I discorsi choc dei bellicisti: «La pace ormai è finita, adesso soldi oppure sangue»

È stata una giornata tutt’altro che facile a Bruxelles. Da una parte gli agricoltori scaricavano letame davanti al Parlamento europeo dopo aver già usato patate, barbabietole e altri prodotti della natura e dopo aver dato alle fiamme vario genere di cose per protestare contro il Mercosur, cioè l’intesa tra Ue e America Latina (intesa che non piace né al governo italiano né a quello francese). Dall’altra, al Consiglio europeo si ingaggiava lo scontro con il Cremlino sull’utilizzo degli asset finanziari russi depositati in Europa, soprattutto in Belgio. E per far vedere che le intenzioni sono serie è stato tutto uno scoppiettio di dichiarazioni che presagiscono più venti di guerra che di pace. E allora uno si domanda: ma in Europa vogliono la tregua oppure si stanno preparando a scenari pesanti?
Cominciamo dal premier polacco Donald Tusk: «La scelta è semplice: soldi oggi o sangue domani. E non parlo solo dell’Ucraina, parlo dell’Europa». Il riferimento, come dicevamo, è agli asset finanziari congelati in Belgio presso la Euroclear, un fondo che ha attirato quei capitali giocando sulle asimmetrie fiscali nel Vecchio continente e quindi sul mosaico di contenitori finanziari piuttosto leggeri. E infatti non appena la Ue ha avviato la procedura per congelare a tempo indeterminato circa 210 miliardi di euro russi per essere utilizzati come garanzia per un prestito di 90 miliardi di euro a Kiev, Mosca ha annunciato azioni di ritorsioni e ricorsi all’arbitrato.
La Russia, del resto, al netto delle dichiarazioni bellicose che si alzano dal Vecchio continente, sa che la Francia, per esempio, non può non proteggere le partecipazioni di Total Energies nella società petrolifera Novatek e in quella del gas Yamal Lng, per un valore di oltre 10 miliardi di euro. Così come - ricordava Federico Fubini pochi giorni fa sul Corriere - «l’Italia ha Ferrero, Cremonini, De’ Longhi, Marcegaglia, più varie case farmaceutiche e le attività commerciali di Campari, con conti nel complesso da ben oltre mezzo miliardo di euro nei quali sono confluiti gli utili registrati in Russia dal 2022. Di fatto solo Eni e Enel, fra le italiane, uscirono dalla Russia dopo l’aggressione totale all’Ucraina». Senza dimenticare l’inconsistente risposta di Europa e Nato rispetto al transito delle navi pirata russe che trasportano una marea di petrolio attraverso il Baltico.
Questi sono i fatti, poi ci sono le azioni di forza, le prove muscolari e l’escalation di dichiarazioni bellicose. «Vladimir Putin deve sapere che dopo un accordo di pace, se tenterà di attaccare nuovamente l’Ucraina la reazione sarà devastante. Ed è proprio con questo intento che stiamo elaborando le garanzie di sicurezza. Noi siamo il prossimo bersaglio della Russia e siamo preparati militarmente», ha detto di recente il capo della Nato, l’olandese Mark Rutte. E poi c’è la Von Der Leyen in versione Sturmtruppen. «La pace di ieri è finita. Non abbiamo tempo per indulgere nella nostalgia», così in un «mondo diventato pericoloso e transazionale, un mondo di guerre, un mondo di predatori, noi europei dobbiamo difenderci e contare su noi stessi». Come? Mettendo sul piatto quei soldi che prima non c’erano per welfare, sanità, lavoro. «Negli ultimi dieci anni, abbiamo investito 8 miliardi di euro nel Fondo per la difesa. Quest’anno attiveremo fino a 800 miliardi di euro di investimenti entro il 2030». Nel «delirio programmatico» della capo della Commissione c’è il refrain riguardo «la una nuova era: l’indipendenza energetica dell’Europa dalla Russia (…)»; poco importa che il gas liquido che importiamo dagli Usa stia creando a caro prezzo una dipendenza fortissima con l’America: ma su questo meglio non dire nulla.
Alla Von Der Leyen ha fatto eco anche l’Alta rappresentante dell’Unione europea, Kaja Kallas: «La verità è che se si inizia a investire nella Difesa quando ne abbiamo veramente bisogno, è già troppo tardi e lo è anche oggi. Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra. Se non siamo preparati mettiamo a rischio ogni euro che spendiamo per scuole, ospedali e settori culturali. L’Europa deve parlare in un linguaggio che la Russia capisca: quello della forza». Meno male che era intervenuta alla Maratona per la Pace organizzata dalla Cisl, a Roma. Per chiudere, ricordiamo il cancelliere tedesco Friedrich Merz: «Non siamo in guerra, ma non siamo neanche più in pace».
Perché dunque tante dichiarazioni così forti? Forse - e lo speriamo - perché la fase della mediazione sta entrando nel vivo e quindi bisogna arrivarci coi muscoli gonfi. L’uso dei capitali russi parcheggiati in Europa potrebbe servire a questo: dimostrare a Putin che anche la Ue ha una leva, sebbene il rischio di ritorsioni ne indebolisca l’efficacia. Lo sa bene anche Zelensky, che per tutta la giornata di ieri non ha fatto altro che chiedere alla Ue il sostegno finanziario. «Cari amici, se abbiamo ottenuto così tanto, come può l’Unione europea crollare ora? Il denaro è necessario affinché la Russia e chiunque altro al mondo non usi questi asset russi come leva contro di noi. Vogliamo che questi asset non facciano parte del processo negoziale e vogliamo che questa parte ci sostenga. Abbiamo più fiducia nel tavolo delle trattative. Se abbiamo questo strumento». E al premier belga ha mandato un messaggio: «Noi affrontiamo rischi più grandi di quelli del Belgio: dobbiamo risolvere la questione oggi o nei prossimi giorni in modo che l’Ucraina non sia lasciata senza soldi». La guerra è sempre una questione di soldi…






