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Buone notizie dalla Cop30: la Ue ha perso la sua guerra su tagli a fossili e emissioni
La Cop30 di Belém, Brasile (Ansa)
Il vertice ospitato da Luiz Inácio Lula da Silva nel caldo soffocante di Belém si chiude con impegni generici. Respinti i tentativi del commissario Wopke Hoekstra di forzare la mano per imporre più vincoli.

Dopo due settimane di acquazzoni, impianti di aria condizionata assenti e infuocati dibattiti sull’uso della cravatta, ha chiuso i battenti sabato scorso il caravanserraglio della Cop30. Il presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva detto Lula ha voluto che l’adunata di 50.000 convenuti si tenesse nella poco ridente località di Belém, alle porte della foresta amazzonica, a un passo dall’Equatore. Si tratta di una città con 18.000 posti letto alberghieri mal contati, dove le piogge torrenziali sono la norma e dove il caldo umido è soffocante. Doveva essere un messaggio ai delegati: il mondo si scalda, provate l’esperienza. Insomma, le premesse non erano buone. E infatti la montagnola ha partorito uno squittìo, più che un topolino.

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Pure Lula si scopre fan del fossile
Luiz Inácio Lula da Silva (Ansa)
Dopo aver cavalcato ansie ecologiste e battaglie pro Amazzonia, il ministro verdeoro Marina Silva gela la Cop30: «Abbandonare i combustibili causerebbe un collasso globale».

Chissà che pensava Marina Silva mentre percorreva l’autostrada a quattro corsie che taglia in due la foresta amazzonica, che è stata rapata a zero per arrivare a Belém, dove si celebra la liturgia verde e ipocrita della Cop 30. Lei è la paladina dei siringueros, - quelli che estraggono il caucciù dagli alberi della gomma e si contendono la vita con gli anaconda - è quella che se si tocca un albero in Amazzonia s’annuncia il giudizio universale. Ma ha firmato con atti (un nuovo disboscamento della foresta) e soprattutto a parole il fallimento preventivo della Cop 30. Ha dichiarato a O Globo, il massimo quotidiano brasiliano: «Non è possibile abbandonare i combustibili fossili per decreto perché ciò provocherebbe un collasso energetico globale».

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Per abbattere le emissioni nei peti delle mucche hanno rovinato pure il latte
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.

«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.

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