2025-12-02
L’ex vice dell’Antimafia attacca: «Spioni, De Raho fuori controllo»
Federico Cafiero De Raho (Imagoeconomica)
Giovanni Russo avrebbe scritto al suo capo che il finanziere Pasquale Striano andava allontanato dalla Direzione nazionale antimafia.«Procuratore, il problema è questo qua. In un assetto così gerarchizzato ma nello stesso tempo così stretto come la Direzione nazionale antimafia […] tutti i soggetti apicali in qualche modo sono fuori controllo». Giovanni Russo, già procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, braccio destro di Federico Cafiero De Raho (ora parlamentare pentastellato) lo precisa il 21 maggio 2025 davanti ai magistrati della Procura di Roma titolari dell’inchiesta sulle spiate nelle banche dati investigative ai danni di esponenti del mondo della politica, delle istituzioni e non solo, che ha prodotto 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate. Russo non risparmia «Franco Roberti», poi diventato parlamentare europeo del Pd. Il pm Giuseppe De Falco riassume: «Quindi Roberti, De Raho e poi Melillo (Giovanni, attuale capo della Procura nazionale antimafia, ndr) cambia?». La risposta di Russo: «Melillo in realtà credo che abbia affiancato a Laudati un paio di sostituti. Adesso non glielo so dire questo, tecnicamente. Sicuramente Melillo, accortosi di questa cosa, ha cambiato, anche perché è scoppiata la…». Russo non termina la frase su Antonio Laudati, il magistrato al centro dell’inchiesta insieme con il tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano, ma il riferimento va dritto nella direzione del caos causato dalle Segnalazioni di operazioni sospette (Sos) che finivano in atti d’impulso investigativo e che poi finivano sul Domani o alle Procure della Repubblica. È il primo snodo: Russo individua nel tandem Laudati-Striano il cuore del problema e sostiene che quel cortocircuito fosse noto ai vertici. La Verità il 15 novembre 2024, quando la documentazione era ancora parziale, era riuscita a ricostruire i contenuti di una relazione con la quale Russo avrebbe segnalato al capo il cortocircuito, collegandolo direttamente al tenente Striano, del quale chiedeva un allontanamento. Nel verbale davanti ai magistrati romani Russo ha rincarato la dose. Spiegando che, prima ancora di stilare la relazione, aveva preparato un provvedimento che avrebbe dovuto spezzare quel meccanismo.Il provvedimento è datato 6 dicembre 2019 ed è controfirmato da De Raho. È il secondo snodo, che fotografa l’esistenza del problema e la volontà (almeno formale) di affrontarlo.«Durante questo periodo di tempo», aggiunge Russo, «io vedevo ancora cose che non mi piacevano. Ora non me le ricordo ma le ho scritte, e predisposi una relazione che consegnai a Cafiero, dicendo “Guarda, adesso la misura è colma. Ti chiedo formalmente di allontanare Striano“. Lui mi dice “Ma perché?” e gli dico “Te le ho scritte, perché abbiamo fatto il provvedimento a dicembre, non è bastato”». A quel punto De Raho l’avrebbe rassicurato: «“Ci sono queste cose”, lui dice, “ho capito, lascia che lo risolva io, vedo io”». Ma è lo stesso Russo a ricordare: «De Raho è stato sentito e lui nega di aver mai visto questa relazione». Quella relazione, però, esiste, perché, riferisce Russo, «la Dna l’ha mandata a Perugia». La ritrovò Melillo negli scatoloni del trasloco. «Non fu firmata, non fu protocollata», spiega ancora Russo, aggiungendo: «Devo dire la verità, e questo l’ho detto a Cantone (Raffaele, procuratore di Perugia che aveva già sentito Russo, ndr), uscii dalla stanza (di De Raho, ndr) non soddisfatto perché era stato un gesto che mi dispiaceva, quello di andare a chiedere la rimozione di Striano, sapevo che era un collaboratore di Laudati molto apprezzato, molto brillante, eccetera, quindi non era una cosa che uno faceva a cuor leggero, però non mi diede soddisfazione il procuratore nazionale». Ma quando De Raho, ormai parlamentare, viene ascoltato, oppone una linea sistematica: distanza, estraneità, impossibilità. Sulle richieste di approfondimenti: «Io lo escludo al di là del ricordo, che non ricordo, lo escludo». Sulle segnalazioni dell’Ufficio finanziario di Bankitalia non pertinenti: «Noi non avevamo la possibilità di acquisire segnalazioni non pertinenti». E ancora: «Non è mai avvenuto che qualcuno sia venuto a parlarmi di approfondimenti da fare sulle segnalazioni per operazioni sospette». E sugli accessi abusivi: «Sono tutti accessi avvenuti quando io ero già andato via da oltre sei mesi». Il quadro è netto: De Raho sostiene di non aver mai ricevuto sollecitazioni, mai visto relazioni, mai autorizzato approfondimenti anomali. Striano? «Non l’ho mai visto personalmente e non so come sia arrivato alla Dna». Ma c’è ancora un passaggio importante nel verbale di De Raho, col quale l’ex procuratore nazionale antimafia sembra rimandare la palla nel campo del suo aggiunto: «Vi era, nell’ambito delle attività di questo ufficio, il coordinatore Russo, che aveva una sorta di compito di direttive e vigilanza». E subito dopo: «Abbiamo, da un lato, il responsabile Laudati e dall’altro abbiamo il procuratore aggiunto (Russo, ndr), che è il coordinatore del Contrasto patrimoniale (quello dell’area nella quale rientrava il Gruppo Sos, ndr) che deve dare le direttive». Insomma, per De Raho era Russo il magistrato rimasto col cerino in mano. Negli atti raccolti dalla Procura di Perugia e trasmessi a Roma, però, c’è un verbale che contiene delle dichiarazioni che sembrano fissarsi come un chiodo proprio tra le parole di e quelle di De Raho. È il racconto di Gennaro Salese, maresciallo dei carabinieri in servizio alla Dna, coordinatore del Gruppo ricerche. Afferma che Russo gli disse «che De Raho aveva ritenuto di non adottare alcun provvedimento nei confronti di Striano […]». E aggiunge che l’aggiunto «era amareggiato». Non solo. Racconta l’intreccio interno: «Mi disse (Russo, ndr) che, a suo parere, Laudati era intervenuto direttamente parlando con De Raho». E infatti Salese aggiunge che, dopo la relazione redatta da Russo, «il Gruppo Sos continuò ad operare autonomamente». «Posso dire», ha messo a verbale, «che […] era stato adottato un provvedimento con il quale si stabiliva che le stesse modalità di lavoro del Gruppo ricerche dovevano essere estese al Gruppo Sos. ivi compresa la supervisione delle informative da parte mia». Ma ecco la rivelazione: «Di fatto ciò non è mai avvenuto e anzi ricordo che per un certo periodo il personale del Gruppo Sos non firmava le pratiche che sottoponeva direttamente al magistrato referente, ovvero il dottor Laudati il quale, a quel punto, le consegnava ai magistrati referenti o direttamente al procuratore. In ogni caso dopo i fatti esposti nella relazione il Gruppo Sos continuò ad operare autonomamente sempre sotto la supervisione del dottor Laudati». Nulla era cambiato.