2025-10-12
«Mi sono messo contro la Squadretta e mi hanno cacciato dal comando di Pavia»
Il generale Ernesto Di Gregorio: «Cercai di tenere sotto controllo Pappalardo e gli altri, il mio trasferimento è stato un monito per molti».Per il militare le trascrizioni delle intercettazioni sono state fatte «in tutta fretta».Lo speciale contiene due articoli. Tre anni o poco più. Tanto è durata l’esperienza di Ernesto Di Gregorio, oggi sessantaduenne generale in pensione, sulla poltrona di comandante provinciale dei Carabinieri di Pavia (settembre 2011-gennaio 2015), ai tempi in cui sulle rive del Ticino dettavano legge il maggiore Maurizio Pappalardo e gli uomini della cosiddetta squadretta del procuratore aggiunto Mario Venditti, due uomini delle istituzioni attualmente accusati di corruzione per la gestione di diverse inchieste e per i rapporti considerati troppo leggeri con l’imprenditoria locale.Generale, ci può parlare del suo trasferimento anticipato da Pavia? «Premetto che io non ho mai consentito a nessuno, criminali o meno, di spadroneggiare e questo, forse, può spiegare molte cose. Prima del mio addio c’erano già state delle incomprensioni con la Procura, ma nulla di rilevante, poi nel 2014 fu arrestato un carabiniere di Pavia per una serie di reati, tra cui il furto di un hard disk, sequestrato durante delle perquisizioni all’Università di Pavia. Leggendo alcuni passaggi dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare a carico del carabiniere ebbi la netta impressione che i magistrati pensassero che vi fosse un diffuso clima di malaffare all’interno dei reparti dell’Arma...».Mi verrebbe da dire che non avevano tutti i torti… «Sì, ma, da quello che sta emergendo, credo che in Procura avrebbero dovuto guardare più vicino a loro e non verso quei carabinieri per cui mi ero speso risultati del tutto estranei».Prosegua… «Da comandante specificai che l’Arma era pronta a chiarire ogni cosa, che non c’era stato dolo e che non bisognava fare di tutta l’erba un fascio. Purtroppo l’incontro non si svolse in modo proprio pacifico e, a questo punto, il Comando generale ritenne, per mia tutela, di trasferirmi qualche mese prima del naturale avvicendamento in una sede di prestigio e a me gradita, senza alcun addebito disciplinare».Non ritiene che tra le cause del suo trasferimento anticipato possa esserci stato anche il suo rapporto non proprio idilliaco con l’allora luogotenente Pappalardo? Lei in Procura ha affermato di averlo messo alla porta considerandolo troppo «entrante», un termine che trovo efficacissimo… «Credo che tali soggetti mi remassero contro».Perché non le piaceva Pappalardo? «Non avevo bisogno di “facilitatori” e gli incontri conviviali che ho amato era quelli all’alba a base di caffè e pizza fredda dopo un’operazione e non certo di sera in ristoranti di lusso vestito da antico romano (come Venditti, ndr). Trovavo inutile che Pappalardo passasse gran parte del proprio tempo in Procura mentre i suoi compiti istituzionali erano altri, ovvero raccogliere e portarmi informazioni sulla situazione socio economica del territorio, informazioni che tuttavia non giungevano».E lei che cosa ha fatto? «Che cosa avrei potuto fare visto che l’allora maresciallo Pappalardo godeva di enorme prestigio presso la Procura ed erano i magistrati stessi a chiamarlo? Anche se non si capiva per fare cosa, poi…».Ricorda un episodio in particolare? «Un giorno il dottor Paolo Mazza (oggi indagato per corruzione e peculato, ndr), all’epoca sostituto procuratore a Pavia, mi disse che rischiavamo di perdere una persona di grandi capacità investigative e operative. Gli chiesi di chi stesse parlando e mi rispose che si riferiva a Pappalardo, il quale aveva chiesto di andare al Nucleo ispettorato del lavoro. Mi venne da sorridere».Molti carabinieri sentiti come testimoni hanno raccontato che aveva chiesto di andare al Nil a causa dei contrasti che aveva con lei… «Cercavo di monitorarlo e credo che lui lo sapesse: infatti, quando ero io il comandante provinciale, Pappalardo non girava certo in Porsche».Il maggiore e i suoi sodali possono aver contribuito al suo trasferimento? «Non ne ho la certezza, ma il fatto che fossero stati messi da parte e monitorati li aveva infastiditi e non poco a giudicare da quello che hanno testimoniato i loro colleghi. In ogni caso il mio trasferimento è stato certamente utilizzato come monito per molti».Sia più esplicito… «Questi signori, compreso qualcuno in Procura, si sono vantati di aver fatto “piazza pulita” di chi non gli andava bene e devono solo provare a negarlo. Pensi lei come si potesse sentire in soggezione un qualunque carabiniere o poliziotto di fronte a gente che si vantava di avere il potere di fare allontanare a proprio piacimento un colonnello e altri ufficiali. Mi pare ovvio che il mio allontanamento abbia contributo ad ingenerare un clima di “timore reverenziale” nei confronti di queste persone, un clima di sudditanza che ha portato ad un delirio di onnipotenza. Solo così si possono spiegare esternazioni come “il potere siamo noi”».Di questa soggezione le ha parlato qualcuno? «Più di un carabiniere all’epoca mi disse: “Ma se sono riusciti a fare trasferire lei, a me cosa potrebbe succedere?”».Dunque, il cosiddetto «Sistema Pavia» si fondava anche sulla paura? «Dopo avere letto ciò che sta emergendo, più che di un Sistema parlerei di uno squallido sistemino che si reggeva pure su metodi intimidatori. Solo l’arrivo di nuovi magistrati ha permesso di abbatterlo. Infatti, le indagini sul dottor Venditti, su Pappalardo e su tutti gli altri sono iniziate quando gli stessi sono andati in pensione o hanno lasciato Pavia» Il procuratore dell’epoca era Gustavo Cioppa. «Ricordo che quando ebbe un incidente in autostrada, col Questore andammo a trovarlo e in ospedale, al suo capezzale, trovammo Pappalardo».Torniamo alle prime «incomprensioni» con i pm... «I miei carabinieri effettuarono delle perquisizioni negli uffici dell’Università, nel corso delle quali Venditti mi disse che era il caso di andare a parlare col Rettore. Risposi che non mi sembrava opportuno perché qualcuno avrebbe potuto pensare che stessimo perquisendo il Rettorato o, peggio, che fossimo andati a “sistemare” le cose. Suggerii, invece, una semplice telefonata istituzionale al Rettore da parte del procuratore. Venditti, invece, decise di presentarsi In Rettorato».Le sue obiezioni sull’opportunità avevano anche altre motivazioni? «A dirla tutta mi sembrava di offrire gratuitamente il fianco a sterili maldicenze visti gli stretti rapporti tra l’ateneo e il Policlinico San Matteo, ma non lo dissi temendo che Venditti si potesse offendere».A che cosa si riferisce? «Al San Matteo lavorava e tutt’ ora lavora la compagna di Venditti, con un incarico apicale».Veniamo a Garlasco. Lei se ne è occupato proprio nel momento di più forte contrasto con Cioppa e Venditti. Era in corso il processo ad Alberto Stasi. «In quel periodo mi sono recato più volte presso la Procura generale di Milano dal magistrato che seguiva il processo d’Appello, che, se non ricordo male, era alle ultime battute. La dottoressa, di cui ho avuto modo di apprezzare la professionalità, si lamentò per la confusione che c’era in alcuni faldoni o l’incongruenza di alcuni atti e mi chiese di rimettere un po’ d’ordine. Io mi recai più volte a Vigevano e a Garlasco per sentire i carabinieri coinvolti e per consultare documenti. Diciamo, per usare un eufemismo, che uscii spesso da quegli incontri alquanto contrariato. In tutto c’erano tre diversi fascicoli e la mia impressione fu che fosse mancato un efficace coordinamento».Quale errore era stato commesso? «Il comandante provinciale non ha compiti di polizia giudiziaria, ma, per legge, ha la responsabilità del raccordo investigativo. Personalmente io avrei fatto una cosa molto semplice, da vecchia scuola: il giorno dopo il delitto avrei nominato un ufficiale responsabile dell’indagine e avrei messo un paio di marescialli a collazionare tutti gli atti. Non è un caso che, successivamente, il Comando generale, per evitare il ripetersi di casi del genere, abbia stabilito che, di fronte a un assassinio, debbano intervenire immediatamente non i reparti locali, ma le sezioni omicidi delle grandi città, meglio attrezzate».Ha conosciuto il vecchio comandante della stazione di Garlasco Francesco Marchetto? «Un giorno, mi pare nel 2012, mi recai in paese per spronare i militari ad andare avanti, ma a ogni cosa che dicevo mi si ribatteva quasi con timore “Ma Marchetto…”. A un certo punto entra il piantone e dice: “Fuori, in fondo alla strada, c’è Marchetto appostato”. Ma le sembra normale? Mandai il mio autista a verificare».Beh, il clima non era dei migliori… «Sono profondamente dispiaciuto per tutti i carabinieri della Provincia di Pavia, gente onesta e che si impegna, che prima hanno dovuto sopportare certa gente e ora vedono l’Arma, che rappresentano con onore, infangata da queste storie».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/contro-la-squadretta-2674177305.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="garlasco-spoto-trattenni-sempio-mentre-stavano-mettendo-la-cimice" data-post-id="2674177305" data-published-at="1760283189" data-use-pagination="False"> Garlasco, Spoto: «Trattenni Sempio mentre stavano mettendo la cimice» «Ricordo che dovevo far perdere tempo ad Andrea Sempio perché dovevamo fare l’installazione sulla vettura e siccome, ricordo ma non ne sono certo, che il tecnico della ditta aveva sbagliato strada, ci abbiamo messo diverso tempo e quindi mi sono dovuto trattenere con Sempio per evitare che uscisse e si accorgesse dell’intervento sull’auto». È la versione con la quale Giuseppe Spoto, il carabiniere dell’aliquota di Polizia giudiziaria perquisito (ma non indagato) lo scorso 26 settembre giustifica i tempi di una notifica a Sempio, che i pm ritengono sospetti. Stando alla versione del carabiniere si sarebbe trattato di un diversivo per non far scoprire l’installazione della cimice nell’auto di Sempio ai tempi dell’inchiesta coordinata dall’ex procuratore di Pavia Mario Venditti. L’indagine in cui viene sentito è quella di Brescia sull’ipotesi di corruzione di Venditti per archiviare la posizione di Sempio. Spoto è stato sentito anche sulle intercettazioni che, ipotizza l’inchiesta, sarebbero state trascritte solo parzialmente nel 2017. E ha spiegato: «Sicuramente facevo le intercettazioni nei ritagli di tempo rispetto alle mie mansioni principali». «Risulterebbe che le intercettazioni sulla vettura siano partite non durante la notifica», gli fanno notare gli investigatori. E il carabiniere replica: «Ribadisco che il giorno della notifica, all’orario della notifica, venne materialmente installata la microspia. Non ero solo, ero col maresciallo Scoppetta (Antonio Scoppetta, poi condannato a 4 anni e 6 mesi per corruzione e stalking, ndr) che però non è entrato ma è rimasto fuori ad aspettare il tecnico». «Nell’ascolto delle intercettazioni, ha mai riscontrato qualche cosa di rilevante?», incalzano gli investigatori. «Sì, ricordo quella avvenuta dopo l’interrogatorio, in cui padre e figlio si confrontavano su ciò che avevano detto. Era rilevante. Ricordo comunque che le intercettazioni mi venne chiesto in tutta fretta di trascriverle, tanto è vero che le feci in uno o due giorni, perché il dottor Venditti disse che gli servivano subito per fare l’archiviazione».
Simona Marchini (Getty Images)