2025-11-25
Nessuna sorpresa: Elly è la vera sconfitta
Schlein brinda per i risultati in Puglia e Campania, ma fa finta di scordare che sono il frutto di compromessi mal digeriti con l’ala riformista di Decaro, il M5s e De Luca.«Dalle regioni è partito il riscatto». Il lunedì di Elly Schlein è felice e lunare, nessuno fra Napoli e Bari salta da un palco all’altro, da una piazza all’altra, con il suo entusiasmo liberatorio. Un’allegria sospetta e costruita, con la quale la segretaria del Pd vorrebbe far dimenticare il periodo più nero della sua reggenza.Presa a schiaffi da un monumento come Romano Prodi («il Nazareno non ha una proposta credibile») e messa all’angolo perfino dal Quirinale («Speriamo che cambi qualcosa», Francesco Garofani dixit), la numero uno dell’opposizione se la passava male e aveva necessità di trasformare in successo una corsa senza avversari nel tinello di casa.Così la vittoria più scontata della storia politica recente è diventata per lei una specie di napoleonica Austerlitz. «Ecco un’Italia che vuole finalmente mandare a casa questo governo», si è lasciata scappare. E a chi le faceva notare che il derby regionale è finito 3-3 ha riposto con una contraddizione lessicale: «Ma questa tornata elettorale non ha valore nazionale». Replica di Matteo Salvini: «Auguro a Schlein di sperare a lungo». L’eccesso di ottimismo è frenato dagli analisti. Nicola Piepoli è netto: «Il centrosinistra in quelle Regioni vince per abitudine, per forza naturale. È così da tempo. Nel Sud il nuovo è percepito come rischioso: c’è una diffidenza strutturale verso ciò che appare incerto. E questo si riflette nelle urne. È un’espressione tipica dell’elettorato meridionale».Al di là dell’eccitazione del momento, i brindisi di Elly suonano fasulli per un motivo molto semplice: neppure questa volta è stata lei a vincere. Perché in Campania il governatore è Roberto Fico, espressione del Movimento 5 stelle più tradizionale, perfino più grillino che contiano. Perché in Puglia ha dominato Antonio Decaro, emanazione diretta di un Pd riformista, legato al territorio e alla buona amministrazione, distante chilometri dal movimentismo gruppettaro della segretaria. E perché il 60% degli elettori, vale a dire la maggioranza assoluta, è rimasto a casa. Un’assenza enorme, il segnale inequivocabile di una disaffezione determinata dalla percezione che ogni decisione per i territori è presa altrove, a Roma o a Bruxelles. L’autonomia differenziata non è una pretesa ma la soluzione.Schlein festeggia per nascondere le penombre che accompagnano il risultato. A Napoli si è dovuta arrendere due volte. La prima accettando di negoziare con Vincenzo De Luca, che definì «cacicco» e lavorò per tagliare fuori dal terzo mandato, salvo poi abbracciarlo come una risorsa per il partito, costretta a scendere a patti con decisioni contrarie alla sua filosofia. Tutti ricordano l’accordo intriso di nepotismo studiato per non perdere voti: il padre Vincenzo in panchina, il figlio Piero segretario regionale del Pd, eletto rigorosamente come candidato unico. La seconda bandiera bianca l’ha sventolata quando ha dovuto arrendersi a digerire Fico e a reggere la coda a Giuseppe Conte, anche se il suo prediletto sarebbe stato il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi. Non le è andata meglio in Puglia, dove per vincere ha dovuto abbracciare un altro «cacicco», quel Michele Emiliano che aveva in cassaforte i voti dei due mandati precedenti. Gli equilibrismi pugliesi sono stati anche più circensi di quelli partenopei: la segretaria è stata costretta a mercanteggiare con l’ex governatore assorbendo parte della vecchia squadra, ha dovuto accettare la mina vagante Nichi Vendola come alleato per non sfasciare il campo largo a sinistra. E si è fatta andar bene Decaro, più vicino a Base Riformista (gli invisi ex renziani) che a lei. Più affine al partito dei sindaci (come l’ex Giorgio Gori e Silvia Salis) che a quello della piazza in fiamme. Una differenza non banale: Decaro si è rifiutato di salire sul palco con i leader nazionali nell’ultimo comizio. Paradossalmente, l’ampio successo dell’ex sindaco di Bari è un campanello d’allarme per gli equilibri della segreteria del Nazareno. Schlein non se ne rende conto e balla da sola. Alla fine tira pure le somme, attribuendo alla premier atteggiamenti che sono esclusivamente suoi. «Giorgia Meloni ha poco da festeggiare e poco da saltare. Dove non vinciamo come in Veneto raddoppiamo il risultato, uniti si stravince. Il messaggio è che l’alternativa c’è ed è competitiva, la partita alle prossime politiche è apertissima». Sembra parlare ai suoi. E nel dimenarsi senza freni le sfugge un dettaglio: quella partita il Pd potrebbe giocarla senza di lei.
Concita De Gregorio (Ansa)
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