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2021-06-01
Il premier libico fa le moine all’Italia: «È il nostro miglior partner»
Abdulhamid Dbeibah e Mario Draghi (Ansa)
Roma punta a rafforzare la sua sponda con Tripoli. È questo, in estrema sintesi, il succo della visita compiuta ieri in Italia dal primo ministro libico, Abdul Hamid Dbeibah. «La collaborazione tra il governo del primo ministro Dbeibah e l'Italia continua a essere sempre più fertile e viva. L'Italia rimane a fianco della Libia e la sostiene in questa transizione complessa», ha dichiarato in tal senso il presidente del Consiglio Mario Draghi, ricevendo il suo omologo libico a Palazzo Chigi.
«L'Italia», ha aggiunto, «rimane al fianco della Libia e conferma il suo convinto impegno per il consolidamento della pace e della sicurezza. Ribadiamo la nostra determinazione a collaborare con l'autorità esecutiva unificata ad interim e a sostenerla nelle prossime decisive fasi della transizione istituzionale».
Nel dettaglio, il premier italiano ha assicurato cooperazione nel settore delle energie rinnovabili, oltre che in quelli di sanità e infrastrutture. In questo quadro, un tema centrale si è indubbiamente rivelato quello migratorio. «Ci siamo confrontati», ha detto Draghi, «sui temi migratori e umanitari, che rappresentano una priorità per la Libia e per l'Italia. Abbiamo preso in esame il controllo delle frontiere libiche, anche meridionali, il contrasto al traffico di esseri umani, l'assistenza ai rifugiati, i corridoi umanitari, e lo sviluppo delle comunità rurali. L'Italia intende continuare a finanziare i rimpatri volontari assistiti e le evacuazioni umanitarie dalla Libia. Ritengo sia interesse anche libico assicurare il pieno rispetto dei diritti di rifugiati e migranti».
Ma la visita di Dbeibah non si è limitata all'incontro di Palazzo Chigi. Il premier ha infatti partecipato, insieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, anche a un business forum, tenutosi alla Farnesina con l'obiettivo di aprire la ricostruzione libica alle imprese italiane. Tra i presenti all'iniziativa, anche alti rappresentanti di aziende come Leonardo, Saipem, Eni, Snam, Fincantieri e Terna. «Il governo di unità nazionale è per noi oggi un interlocutore rappresentativo di tutto il Paese, con il quale possiamo e vogliamo pianificare i prossimi investimenti in tutto il territorio libico», ha dichiarato Di Maio, che ha anche annunciato la riattivazione del consolato italiano di Bengasi e l'apertura di uno nuovo a Sebha (nel Fezzan). Lo stesso Dbeibah ha, dal canto suo, definito l'Italia come il «miglior partner» per la ricostruzione libica, invocando un incremento dello scambio commerciale tra i due Paesi.
Insomma, l'intraprendente strategia di Draghi nello scacchiere libico sembra stia iniziando a dare i suoi frutti: dopo un anno e mezzo di inconcludenza giallorossa, l'attuale premier italiano aveva d'altronde mostrato di avere le idee chiare nell'ambito della sua visita a Tripoli il mese scorso. E adesso cerca di passare all'azione, seguendo due binari complementari che, come abbiamo visto, sono emersi evidentemente dal viaggio italiano di Dbeibah: rafforzare la cooperazione economica tra Roma e Tripoli e, contemporaneamente, cercare di trovare un'intesa per regolare l'arrivo dei migranti. È anche in tal senso che va del resto letto l'interessamento espresso dalla Farnesina per il Fezzan: area contigua al Sahel, la cui instabilità non fa che favorire attività illecite e accrescere i flussi migratori. È chiaro che questa strategia deve essere inserita in un quadro più ampio: sin da subito Draghi ha infatti lasciato intendere che l'Italia possa tornare protagonista in Libia soltanto in forza di un sostegno statunitense. È soprattutto per questo che il premier italiano ha optato, negli scorsi mesi, per un deciso allineamento a Washington, raffreddando significativamente i rapporti con Russia, Turchia e Cina.
Una linea delicata, che alcuni soggetti politici in Italia non vedono tuttavia troppo di buon occhio. È per esempio il caso di Romano Prodi che, intervenendo a un convegno di Formiche e ChinaMed, ha invocato un approccio più morbido dell'Europa nei confronti di Pechino. «Fino a pochi mesi fa, con la firma dell'accordo sugli investimenti Cai, la situazione era più serena, ma ora l'accordo è congelato», ha dichiarato l'ex premier. «Dobbiamo cambiare atteggiamento da entrambe le parti», ha aggiunto, «se vogliamo riaprire le relazioni. In questo momento è formalmente impossibile fare qualsiasi cosa».
Al di là di queste (significative) resistenze interne all'allineamento con Washington, Roma deve fare attenzione anche ad altri due rischi.
Innanzitutto il ruolo ostile della Turchia, che non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua influenza su Tripoli: sono del resto mesi che Ankara ha messo gli occhi sulla ricostruzione libica. In secondo luogo, la Libia continua ad essere caratterizzata da turbolenze interne. Non solo il generale Khalifa Haftar non sembra intenzionato a uscire di scena, ma - secondo Al Jazeera - potrebbe addirittura candidarsi alle elezioni del prossimo dicembre. Infine, bisogna fare attenzione alla Francia, dove oggi Dbeibah si recherà per incontrare Emmanuel Macron. Ora, non è troppo probabile che l'inquilino dell'Eliseo voglia tornare a spalleggiare il maresciallo della Cirenaica. Resta tuttavia il fatto che il premier libico cercherà investimenti anche a Parigi. Se è quindi vero che Draghi e Macron si stiano da tempo avvicinando tra loro, è altrettanto evidente che gli interessi italiani in Libia siano (potenzialmente) in conflitto con quelli francesi: dalla ricostruzione alla gestione dei flussi migratori. Farà quindi bene Roma a tenere alta la guardia.
La Procura in pressing sul cugino di Saman arrestato in Francia
Si cerca anche nelle vasche di scolo delle porcilaie, che i contadini della zona chiamano «tombe». E non è un buon segno. Anche se il padre dice che è viva, della diciottenne pachistana Saman Abbas non ci sono tracce da un mese e mezzo e i carabinieri di Guastalla e Reggio Emilia continuano a battere a tappeto le campagne di Novellara alla ricerca di un cadavere. Intanto, un cugino di questa ragazza che aveva osato rifiutare il matrimonio forzato è stato arrestato in Francia mentre tentava di raggiungere la Spagna. È stato appena riconosciuto come uno dei tre uomini della misteriosa missione del 29 aprile, immortalata dalle telecamere dal paese.
In Italia si continua a parlare poco, di questo possibile femminicidio maturato in un contesto claustrofobico e arretrato, in una semplice famiglia di origini pachistane, arrivata nella Bassa Reggiana per coltivare la terra, ma rimasta fedele alle proprie tradizioni e alla religione islamica. Un caso abbastanza evidente di mancata integrazione, nonostante Saman abbia avuto il coraggio, prima di Natale, di rivolgersi agli assistenti sociali, rifiutare il matrimonio con un cugino in Pakistan fissato per il 22 dicembre, denunciare i genitori e andare in una struttura protetta come fosse una pentita di mafia. Ma poi, diventata maggiorenne, ad aprile, la ragazza è tornata nella casa isolata tra i campi a Novellara. Ed è sparita. I genitori sono tornati in patria, ma di lei non c'è traccia e la Procura di Reggio Emilia ha cambiato il fascicolo da sequestro di persona a probabile omicidio. Con occultamento di cadavere. Sul registro degli indagati sono al momento in cinque, tra cui i genitori, due cugini e uno zio.
Al momento i due cugini sarebbero sospettati di avere avuto un qualche ruolo nella sparizione del corpo di Saman. Uno di essi, Ikram Ijaz, ieri è stato arrestato su richiesta della polizia italiana a Nimes ed è già partita la richiesta di estradizione, anche se non è da escludere che gl'inquirenti italiani facciano un blitz in Provenza per interrogarlo al più presto. Secondo i carabinieri, è uno dei tre uomini ripresi dalle telecamere dietro casa di Saman la sera del 29 aprile, con tanto di pale, secchio e un grande sacco azzurro. Ijaz è stato fermato il 21 maggio su un pullman Flixbus diretto in Spagna. Non aveva i documenti in regola ed è stato rinchiuso in un centro di identificazione per la successiva espulsione. Qui lo ha raggiunto la segnalazione delle autorità italiane.
Interessante anche un altro particolare del filmato, ovvero la presenza di un piede di porco tra gli attrezzi del misterioso terzetto. Secondo gl'investigatori, lo strumento sarebbe servito per aprire una stalla, una porcilaia (ce ne sono tantissime in quella zona) o dei tombini dei canali di scolo. Intervistato dalla Gazzetta di Reggio, un abitante di Novellara ha spiegato come funzionano le porcilaie nelle quali carabinieri e vigili del fuoco hanno scavato per tutta la giornata di ieri. «Tutte le stalle della zona, sotto le corsie dove deambulano gli animali, siano maiali o vacche, hanno una sorta di doppiofondo: una fossa per la raccolta dei liquami, che nel gergo contadino viene chiamata tomba», ha detto al quotidiano emiliano. E ha aggiunto: «quando la tomba si riempie, le deiezioni vengono pompate fuori in una autobotte e usate come concime. Per attingere al letame e permettere ispezioni, esistono alcuni tombini posizionati lungo le corsie e in fondo alle stalle, spesso immediatamente all'esterno». A un mese di distanza, se davvero il corpo è stato buttato in un posto simile, è praticamente impossibile che ne sia restato qualcosa.
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Riduci
Abdul Hamid Dbeibah vede a Roma Mario Draghi e Luigi Di Maio. Sul tavolo immigrazione e investimenti. Ma l'asse con Tripoli non piace a Parigi e Ankara.Il cugino di Saman Abbas arrestato in Francia: la ricerca del corpo si concentra sulle vasche di scolo delle porcilaie della zona. Lo speciale contiene due articoli.Roma punta a rafforzare la sua sponda con Tripoli. È questo, in estrema sintesi, il succo della visita compiuta ieri in Italia dal primo ministro libico, Abdul Hamid Dbeibah. «La collaborazione tra il governo del primo ministro Dbeibah e l'Italia continua a essere sempre più fertile e viva. L'Italia rimane a fianco della Libia e la sostiene in questa transizione complessa», ha dichiarato in tal senso il presidente del Consiglio Mario Draghi, ricevendo il suo omologo libico a Palazzo Chigi. «L'Italia», ha aggiunto, «rimane al fianco della Libia e conferma il suo convinto impegno per il consolidamento della pace e della sicurezza. Ribadiamo la nostra determinazione a collaborare con l'autorità esecutiva unificata ad interim e a sostenerla nelle prossime decisive fasi della transizione istituzionale». Nel dettaglio, il premier italiano ha assicurato cooperazione nel settore delle energie rinnovabili, oltre che in quelli di sanità e infrastrutture. In questo quadro, un tema centrale si è indubbiamente rivelato quello migratorio. «Ci siamo confrontati», ha detto Draghi, «sui temi migratori e umanitari, che rappresentano una priorità per la Libia e per l'Italia. Abbiamo preso in esame il controllo delle frontiere libiche, anche meridionali, il contrasto al traffico di esseri umani, l'assistenza ai rifugiati, i corridoi umanitari, e lo sviluppo delle comunità rurali. L'Italia intende continuare a finanziare i rimpatri volontari assistiti e le evacuazioni umanitarie dalla Libia. Ritengo sia interesse anche libico assicurare il pieno rispetto dei diritti di rifugiati e migranti». Ma la visita di Dbeibah non si è limitata all'incontro di Palazzo Chigi. Il premier ha infatti partecipato, insieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, anche a un business forum, tenutosi alla Farnesina con l'obiettivo di aprire la ricostruzione libica alle imprese italiane. Tra i presenti all'iniziativa, anche alti rappresentanti di aziende come Leonardo, Saipem, Eni, Snam, Fincantieri e Terna. «Il governo di unità nazionale è per noi oggi un interlocutore rappresentativo di tutto il Paese, con il quale possiamo e vogliamo pianificare i prossimi investimenti in tutto il territorio libico», ha dichiarato Di Maio, che ha anche annunciato la riattivazione del consolato italiano di Bengasi e l'apertura di uno nuovo a Sebha (nel Fezzan). Lo stesso Dbeibah ha, dal canto suo, definito l'Italia come il «miglior partner» per la ricostruzione libica, invocando un incremento dello scambio commerciale tra i due Paesi. Insomma, l'intraprendente strategia di Draghi nello scacchiere libico sembra stia iniziando a dare i suoi frutti: dopo un anno e mezzo di inconcludenza giallorossa, l'attuale premier italiano aveva d'altronde mostrato di avere le idee chiare nell'ambito della sua visita a Tripoli il mese scorso. E adesso cerca di passare all'azione, seguendo due binari complementari che, come abbiamo visto, sono emersi evidentemente dal viaggio italiano di Dbeibah: rafforzare la cooperazione economica tra Roma e Tripoli e, contemporaneamente, cercare di trovare un'intesa per regolare l'arrivo dei migranti. È anche in tal senso che va del resto letto l'interessamento espresso dalla Farnesina per il Fezzan: area contigua al Sahel, la cui instabilità non fa che favorire attività illecite e accrescere i flussi migratori. È chiaro che questa strategia deve essere inserita in un quadro più ampio: sin da subito Draghi ha infatti lasciato intendere che l'Italia possa tornare protagonista in Libia soltanto in forza di un sostegno statunitense. È soprattutto per questo che il premier italiano ha optato, negli scorsi mesi, per un deciso allineamento a Washington, raffreddando significativamente i rapporti con Russia, Turchia e Cina. Una linea delicata, che alcuni soggetti politici in Italia non vedono tuttavia troppo di buon occhio. È per esempio il caso di Romano Prodi che, intervenendo a un convegno di Formiche e ChinaMed, ha invocato un approccio più morbido dell'Europa nei confronti di Pechino. «Fino a pochi mesi fa, con la firma dell'accordo sugli investimenti Cai, la situazione era più serena, ma ora l'accordo è congelato», ha dichiarato l'ex premier. «Dobbiamo cambiare atteggiamento da entrambe le parti», ha aggiunto, «se vogliamo riaprire le relazioni. In questo momento è formalmente impossibile fare qualsiasi cosa». Al di là di queste (significative) resistenze interne all'allineamento con Washington, Roma deve fare attenzione anche ad altri due rischi. Innanzitutto il ruolo ostile della Turchia, che non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua influenza su Tripoli: sono del resto mesi che Ankara ha messo gli occhi sulla ricostruzione libica. In secondo luogo, la Libia continua ad essere caratterizzata da turbolenze interne. Non solo il generale Khalifa Haftar non sembra intenzionato a uscire di scena, ma - secondo Al Jazeera - potrebbe addirittura candidarsi alle elezioni del prossimo dicembre. Infine, bisogna fare attenzione alla Francia, dove oggi Dbeibah si recherà per incontrare Emmanuel Macron. Ora, non è troppo probabile che l'inquilino dell'Eliseo voglia tornare a spalleggiare il maresciallo della Cirenaica. Resta tuttavia il fatto che il premier libico cercherà investimenti anche a Parigi. Se è quindi vero che Draghi e Macron si stiano da tempo avvicinando tra loro, è altrettanto evidente che gli interessi italiani in Libia siano (potenzialmente) in conflitto con quelli francesi: dalla ricostruzione alla gestione dei flussi migratori. Farà quindi bene Roma a tenere alta la guardia. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/italia-libia-saman-2653191284.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-procura-in-pressing-sul-cugino-di-saman-arrestato-in-francia" data-post-id="2653191284" data-published-at="1622542636" data-use-pagination="False"> La Procura in pressing sul cugino di Saman arrestato in Francia Si cerca anche nelle vasche di scolo delle porcilaie, che i contadini della zona chiamano «tombe». E non è un buon segno. Anche se il padre dice che è viva, della diciottenne pachistana Saman Abbas non ci sono tracce da un mese e mezzo e i carabinieri di Guastalla e Reggio Emilia continuano a battere a tappeto le campagne di Novellara alla ricerca di un cadavere. Intanto, un cugino di questa ragazza che aveva osato rifiutare il matrimonio forzato è stato arrestato in Francia mentre tentava di raggiungere la Spagna. È stato appena riconosciuto come uno dei tre uomini della misteriosa missione del 29 aprile, immortalata dalle telecamere dal paese. In Italia si continua a parlare poco, di questo possibile femminicidio maturato in un contesto claustrofobico e arretrato, in una semplice famiglia di origini pachistane, arrivata nella Bassa Reggiana per coltivare la terra, ma rimasta fedele alle proprie tradizioni e alla religione islamica. Un caso abbastanza evidente di mancata integrazione, nonostante Saman abbia avuto il coraggio, prima di Natale, di rivolgersi agli assistenti sociali, rifiutare il matrimonio con un cugino in Pakistan fissato per il 22 dicembre, denunciare i genitori e andare in una struttura protetta come fosse una pentita di mafia. Ma poi, diventata maggiorenne, ad aprile, la ragazza è tornata nella casa isolata tra i campi a Novellara. Ed è sparita. I genitori sono tornati in patria, ma di lei non c'è traccia e la Procura di Reggio Emilia ha cambiato il fascicolo da sequestro di persona a probabile omicidio. Con occultamento di cadavere. Sul registro degli indagati sono al momento in cinque, tra cui i genitori, due cugini e uno zio. Al momento i due cugini sarebbero sospettati di avere avuto un qualche ruolo nella sparizione del corpo di Saman. Uno di essi, Ikram Ijaz, ieri è stato arrestato su richiesta della polizia italiana a Nimes ed è già partita la richiesta di estradizione, anche se non è da escludere che gl'inquirenti italiani facciano un blitz in Provenza per interrogarlo al più presto. Secondo i carabinieri, è uno dei tre uomini ripresi dalle telecamere dietro casa di Saman la sera del 29 aprile, con tanto di pale, secchio e un grande sacco azzurro. Ijaz è stato fermato il 21 maggio su un pullman Flixbus diretto in Spagna. Non aveva i documenti in regola ed è stato rinchiuso in un centro di identificazione per la successiva espulsione. Qui lo ha raggiunto la segnalazione delle autorità italiane. Interessante anche un altro particolare del filmato, ovvero la presenza di un piede di porco tra gli attrezzi del misterioso terzetto. Secondo gl'investigatori, lo strumento sarebbe servito per aprire una stalla, una porcilaia (ce ne sono tantissime in quella zona) o dei tombini dei canali di scolo. Intervistato dalla Gazzetta di Reggio, un abitante di Novellara ha spiegato come funzionano le porcilaie nelle quali carabinieri e vigili del fuoco hanno scavato per tutta la giornata di ieri. «Tutte le stalle della zona, sotto le corsie dove deambulano gli animali, siano maiali o vacche, hanno una sorta di doppiofondo: una fossa per la raccolta dei liquami, che nel gergo contadino viene chiamata tomba», ha detto al quotidiano emiliano. E ha aggiunto: «quando la tomba si riempie, le deiezioni vengono pompate fuori in una autobotte e usate come concime. Per attingere al letame e permettere ispezioni, esistono alcuni tombini posizionati lungo le corsie e in fondo alle stalle, spesso immediatamente all'esterno». A un mese di distanza, se davvero il corpo è stato buttato in un posto simile, è praticamente impossibile che ne sia restato qualcosa.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Riduci
Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.