2022-02-23
Londra soffia sulla crisi ucraina e indebolisce gli ex cugini europei
Boris Johnson persegue l’obiettivo della «Global Britain». Dopo il siluro rifilato alla Francia dall’Aukus, l’alleanza nel Pacifico, BoJo impone pesanti sanzioni a Mosca e stringe accordi con Kiev per isolare la Germania.Non sappiamo come andrà a finire, ma ciò che ogni giorno appare sempre più chiaro è che Vladimir Putin sta adottando il protocollo Kosovo. Il suo intento è applicare alle due piccole repubbliche separatiste ucraine le mosse intraprese dall’Unione europea dopo il 1999 dalle parti di Pristina, Mitrovica e Pec. L’idea delle forze di peacekeeping è molto chiara. Solo che adesso Mosca chiama i leader europei uno alla volta perché lascia intendere che l’unica forza con cui vuol trattare è quella di Washington. Ciò che però fino ad adesso, almeno sui media italiani, è rimasto fuori dalla scena è il ruolo della Gran Bretagna. Ieri il primo ministro Boris Johnson è entrato a gamba tesa. «Il presidente russo ha violato la sovranità dell’Ucraina, ha mandato le truppe, ha violato il diritto internazionale, ha ripudiato gli accordi di Minsk e ha stracciato l’intesa di Budapest del 1994. Ha detto che l’integrità territoriale dell’Ucraina sarebbe stata rispettata, ha invece completamente violato il diritto internazionale». Frase che ha preceduto l’annuncio delle sanzioni economiche per le imprese internazionali che operano da e per Mosca in numerosi ambiti, anche finanziari. Con un focus particolare per le attività delle due repubbliche separatiste. L’uscita di Bojo non è però un fulmine a ciel sereno. Il percorso di avvicinamento alla posizione del falco è iniziato quasi due anni fa e nell’ambito di un progetto più ampio nato dopo la Brexit e pubblicamente denominato «Global Britain». Si è a lungo parlato delle negoziazioni per l’uscita dall’Ue condotte con la cieca Bruxelles, meno, invece, degli accordi siglati tra Londra e Ankara. Dopo il trionfo nelle elezioni del 2019, Bojo ha promosso il perimetro di libero scambio con la Turchia con tanto di unione doganale. Sempre nel 2020 si sono tenute le prime esercitazioni militari congiunte. Avviato il dialogo con uno dei partner più delicati del Mediterraneo, Londra si stava mentalmente e diplomaticamente preparando all’addio di Angela Merkel, che nei decenni precedenti aveva monopolizzato le relazioni con Recep Erdogan. Nessuno a Bruxelles, almeno fino a settembre del 2021, si era però preoccupato di valutare e possibilmente prevenire le mosse di Londra nei confronti degli ex partner europei. Così l’intervento a gamba tesa degli inglesi nell’accordo sul Pacifico che unisce Usa e Australia nella mega commessa di sommergibili nucleari ha dato la sveglia ai funzionari di Bruxelles e al tempo stesso a Emmanuel Macron. La commessa originariamente sarebbe dovuta andare ai francesi, i quali si sono trovati ridimensionati al ruolo di potenza locale. Ma Bojo è anche riuscito a lanciare un messaggio all’intera Unione. Bruxelles si occupi del Mediterraneo, poiché spetta alla Gran Bretagna operare al fianco degli Usa nel Pacifico. La sveglia però non è stata sufficientemente forte. Perché nessuno a Bruxelles o a Berlino si è dato troppo pensiero quando prima nel 2020 e poi, guarda caso, il mese scorso, Londra ha chiuso due importanti accordi con Kiev. Anche in questo caso patti bilaterali sul commercio, sugli investimenti e su aree di libero scambio. Un messaggio semplice: Londra è ancora più global e a differenza dei Paesi Ue non tradisce nessuno. Tant’è che l’intelligence di sua Maestà si è scoperta essere la più attiva sul territorio ucraino, consapevole che se gli Usa hanno l’obiettivo di riposizionarsi nei confronti di Putin si devono appoggiare su un Paese partner «locale». In gergo il Paese proxy, in grado di penetrare i confini senza lasciare troppe tracce e al tempo stesso soffiando sull’incendio del rischio dell’invasione russa. È chiaro che il governo inglese sa che qualunque sia l’esito delle attuali tensioni chi uscirà indebolito sarà l’intero perimetro europeo. Dalla Germania alla Francia passando per l’Italia. L’addio della Merkel lascia scoperti tutti gli errori compiuti nei rapporti con la Russia da un lato e tutte le scelte di debolezza nel pensare che l’egemonia sia sempre l’attuazione di un punto di caduta mediano. Con gli imperi non funziona perché sanno attendere decenni per cogliere l’opportunità. Esattamente ciò che sta facendo Putin adesso. Per comprenderlo basta analizzare gli effetti delle sanzioni, almeno per la componente energetica. Il progetto Nord stream 2 è stato definitivamente ucciso ieri. Mosca sapeva da tempo che il progetto merkeliano fosse arrivato al capolinea, e così ha girato la frittata trasformando il fallimento del progetto in un vantaggio. Le sanzioni diventano irrilevanti e al tempo stesso i Paesi europei si spaccano in due fronti. Quando il Wall street Journal accusa Mario Draghi di esitare sulle sanzioni al momento sbagliato si allinea con il pensiero di Joe Biden e di Johnson. Ma omette un dettaglio. L’Italia era tra i promotori di Eastmed, un progetto che assieme al gas avrebbe anche trasportato reti e dati. Peccato che Francia e Germania abbiano fatto di tutto per azzopparlo lasciando briglie sciolte solo al progetto tedesco. Noi saremmo diventati un Paese cruciale e il dialogo con l’Egitto sarebbe stato diverso. Ora sembra essere troppo tardi per cambiare strada. La Turchia è diventata troppo potente nel Mediterraneo e la Francia troppo debole per immaginare un ritorno in forze nel Sahel. Dove guarda caso i russi sono pronti a dirigere i flussi migratori verso le nostre coste. Il sentiero di Mario Draghi è più che mai stretto e pieno di macerie.
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