2024-11-21
Quando i fascisti visitavano l’Urss (e scrivevano cronache oneste)
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Nel riquadro la copertina del libro «Fascisti nel paese dei soviet» di Pier Luigi Bassignana (Getty Images)
Negli anni Venti, diversi italiani si trovarono a viaggiare in Unione sovietica. Nei loro resoconti emerge la critica verso il modello comunista, ma anche una sincera curiosità verso quel mondo.Regno d’Italia e Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, fascismo e comunismo: difficilmente si potrebbe pensare a un’antitesi più radicale. Eppure, i rapporti tra le camicie nere e il regime totalitario instaurato in Russia a partire dal 1917 furono molto più complessi di come possa sembrare. Basti pensare che, nel 1924, quello di Mussolini fu il secondo governo occidentale a riconoscere ufficialmente il governo bolscevico dopo la Gran Bretagna, firmando a Roma, il 7 febbraio del medesimo anno, l’accordo sul commercio e sulla navigazione tra i due Stati. Trattative che, peraltro, erano già state sostenute nel 1923 dalla Banca commerciale italiana.Un caso particolare è rappresentato da quanti – giornalisti, gerarchi, industriali – si recarono direttamente in loco, per vedere il socialismo reale nel suo principale (e allora unico) laboratorio. Ai resoconti di questi cronisti d’eccezione è dedicato un saggio di qualche anno fa, Fascisti nel paese dei soviet, di Pier Luigi Bassignana (Bollati Boringhieri). Un punto di vista, quello dei «cronisti» fascisti in Urss (cronisti veri o improvvisati) che va differenziato da altri, sempre interni al regime di Mussolini. Da una parte, infatti, c’era una pubblicistica piuttosto convenzionale, per lo più di matrice cattolica, che si attestava su un anticomunismo di maniera, recependo le rappresentazioni demoniache dell’Urss che già giravano negli altri Paesi europei; dall’altra, c’erano quei gruppi di fascisti eretici, come i corporativisti integrali o l’ambiente bottaiano di Critica fascista, che invece vedevano nell’Urss un esperimento strettamente imparentato con il fascismo, da cui si differenziava solo per qualche sfumatura, per modi e tempi, ma non nella sostanza. Frutto estremo di questa seconda tendenza erano opere come Il trionfo del fascismo nell'Urss, di Renzo Bertoni, che aveva in copertina una foto di Stalin in un saluto che poteva vaghissimamente ricordare un braccio teso alla fascista.I resoconti raccolti da Bassignana, tuttavia, si differenziavano da entrambi i punti di vista, non foss’altro che per il privilegio di raccontare una realtà vista dal vivo, sia pur attraverso la lente dell’occhiuto apparato del partito che non lasciava mai soli e del tutto autonomi i visitatori stranieri nell’Urss. Ebbene, i fascisti che si trovarono a visitare il Paese dei soviet riportarono una visione certamente critica, ma non demonizzante. Scrive l’autore: «Da un lato, infatti, la condanna ideologica del bolscevismo non ammetteva scappatoie assolutorie, dall'altro la frequentazione della realtà sovietica autorizzava giudizi più ponderati, consentiva di cogliere fermenti positivi anche in situazioni che, per come venivano descritte, apparivano quasi senza speranza. In questo senso si potrebbe affermare che la pubblicistica fascista sull'Unione sovietica fu forse più “obiettiva” di quella prodotta nello stesso periodo dei Paesi democratici dell'occidente».Insomma, i racconti di chi aveva visto il comunismo da vicino erano critici, ma non ideologici. Il resoconto avveniva per lo più «mantenendo nei confronti dei fatti narrati un certo distacco, una ricerca di oggettività asettica, che poteva suonare come uno sforzo di comprensione, lontana dagli eccessi laudatori o denigratori delle posizioni estreme».L’autore fa il paragone con l’altra grande potenza extra europea che in quegli anni si stava guadagnando il suo posto sulla scena globale: gli Stati Uniti d’America. Anche lo sguardo dei visitatori italiani, e più in generale, europei negli Usa era contraddittorio. Si ammirava nell’America la sua potenza industriale, la ricchezza che metteva in modo, gli operai con l’automobile e le villette a schiera, un sistema produttivo innovativo e all’avanguardia. Ma, dietro l’apparenza sfavillante, si faceva notare come la produzione fordista non curasse i dettagli e lasciasse poco spazio all’originalità del prodotto. In ogni caso, la crisi del 1929 diede il colpo finale al mito americano, dando agli italiani l’immagine di un mondo esangue e alla frutta, la cui ricchezza era, se non fittizia, quanto meno fragile, gonfiata. L’avvenire, si diceva, appartiene ai popoli giovani, a coloro che sanno sperimentare soluzioni nuove. I fascisti pensavano ovviamente a se stessi e al loro regime, ma in questo senso il comunismo sovietico rappresentava comunque un esperimento di cui tener conto, un tentativo di risposta alla crisi della civiltà. Tentativo sicuramente sbagliato e mai assimilabile in toto, ma comunque da giudicare senza lenti ideologiche preconcette.
Xi Jinping e Donald Trump (Ansa)