2019-11-05
L’ideologo gender confessa: «Mi sono inventato tutto»
Il docente canadese Christopher Dummitt fa autocritica: «Mi vergogno dei miei libri sugli studi di genere, avevo torto. Maschi e femmine non sono solo costrutti sociali».Alessandro Strumia stampa le tesi «sessiste». Il fisico era stato cacciato dal Cern dopo che aveva negato, dati alla mano, le disparità di genere nella scienza. La sua ricerca uscirà sulla rivista fondata dall'editore del Mit.Lo speciale comprende due articoli. Anche l'ideologia gender ha il suo pentito. Si tratta di Christopher Dummitt, professore di Storia canadese alla Trent university di Peterborough, in Ontario. Su Amazon è ancora possibile acquistare, al costo di 40 euro e 15 centesimi, il suo The manly modern: masculinity in postwar Canada, definito «il primo grande libro sulla storia della mascolinità in Canada» e in cui si parla di come, dopo la seconda guerra mondiale, i maschi cattivi cercarono di «ristabilire la tradizionale gerarchia di genere». Insomma, la solita minestra. La novità è che stavolta il minestraio ci ha ripensato. A metà settembre, Dummit ha postato sul suo profilo Twitter un articolo, presentato in questo modo: «Pensavo a questa autocritica da un po' e, quindi, voilà». L'articolo si intitolava Confessions of a social constructionist ed è uscito per Quillette, piattaforma Web australiana nota per diffondere tesi scientifiche contrarie alla vulgata postmodernista. In questi giorni, l'articolo è sbarcato anche in Europa, tradotto in francese per Le Point. Di che parla, questa confessione? Molto semplicemente, dell'impostura dell'ideologia gender raccontata da chi se ne è fatto corifeo. «Se mi avessero detto, vent'anni fa, che la vittoria del mio campo sarebbe stata così decisiva nella battaglia ideologica sul sesso e il genere, avrei fatto i salti di gioia. All'epoca, passavo numerose serate a discutere di genere e identità con altri studenti - e con chiunque avesse la sfortuna di trovarsi in mia compagnia. Non smettevo di ripeterlo: “Il sesso non esiste". Lo sapevo, tutto qui. Perché ero uno storico del genere». Dummit descrive la vera e propria esplosione degli studi di genere a partire dagli anni Novanta, le aule che scoppiano di sempre maggiori quote di studenti ansiosi di sentire una e una sola verità: le identità sessuali ed etniche sono costruzioni basate su rapporti di potere. All'epoca, queste erano ancora farneticazioni di pochi accademici, ma oggi, spiega Dummit, «la mia grande idea è dappertutto». Il cambiamento è stato radicale: «Se difendete oggi la posizione dei miei avversari di allora - e cioè che il genere è almeno parzialmente fondato sul sesso e che ci sono fondamentalmente due sessi, il maschile e il femminile - i super progressisti vi accuseranno di negare l'identità delle persone trans, e dunque di voler causare un danno ontologico a un altro essere umano». L'autocritica dello studioso, tuttavia, è senza sfumature: «Oggi voglio fare il mio mea culpa». Di più: «Mi vergogno della mia produzione». Rispetto ai suoi scritti dell'epoca, Dummit è tranciante: «C'è un piccolo problema: avevo torto. O, per essere più precisi: avevo solo parzialmente ragione. Per tutto il resto, ho globalmente inventato tutto, dalla A alla Z. E non ero il solo. È ciò che facevano e che fanno ancora tutti. È così che funziona il campo degli studi di genere». Quando si interrogava sul modo in cui i canadesi del dopoguerra parlavano degli uomini e delle donne, il docente nordamericano non svolgeva una vera analisi scientifica: «Le mie risposte non le ho trovate nelle mie ricerche primarie, ma le ho tratte dalle mie convinzioni ideologiche». Il metodo della disciplina si articola in tre passaggi: innanzitutto, si evidenzia la grande varietà storica e culturale nelle nozioni di genere, poi si riconnettono queste ultime a dinamiche di potere, infine si cerca una spiegazione che faccia riferimento al contesto storico. Il tutto, però, sempre andando a cercare ciò che sin dall'inizio si ha in mente di trovare. Un esempio: «I canadesi del dopoguerra vedevano gli uomini come propensi al rischio per una costruzione sociale? Sì, è plausibile. Così come è del tutto plausibile che essi lo pensassero perché… gli uomini, in media, assumono più rischi delle donne. Le mie ricerche non provavano niente. In un senso come nell'altro. Partivo dal principio che il genere fosse una costruzione sociale e ricamavo tutta la mia “argomentazione" su tale base». Il quadro è quello di un dogmatismo autoreferenziale esasperato: «Non mi sono mai confrontato, almeno non seriamente», dice Dummit, «con un'altra opinione. E nessuno, in nessun momento dei miei studi superiori o nel processo di pubblicazione dei miei articoli, ha pensato di chiedermi di fare prova di un tale spirito di apertura». Quanto alle sue vedute attuali, invece, il prof canadese non ritiene, ovviamente, che le nozioni di genere siano totalmente assorbite dalle categorie biologiche, né che i ruoli sociali di maschi e femmine non cambino nello spazio e nel tempo, ma precisa: «Devo ammettere che ciò che ho visto è stato più che altro una leggera variabilità (delle categorie di genere, ndr) con una coerenza centrale evidente. Che gli uomini siano visti come i principali fornitori di risorse, assuntori di rischi e responsabili della protezione e della guerra sembra una nozione abbastanza stabile attraverso la storia e le culture». Insomma, dopo lunga e sofferta meditazione, persino gli accademici liberal possono giungere a riconoscere ciò che per le persone normali è evidente sin da subito. Ma, seppur tardivo, il pentimento va comunque apprezzato. Sperando che ora il reprobo non abbia bisogno della scorta.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lideologo-gender-confessa-mi-sono-inventato-tutto-2641215834.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="strumia-stampa-le-tesi-sessiste" data-post-id="2641215834" data-published-at="1758062881" data-use-pagination="False"> Strumia stampa le tesi «sessiste» Alessandro Strumia non si arrende. Il fisico «colpevole» di aver contestato la vulgata sulle discriminazioni di genere nella scienza, con un intervento, nel settembre scorso, a un convegno a Ginevra, costatogli l'allontanamento dal Cern, adesso pubblicherà i risultati di quella ricerca sulla neonata rivista Quantitative science studies, affiliata alla casa editrice del Mit di Boston. Dati alla mano, il professore dell'Università di Pisa aveva sostenuto che in fisica non c'è alcuna dittatura sessista. Studiose che vantano meno citazioni, il cui lavoro scientifico, cioè, incide in misura inferiore, vengono in media preferite ai colleghi uomini nelle assunzioni. E se in alcuni settori disciplinari la presenza femminile è effettivamente più risicata, questo dipende dal fatto che «uomini e donne tendono ad avere interessi diversi». Affermazioni che Strumia aveva condito con insidiosissime incursioni sul terreno del contrasto all'ideologia gender: frasi come «esistono differenze nei sessi già nei bambini, prima che l'influenza sociale intervenga», sono pericolosamente in contrasto con il pensiero unico, per cui l'unica tesi accettabile è che i ruoli di genere siano invenzioni della società maschilista. In attesa dell'uscita del paper, che sarà intitolato Questione di genere in fisica fondamentale, Strumia ne ha pubblicato il testo sul suo sito. Quantitative science studies, rivista che accetta contributi mediante il meccanismo della revisione alla pari (in pratica, gli articoli vengono anonimizzati e inoltrati ad altri esperti, i quali esprimono un giudizio sull'opportunità di pubblicarli), garantirà il diritto di replica. Un vero miracolo, visto l'andazzo del mondo accademico di oggi: potremmo assistere a un confronto a colpi di tesi suffragate da evidenze scientifiche, anziché a una rincorsa alle purghe per chi non si adegua al politicamente corretto. Questa tribuna inattesa rende un minimo di giustizia a uno studioso che il Cern liquidò in quattro e quattr'otto per via delle sue eresie antifemministe, nonostante un brillante curriculum e le sue 40.584 citazioni su Google scholar (la piattaforma accademica del noto motore di ricerca). Nemmeno fossimo tornati all'epoca in cui i baroni aristotelici delle università riducevano al silenzio Galileo Galilei, viviamo nel tempo in cui i meriti intellettuali contano meno delle professioni di fede femministe e pro Lgbt. Tant'è che, su Repubblica, Speranza Falciano, dell'Istituto nazionale di fisica nucleare, ha voluto ribadire che le scienziate «sanno che dovranno farsi strada in un mondo quasi tutto maschile» e che «la questione delle disparità nella scienza esiste. È ora di risolverla, non di fare polemiche inutili». Insomma, vietato aprire un dibattito: vige un dogma. E se qualcuno osa notare che la realtà lo contraddice, tanto peggio per la realtà. Siamo in Italia o nello Stato pontificio del Seicento?