ne sta incollato alla sedia, difeso dal Quirinale e da una stampa che ha perduto qualsiasi dignità ed è pronta ad avallare ogni cosa. Garofani non è il consigliere di un organo politico come il ministero della Cultura, ma il segretario del Consiglio supremo di Difesa, ovvero di un organo costituzionale che è presieduto dal capo dello Stato e di cui fa parte mezzo governo, con il premier in prima fila. È evidente anche a uno stupido (ma non a Corrado Formigli, né a Michele Serra e nemmeno ad Aldo Grasso) che il rappresentante di un ente terzo, di un’istituzione di garanzia come il Quirinale, non può prendere parte attivamente al gioco politico. Invece Garofani, forse convinto di essere ancora un parlamentare del Pd, durante una cena si è lasciato andare a discorsi per sconfiggere l’attuale maggioranza alle prossime elezioni, augurandosi provvidenziali scossoni, coalizioni alternative a quella attuale di governo e immaginando modifiche alla legge elettorale. Un tipo così, una volta beccato con il sorcio in bocca, cioè con frasi imbarazzanti per chiunque svolga un ruolo istituzionale, avrebbe dovuto dimettersi già martedì, ovvero subito dopo la diffusione delle frasi pronunciate in un ristorante, senza alcun rispetto per il ruolo esercitato. Invece, al contrario di ciò che sarebbe normale, Garofani è rimasto al suo posto. La colpa di questa mancanza di sensibilità ovviamente non è sua, ma di tutti quelli che sono arrivati in suo soccorso. Non parlo degli uffici del Quirinale e nemmeno degli esponenti dell’opposizione, che hanno sollevato un muro a difesa del Colle (è la stessa parte politica che non esitò ad attaccare un galantuomo come Giovanni Leone e un combattente come Francesco Cossiga: per loro evidentemente il rispetto per la presidenza della Repubblica non esisteva). Parlo della stampa, che ancora una volta ha dimostrato di essere al servizio dei potenti e non della verità, difendendo l’indifendibile.Molti anni fa, quando al Quirinale c’era Sandro Pertini, il suo portavoce commise l’errore di affidare a un collaboratore un comunicato del presidente sulla vicenda che riguardava il figlio terrorista del ministro Carlo Donat- Cattin e il possibile favoreggiamento da parte del presidente del Consiglio. Antonio Ghirelli, capo ufficio stampa del Colle, pur di proteggere Pertini, che sbottando aveva chiesto le dimissioni di Francesco Cossiga, lasciò l’incarico assumendosi tutte le responsabilità. Ma erano altri tempi e soprattutto altri uomini. Per lo meno lassù sul Colle.
Alessandra Coppola ripercorre la scia di sangue della banda neonazi Ludwig: fanatismo, esoterismo, violenza e una rete oscura che il suo libro Il fuoco nero porta finalmente alla luce.