2025-09-13
La Lagarde che aiuta Macron fa saltare l’asse franco-tedesco
Siluro dell’ex economista Bce, il teutonico Jürgen Stark: «È chiaro perché l’Eliseo l’ha voluta lì...».Mai un giorno avremmo potuto anche solo pensare che l’ex capo economista della Bce fino al 2011, il tedesco Jürgen Stark, potesse attribuire a Emmanuel Macron il merito di aver portato Christine Lagarde alla presidenza della Bce al solo scopo di trarne vantaggio in caso di bisogno per il proprio Paese. Solo qualche giorno fa, su questo giornale, avevamo avanzato quello che era più di un sospetto. Infatti ad agosto, così come nell’estate 2024 in occasione della crisi politica culminata con lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e successive elezioni, avevamo notato uno «strano» attivismo della Bce sui titoli di Stato francesi.Ieri ci ha pensato l’economista tedesco a dissipare ogni dubbio in una, a suo modo clamorosa, intervista al quotidiano tedesco Die Welt. Il riferimento è al possibile utilizzo da parte della Bce del nuovo strumento TpiI (Transmission protection instrument), disponibile dal 2022 e mai utilizzato, che consente alla Bce l’acquisto di titoli pubblici sui mercati per ridurre l’aumento degli spread causati da movimenti di mercato non in linea con i fondamentali dei Paesi. A tal proposito, Stark ha lapidariamente risposto che «ora dovrebbe essere chiaro a tutti perché il presidente Macron, nel 2019, ha proposto e fatto nominare Christine Lagarde come presidente della Bce, senza incontrare resistenze».Il motivo era esattamente la possibilità di sfruttare tutta la discrezionalità di cui dispone la Banca centrale europea per proteggere gli interessi della Francia. Cosa già puntualmente accaduta più di una volta. Perché proprio giovedì, ha aggiunto Stark, «Lagarde ha già dichiarato che la situazione in Francia sarà monitorata attentamente. Questa affermazione può essere interpretata come un segnale ai mercati e alla politica che la Bce potrebbe essere pronta a intervenire». Per il ruolo avuto in Bce, Stark non può cogliere l’importanza di certi segnali «verbali» che la Lagarde ha inviato giovedì sia nel comunicato sia nella successiva conferenza stampa. Lo strumento Tpi è, comunque, uno strumento «che la Bce non dovrebbe avere» perché fa recitare alla banca un ruolo improprio in quanto, alla fine, si tratta di «una politica fiscale mascherata». In ogni caso «per attivare il Tpi, dovrebbero essere soddisfatti determinati criteri, come il rispetto delle regole di bilancio dell’Ue, cosa che per la Francia non è assolutamente valida».Stark ne ha anche per il trattamento di favore finora ricevuto dalla Francia da parte delle istituzioni europee (Commissione e Eurogruppo), che non hanno mai chiesto correzioni a Parigi. Oggi è arrivato l’ineludibile momento di attuarle - a partire dal riequilibrio dei conti con l’estero per finire al deficit/Pil - ma si tratta di una correzione troppo dolorosa socialmente per trovare forze politiche disposte a «suicidarsi» sul piano del consenso. La preoccupazione avanzata da Stark è che «per l’euro e l’area euro, questo rappresenti un nuovo, serio banco di prova che, data l’importanza e la dimensione della Francia, è da considerarsi più grave della crisi del debito sovrano di quindici anni fa». Insomma, Parigi non è Atene e non può essere bullizzata e circondata da un cordone sanitario come accaduto ai greci nel 2014-2015.L’incertezza politica, oggi, è ancora tollerata dai mercati ma il suo perdurare, unitamente all’assenza di soluzioni, non potrà che far emergere «dubbi seri sulla sostenibilità economica dei debiti». E allora «ciò che si profila è una nuova crisi finanziaria». Proprio l’ipotesi che abbiamo avanzato ieri, a proposito dello squilibrio dei conti con l’estero francesi: il cosiddetto «sudden stop», cioè una crisi di fiducia dei creditori esteri (verso qualsiasi debitore francese, Stato incluso, ma non solo) porterebbe a una crisi finanziaria di gigantesche proporzioni. Quando e come la miccia potrebbe accendersi, è impossibile da prevedere, almeno a nostro sommesso parere.L’economista ne ha anche per il governo federale tedesco, di cui contesta il ricorso ai «fondi speciali» fuori bilancio e della cui «competenza e lungimiranza si può legittimamente dubitare». Secondo Stark, c’è ben poco da esultare per la politica di bilancio espansiva tedesca. Perché è vero che «il mercato dei capitali è grande, ma non è infinito», tuttavia le massicce emissioni in vista, anche per finanziare le nuove spese militari, non potranno che far salire tutti i rendimenti, inclusi quelli delle obbligazioni societarie. Anche su questo Stark è nel giusto perché ricordiamo bene il brusco aumento dei tassi di inizio marzo, quando Ursula von der Leyen annunciò il piano Rearm Europe.
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)