2025-10-12
«Divenni telefonista di Arbore... al telefono»
Simona Marchini (Getty Images)
L’attrice Simona Marchini: «Renzo mi vide e volle il mio numero, poi mi lasciò un messaggio in segreteria per il ruolo in “Quelli della notte”». Sul divorzio dall’ex romanista Cordova: «Mi tradiva. Herrera? Terribile: lasciava che le fanciulle rimanessero in ritiro per giorni».Simona Marchini è una signora romana a modo, empatica e assai gradevole nella conversazione, nella quale manifesta deliziosa buona educazione e autenticità. Il grande pubblico l’ha conosciuta con i personaggi da essa interpretati in Rai in A tutto gag (1980) e Quelli della notte di Renzo Arbore (1985). Da lì attrice di alcuni film. Tuttavia ha fatto anche molto teatro e diretto opere liriche. Suo padre, Alvaro Marchini, presidente della Roma calcio dal 1968 al 1971, è stato, con il fratello, costruttore edile ma anche appassionato d’arte. Fondò una galleria, a Roma, e lei ancor oggi la dirige. Nella sua esistenza ha conosciuto il successo ma anche dolorosi accadimenti. Tuttavia quell’ironia garbata e sdrammatizzante che ha dato ai suoi personaggi tv le è congenita. Iniziò con la galleria e ancora vi si dedica. «La Galleria “La Nuova Pesa” è sempre vivissima, quella di mio padre, chiusa per tanti anni durante il terrorismo. Poi l’ho riaperta io quando iniziai a lavorare in televisione. Mio padre era molto malato e volevo farla rinascere. Sono 40 anni che me ne occupo. È in via del Corso».Questo suo modo di essere così originale, incline allo spettacolo e all’ironia, si manifestò sin da bambina? «Ero una bambina molto adulta, seria, consapevole, parlavo molto bene, ho imparato presto anche a canticchiare. Ero insomma duttile, anche sollecitata da papà e mamma. Imparai a memoria delle poesie di Trilussa. Ero buffa, ascoltavo i dischi con mio nonno Vincenzo, appassionato d’opera. Mio padre, nel dopoguerra, avrebbe voluto far l’attore ma s’immolò per l’azienda. Abitavamo a via Monteverdi e per un certo tempo costituì un teatro. Avevo 4 anni. Mi buttò in palcoscenico, recitai una poesia di Trilussa, applausi, poi dissi “ne so 13 di Trilussa” e mi venne a prendere».Ha detto che «l’ironia è una difesa rispetto a un turbamento interiore». Si ha però l’impressione che questa sua qualità non si sia mai trasformata in sarcasmo. «Questo mai. Era un po’ uno stile familiare, un modo per alleggerire anche le cose meno facili. Poi c’erano sensibilità affettiva, principi umanitari. Io e mia sorella Carla, sette anni meno di me, ne abbiamo tratto nutrimento. Quando lei nacque vidi un colombo volare e pensai “quella è la cicogna”».Sembra così posata. Le è mai capitato di arrabbiarsi e alzare la voce? «Nella professione mai, perché ho molto rispetto del lavoro di tutti e il teatro è una grande scuola. Mi ritengo non competitiva. Semmai qualche litigata me la sono fatta col marito». Perché le attrici comiche sono così poche rispetto agli attori? «Credo che qualche volta le donne si blocchino in una specie di modello, ora sono molto più disinvolte. Avrei voluto fare l’opera. Ho cantato alla Fenice, col microfono, come prima donna nelle Convenienze teatrali di Donizetti. Con Carreras, appena guarito, eravamo amici, e, attraverso un agente, inventammo “I tre tenori” (Carreras, Domingo e Pavarotti, ndr.). Volevamo fare una cosa eccezionale per l’Unicef». Il suo primo personaggio in tv in A tutto gag, Iside Martufoni. «Qui raccordo anulare chilometro 6, 15° lampione dopo il raccordo Anas. Vi parla Martufoni Iside, detta l’“Ammiraglia della Balduina”“. Lo inventò lei? «C’erano autori stupendi. Mi vollero per forza. La mia carriera inaspettata è merito di Don Lurio, che conobbi a Cortina. Ero in crisi con mio marito e mi propose in Rai. Arrivò Don Lurio, che la mia amica conosceva, e raccontai in maniera buffa i miei due matrimoni, quello “calabrese” e quello “napoletano” Senza dirmi nulla, mi segnalò a Romolo Siena che cercava una comica inedita e questa è stata la mia fortuna. Mi chiamò la Rai per un provino. Io terrorizzata. Da qui nacque il personaggio di Iside “la battona”». Diceva Iside: «Io non so’ d’accordo con le femministe che dicono parità di diritti tra uomini e donne. Per me l’uomo deve lavora’ e la donna se deve appaga’ con le gioie della maternità». Occhieggiava al femminismo oppure ironizzava sulle ideologie? «(ride) A parte che lei faceva una vita un po’ curiosa. Ma aveva il fidanzato tutto regolare. In qualche modo lei voleva dare consigli bonari alle donne, “non litigate”. Era una forma benevola… Di compatire il maschio… (ride)».Da Renzo Arbore a Quelli della notte… «Portai il provino a un dirigente. Stavo in un angolo, un po’ frastornata. Entra Arbore e non mi nota. Guarda il provino. Dice: “Ma questa è brava, chi è?”. Ero lì, appiattita sul muro. Arbore: “Dammi il telefono, ti devo parlare”. Trovai un suo messaggio in segreteria: “Sto preparando una cosa un po’ particolare e vorrei ci fossi anche tu” A casa sua trovai tutti gli altri, già selezionati». E poi?«Mi mise seduta: “Ho deciso che tu farai la telefonista”. E io: “Sì, signor Arbore” (dice ciò nel modo del suo personaggio, ndr.). E siamo andati avanti a improvvisare. Lui: “Ma signora Simona lei è sposata?”. E io: “Sì, con Roby, non per vantarlo ma, guardi, è una perla”. Ero già il personaggio. Lui, divertito, mi disse: “Va bene”. Alla prima puntata siamo andati così». Con Arbore è rimasta in amicizia? «Ci vogliamo bene e siamo molto amici, ci sentiamo, siamo stati anche vicini quando è mancata la nostra comune e adorata amica, il suo grande amore, Mariangela Melato, la seguivo anche a teatro. Quando se n’è andata ero in tournée, a Udine, non potei andare al funerale. Chiamai Renzo la mattina, eravamo commossi, mi disse una cosa bellissima, che somigliavo tanto a lei, proprio come anima». Nei salotti televisivi, il politically correct delle donne è «siamo tutte solidali». Ma è proprio così? «Sì, beh, insomma… Faccio parte di un’esile categoria di donne che non ce l’hanno con le donne, a meno che le donne, le altre diciamo… Purtroppo certe forme di competizione, di invidia, ci sono. Non perché sia una santa ma questo tipo di rapporto non m’interessa. Una volta sola rimasi a bocca aperta quando, all’inizio di questo mio successo, addolorata per tante cose private, una cosiddetta amica mi dice: “ma scusa, c’hai i soldi, c’hai il successo, che vuoi? pure l’amore?”. La guardai: “Scusa? per me il valore più alto della vita è proprio questo”. Non la considerai più un’amica». È stata amica di Franca Valeri. Il suo personaggio può essere avvicinato a quello della sora Cecioni? «Cara… Mi hanno chiesto se mi ero ispirata a lei. No. Eravamo amiche fraterne, ci volevamo bene, la stimavo. A una serata Unicef - era morto il mio compagno, un grande scenografo, e anche lei perse il suo, un direttore d’orchestra - ci abbracciammo in camerino». Quindi, qual è stata la genesi dei suoi personaggi?«Me li facevo per i fatti miei, per ridere. Forse a ispirarmi fu una ragazza molto carina, una manicure. Facendomi le mani e parlando della nascita di un altro figlio della principessa di Monaco disse: “Porella, come farà ora con tre figli piccoli?”. Allora impersonare questa bonarietà, ingenuità di una donna romana, questo subire il marito perché, “porello, lavora tanto”, un atteggiamento molto romano, mi veniva naturale».Il suo secondo matrimonio è stato con un calciatore, il capitano della Roma dell’epoca, Franco Cordova. Dopo dieci anni finì…«C’innamorammo, l’innamoramento che non avevo mai vissuto. Lo conobbi al matrimonio di un suo collega. È stato molto carino e garbato, abbiamo cominciato a stare proprio veramente insieme dopo mesi. Ero rimasta a pezzi per il matrimonio precedente. Mi venne a trovare al mare quando ero con mia figlia bambina. Una cosa tenera e pulita. Vissuta come una giovinezza. Ma era di una gelosia insopportabile. La cosa dolorosa era che perdevo i bambini al quarto-quinto mese e non si capiva perché. Dopo tanti anni si è scoperto che la cosa era legata alla trombofilia, trombi che si formano con la crescita della placenta, lacerandola. Ho fatto di tutto per avere questi figli. Questo ha un po’ appesantito tutto tra me e lui».Ha rilevato anche che lui, nell’ambiente del calcio, la tradiva. Viene in mente il libro di Carlo Petrini Nel fango del dio pallone. Immaginava la doppia faccia del mondo calcistico? «Sì, è vero, perché c’erano personaggi che portavano le fanciulle ai calciatori in ritiro. Helenio Herrera (allenatore della Roma dal 1968 al 1973, ndr.), altro personaggio terribile, le faceva restare anche diversi giorni. Questa cosa è stata scoperta».Ha detto: «Herrera, un mito costruito dall’Inter». È vero che suo padre voleva far studiare i giocatori ma che lui si oppose? «Herrera l’ha impedito. Mio padre si affezionava ai ragazzi, voleva loro bene come un padre. Spesso a 16 anni già non studiavano più».Fu lei a lasciare suo marito o la lasciò lui? «L’ho lasciato io, perché è stato superficiale, ha sbagliato. Noi due ci sentiamo, ci vediamo, abbiamo continuato a volerci bene, ma ormai non potevo dargli nessuna fiducia. Il lavoro mi ha molto aiutato». Come si pone nei confronti della dimensione spirituale? «Sono cresciuta in una famiglia laica, dicevano “scegliete voi”, “fate quello che sentite”. Quello che conta nella vita è l’applicazione dei valori. E loro ce li insegnavano, sincerità, carità, condivisione. Se ho conosciuto una famiglia cristiana, nella prassi, era la mia. Poi abbiamo incontrato l’antroposofia di Steiner, il rispetto profondo di tutti». La sua passione per la lirica. In questo preciso momento quale composizione ascolterebbe? «Forse il Don Giovanni, perché Mozart mi commuove sempre. Una volta ero da un’amica sui colli di Bologna nella casa dove sembra sia stato ricevuto Mozart, adolescente, col padre. Avevo il batticuore pensando a quella creatura incredibile. Questo mi dà la gioia di ricordarmi sempre che certe cose non muoiono mai. Almeno sinora sono sopravvissute a tutti gli orrori del mondo».