2025-10-12
A Parigi viene fatta a pezzi la democrazia stessa
Emmanuel Macron (Getty Images)
Da mesi ci viene spiegato che l’America non è più una democrazia, perché Donald Trump sta violando pesi e contrappesi del sistema. Ma se gli Stati Uniti non sono una democrazia perché il presidente licenzia chi non è d’accordo con lui, la Francia che impedisce ai francesi di scegliere da chi farsi governare che cos’è?A Parigi c’è un presidente che non si rassegna a prendere atto del suo fallimento e nomina un governo dietro l’altro ben sapendo che nessun premier di quelli da lui scelti riuscirà a ottenere la fiducia, perché nessun primo ministro deciso da Macron può contare su una maggioranza. La soluzione della crisi in cui è precipitato il Paese negli ultimi mesi è scontata. Se il parlamento rifiuta di votare un esecutivo centrista ispirato dall’Eliseo non resta che restituire la parola agli elettori, come avviene in tutte le democrazie. In Francia però c’è chi non si rassegna davanti al proprio personale fallimento e dunque non vuole sciogliere l’Assemblea nazionale e neppure accetta di farsi da parte, dimettendosi.La crisi della democrazia a Parigi in fondo è tutta qui. La République è ostaggio degli umori di monsieur le président. Il quale da anni è altamente impopolare fra i francesi, ma a dispetto del buon senso non se ne cura. Un uomo delle istituzioni che avesse a cuore il Paese che rappresenta avrebbe già tratto le conseguenze. Invece Macron, che è altamente ambizioso, non si rassegna. Essendo relativamente giovane, per sé immagina un futuro con altri incarichi di prestigio. Non necessariamente in Francia, ma magari in Europa. Nei mesi passati è stato molto attivo sulla scena internazionale, cercando di intestarsi un ruolo sia in Ucraina che in Palestina. Né l’una né l’altra iniziativa però si sono concluse positivamente. Si è capito che i volenterosi pro Kiev da soli non sarebbero stati in grado di opporsi a Putin, mentre la linea pro Pal dell’Eliseo, oltre a essere stata bocciata in quanto ritenuta pericolosa dal sottosegretario di Stato americano, Marco Rubio, è divenuta ininfluente quando Trump ha imposto la sua pace. Se le ambizioni estere si sono rivelate inconsistenti, sul fronte interno le cose non vanno meglio. Da quando è stato rieletto, Macron ha bruciato un governo dietro l’altro e l’ultimo, quello di Sébastien Lecornu, ha battuto ogni record: prima ancora di essere votato ha perso i pezzi e il primo ministro ha dovuto recarsi all’Eliseo per rassegnare le dimissioni. Invece di prendere atto dell’impossibilità di formare un esecutivo privo di una maggioranza parlamentare, sciogliendo l’Assemblea o levando il disturbo per indire nuove elezioni presidenziali, Macron che cosa ha fatto? Prima ha invitato Lecornu a prendere tempo e insistere e quando questi è tornato con la lettera di rinuncia, dopo due giorni di ripensamenti ha nominato lo stesso Lecornu, chiedendogli di dar vita a un governo tecnico. Noi italiani sappiamo bene che cosa significhi un premier che non risponda agli elettori. Mario Monti rappresenta il tentativo di bypassare il Parlamento, o, se preferite, di ricattarlo con nuove elezioni. Con la scusa dello spread e del rischio di una bancarotta dell’Italia, l’ex rettore ha guidato il governo per oltre un anno, senza risolvere nessuno dei problemi del Paese. Forse il debito pubblico si è ridotto con lui e la Fornero? No, ha continuato a salire. È stata forse varata una riforma della giustizia che abbia cancellato l’arretrato? Neppure. Dunque a che cosa è servito esautorare le Camere? A far felici Francia e Germania che si sono levate dai piedi Berlusconi e a fare un riforma delle pensioni che non ha risolto nessuno dei problemi strutturali del Paese, ma anzi li ha aggravati, perché ha fatto crollare la fiducia degli italiani, anche a causa della stangata sugli immobili.Ora Macron, pur di non mollare la poltrona e restituire la parola agli elettori, intende perseguire la strada con un simil Monti. Sobrio, nel senso che non risponde a nessun altro se non all’Eliseo, come l’ex rettore rispondeva al Quirinale. Ovviamente tutto ciò con la benedizione dell’Europa, nel cui nome si fa ogni genere di riforma e anche di porcheria, tra lo sbigottimento degli stessi leader della maggioranza che dovrebbero appoggiare il nuovo esecutivo. E la democrazia che sta tanto a cuore quando si discute di Trump e di Stati Uniti d’America? Nel caso francese (come nel passato in quello italiano) non conta nulla? Poi ci si stupisce se l’Europa è ritenuta un’istituzione antidemocratica e ci si sorprende se all’estero guardano con crescente interesse al caso italiano. Oggi se si considerano Germania, Francia, Spagna e Italia, ovvero i Paesi Ue più popolosi, l’unico ad avere una leadership che non sia in crisi è il nostro. Giorgia Meloni è la sola premier a godere di un consenso che la legittima a governare. La sola di cui si possa dire che rispetti la volontà degli elettori. Così, invece di domandarci se l’America sia ancora una democrazia, dovremmo chiederci se i governi europei siano democratici e non siano esecutivi nati per impedire che il popolo decida da chi essere guidato. Insomma, il caso francese è qualche cosa di più complesso di ciò che sembra. Non è la fine di Lecornu e del suo governo mai nato. Forse è la fine della République così come abbiamo imparato a conoscerla.
Sebastien Lecornu (Getty Images)
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