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2021-06-01
Il premier libico fa le moine all’Italia: «È il nostro miglior partner»
Abdulhamid Dbeibah e Mario Draghi (Ansa)
Roma punta a rafforzare la sua sponda con Tripoli. È questo, in estrema sintesi, il succo della visita compiuta ieri in Italia dal primo ministro libico, Abdul Hamid Dbeibah. «La collaborazione tra il governo del primo ministro Dbeibah e l'Italia continua a essere sempre più fertile e viva. L'Italia rimane a fianco della Libia e la sostiene in questa transizione complessa», ha dichiarato in tal senso il presidente del Consiglio Mario Draghi, ricevendo il suo omologo libico a Palazzo Chigi.
«L'Italia», ha aggiunto, «rimane al fianco della Libia e conferma il suo convinto impegno per il consolidamento della pace e della sicurezza. Ribadiamo la nostra determinazione a collaborare con l'autorità esecutiva unificata ad interim e a sostenerla nelle prossime decisive fasi della transizione istituzionale».
Nel dettaglio, il premier italiano ha assicurato cooperazione nel settore delle energie rinnovabili, oltre che in quelli di sanità e infrastrutture. In questo quadro, un tema centrale si è indubbiamente rivelato quello migratorio. «Ci siamo confrontati», ha detto Draghi, «sui temi migratori e umanitari, che rappresentano una priorità per la Libia e per l'Italia. Abbiamo preso in esame il controllo delle frontiere libiche, anche meridionali, il contrasto al traffico di esseri umani, l'assistenza ai rifugiati, i corridoi umanitari, e lo sviluppo delle comunità rurali. L'Italia intende continuare a finanziare i rimpatri volontari assistiti e le evacuazioni umanitarie dalla Libia. Ritengo sia interesse anche libico assicurare il pieno rispetto dei diritti di rifugiati e migranti».
Ma la visita di Dbeibah non si è limitata all'incontro di Palazzo Chigi. Il premier ha infatti partecipato, insieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, anche a un business forum, tenutosi alla Farnesina con l'obiettivo di aprire la ricostruzione libica alle imprese italiane. Tra i presenti all'iniziativa, anche alti rappresentanti di aziende come Leonardo, Saipem, Eni, Snam, Fincantieri e Terna. «Il governo di unità nazionale è per noi oggi un interlocutore rappresentativo di tutto il Paese, con il quale possiamo e vogliamo pianificare i prossimi investimenti in tutto il territorio libico», ha dichiarato Di Maio, che ha anche annunciato la riattivazione del consolato italiano di Bengasi e l'apertura di uno nuovo a Sebha (nel Fezzan). Lo stesso Dbeibah ha, dal canto suo, definito l'Italia come il «miglior partner» per la ricostruzione libica, invocando un incremento dello scambio commerciale tra i due Paesi.
Insomma, l'intraprendente strategia di Draghi nello scacchiere libico sembra stia iniziando a dare i suoi frutti: dopo un anno e mezzo di inconcludenza giallorossa, l'attuale premier italiano aveva d'altronde mostrato di avere le idee chiare nell'ambito della sua visita a Tripoli il mese scorso. E adesso cerca di passare all'azione, seguendo due binari complementari che, come abbiamo visto, sono emersi evidentemente dal viaggio italiano di Dbeibah: rafforzare la cooperazione economica tra Roma e Tripoli e, contemporaneamente, cercare di trovare un'intesa per regolare l'arrivo dei migranti. È anche in tal senso che va del resto letto l'interessamento espresso dalla Farnesina per il Fezzan: area contigua al Sahel, la cui instabilità non fa che favorire attività illecite e accrescere i flussi migratori. È chiaro che questa strategia deve essere inserita in un quadro più ampio: sin da subito Draghi ha infatti lasciato intendere che l'Italia possa tornare protagonista in Libia soltanto in forza di un sostegno statunitense. È soprattutto per questo che il premier italiano ha optato, negli scorsi mesi, per un deciso allineamento a Washington, raffreddando significativamente i rapporti con Russia, Turchia e Cina.
Una linea delicata, che alcuni soggetti politici in Italia non vedono tuttavia troppo di buon occhio. È per esempio il caso di Romano Prodi che, intervenendo a un convegno di Formiche e ChinaMed, ha invocato un approccio più morbido dell'Europa nei confronti di Pechino. «Fino a pochi mesi fa, con la firma dell'accordo sugli investimenti Cai, la situazione era più serena, ma ora l'accordo è congelato», ha dichiarato l'ex premier. «Dobbiamo cambiare atteggiamento da entrambe le parti», ha aggiunto, «se vogliamo riaprire le relazioni. In questo momento è formalmente impossibile fare qualsiasi cosa».
Al di là di queste (significative) resistenze interne all'allineamento con Washington, Roma deve fare attenzione anche ad altri due rischi.
Innanzitutto il ruolo ostile della Turchia, che non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua influenza su Tripoli: sono del resto mesi che Ankara ha messo gli occhi sulla ricostruzione libica. In secondo luogo, la Libia continua ad essere caratterizzata da turbolenze interne. Non solo il generale Khalifa Haftar non sembra intenzionato a uscire di scena, ma - secondo Al Jazeera - potrebbe addirittura candidarsi alle elezioni del prossimo dicembre. Infine, bisogna fare attenzione alla Francia, dove oggi Dbeibah si recherà per incontrare Emmanuel Macron. Ora, non è troppo probabile che l'inquilino dell'Eliseo voglia tornare a spalleggiare il maresciallo della Cirenaica. Resta tuttavia il fatto che il premier libico cercherà investimenti anche a Parigi. Se è quindi vero che Draghi e Macron si stiano da tempo avvicinando tra loro, è altrettanto evidente che gli interessi italiani in Libia siano (potenzialmente) in conflitto con quelli francesi: dalla ricostruzione alla gestione dei flussi migratori. Farà quindi bene Roma a tenere alta la guardia.
La Procura in pressing sul cugino di Saman arrestato in Francia
Si cerca anche nelle vasche di scolo delle porcilaie, che i contadini della zona chiamano «tombe». E non è un buon segno. Anche se il padre dice che è viva, della diciottenne pachistana Saman Abbas non ci sono tracce da un mese e mezzo e i carabinieri di Guastalla e Reggio Emilia continuano a battere a tappeto le campagne di Novellara alla ricerca di un cadavere. Intanto, un cugino di questa ragazza che aveva osato rifiutare il matrimonio forzato è stato arrestato in Francia mentre tentava di raggiungere la Spagna. È stato appena riconosciuto come uno dei tre uomini della misteriosa missione del 29 aprile, immortalata dalle telecamere dal paese.
In Italia si continua a parlare poco, di questo possibile femminicidio maturato in un contesto claustrofobico e arretrato, in una semplice famiglia di origini pachistane, arrivata nella Bassa Reggiana per coltivare la terra, ma rimasta fedele alle proprie tradizioni e alla religione islamica. Un caso abbastanza evidente di mancata integrazione, nonostante Saman abbia avuto il coraggio, prima di Natale, di rivolgersi agli assistenti sociali, rifiutare il matrimonio con un cugino in Pakistan fissato per il 22 dicembre, denunciare i genitori e andare in una struttura protetta come fosse una pentita di mafia. Ma poi, diventata maggiorenne, ad aprile, la ragazza è tornata nella casa isolata tra i campi a Novellara. Ed è sparita. I genitori sono tornati in patria, ma di lei non c'è traccia e la Procura di Reggio Emilia ha cambiato il fascicolo da sequestro di persona a probabile omicidio. Con occultamento di cadavere. Sul registro degli indagati sono al momento in cinque, tra cui i genitori, due cugini e uno zio.
Al momento i due cugini sarebbero sospettati di avere avuto un qualche ruolo nella sparizione del corpo di Saman. Uno di essi, Ikram Ijaz, ieri è stato arrestato su richiesta della polizia italiana a Nimes ed è già partita la richiesta di estradizione, anche se non è da escludere che gl'inquirenti italiani facciano un blitz in Provenza per interrogarlo al più presto. Secondo i carabinieri, è uno dei tre uomini ripresi dalle telecamere dietro casa di Saman la sera del 29 aprile, con tanto di pale, secchio e un grande sacco azzurro. Ijaz è stato fermato il 21 maggio su un pullman Flixbus diretto in Spagna. Non aveva i documenti in regola ed è stato rinchiuso in un centro di identificazione per la successiva espulsione. Qui lo ha raggiunto la segnalazione delle autorità italiane.
Interessante anche un altro particolare del filmato, ovvero la presenza di un piede di porco tra gli attrezzi del misterioso terzetto. Secondo gl'investigatori, lo strumento sarebbe servito per aprire una stalla, una porcilaia (ce ne sono tantissime in quella zona) o dei tombini dei canali di scolo. Intervistato dalla Gazzetta di Reggio, un abitante di Novellara ha spiegato come funzionano le porcilaie nelle quali carabinieri e vigili del fuoco hanno scavato per tutta la giornata di ieri. «Tutte le stalle della zona, sotto le corsie dove deambulano gli animali, siano maiali o vacche, hanno una sorta di doppiofondo: una fossa per la raccolta dei liquami, che nel gergo contadino viene chiamata tomba», ha detto al quotidiano emiliano. E ha aggiunto: «quando la tomba si riempie, le deiezioni vengono pompate fuori in una autobotte e usate come concime. Per attingere al letame e permettere ispezioni, esistono alcuni tombini posizionati lungo le corsie e in fondo alle stalle, spesso immediatamente all'esterno». A un mese di distanza, se davvero il corpo è stato buttato in un posto simile, è praticamente impossibile che ne sia restato qualcosa.
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Abdul Hamid Dbeibah vede a Roma Mario Draghi e Luigi Di Maio. Sul tavolo immigrazione e investimenti. Ma l'asse con Tripoli non piace a Parigi e Ankara.Il cugino di Saman Abbas arrestato in Francia: la ricerca del corpo si concentra sulle vasche di scolo delle porcilaie della zona. Lo speciale contiene due articoli.Roma punta a rafforzare la sua sponda con Tripoli. È questo, in estrema sintesi, il succo della visita compiuta ieri in Italia dal primo ministro libico, Abdul Hamid Dbeibah. «La collaborazione tra il governo del primo ministro Dbeibah e l'Italia continua a essere sempre più fertile e viva. L'Italia rimane a fianco della Libia e la sostiene in questa transizione complessa», ha dichiarato in tal senso il presidente del Consiglio Mario Draghi, ricevendo il suo omologo libico a Palazzo Chigi. «L'Italia», ha aggiunto, «rimane al fianco della Libia e conferma il suo convinto impegno per il consolidamento della pace e della sicurezza. Ribadiamo la nostra determinazione a collaborare con l'autorità esecutiva unificata ad interim e a sostenerla nelle prossime decisive fasi della transizione istituzionale». Nel dettaglio, il premier italiano ha assicurato cooperazione nel settore delle energie rinnovabili, oltre che in quelli di sanità e infrastrutture. In questo quadro, un tema centrale si è indubbiamente rivelato quello migratorio. «Ci siamo confrontati», ha detto Draghi, «sui temi migratori e umanitari, che rappresentano una priorità per la Libia e per l'Italia. Abbiamo preso in esame il controllo delle frontiere libiche, anche meridionali, il contrasto al traffico di esseri umani, l'assistenza ai rifugiati, i corridoi umanitari, e lo sviluppo delle comunità rurali. L'Italia intende continuare a finanziare i rimpatri volontari assistiti e le evacuazioni umanitarie dalla Libia. Ritengo sia interesse anche libico assicurare il pieno rispetto dei diritti di rifugiati e migranti». Ma la visita di Dbeibah non si è limitata all'incontro di Palazzo Chigi. Il premier ha infatti partecipato, insieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, anche a un business forum, tenutosi alla Farnesina con l'obiettivo di aprire la ricostruzione libica alle imprese italiane. Tra i presenti all'iniziativa, anche alti rappresentanti di aziende come Leonardo, Saipem, Eni, Snam, Fincantieri e Terna. «Il governo di unità nazionale è per noi oggi un interlocutore rappresentativo di tutto il Paese, con il quale possiamo e vogliamo pianificare i prossimi investimenti in tutto il territorio libico», ha dichiarato Di Maio, che ha anche annunciato la riattivazione del consolato italiano di Bengasi e l'apertura di uno nuovo a Sebha (nel Fezzan). Lo stesso Dbeibah ha, dal canto suo, definito l'Italia come il «miglior partner» per la ricostruzione libica, invocando un incremento dello scambio commerciale tra i due Paesi. Insomma, l'intraprendente strategia di Draghi nello scacchiere libico sembra stia iniziando a dare i suoi frutti: dopo un anno e mezzo di inconcludenza giallorossa, l'attuale premier italiano aveva d'altronde mostrato di avere le idee chiare nell'ambito della sua visita a Tripoli il mese scorso. E adesso cerca di passare all'azione, seguendo due binari complementari che, come abbiamo visto, sono emersi evidentemente dal viaggio italiano di Dbeibah: rafforzare la cooperazione economica tra Roma e Tripoli e, contemporaneamente, cercare di trovare un'intesa per regolare l'arrivo dei migranti. È anche in tal senso che va del resto letto l'interessamento espresso dalla Farnesina per il Fezzan: area contigua al Sahel, la cui instabilità non fa che favorire attività illecite e accrescere i flussi migratori. È chiaro che questa strategia deve essere inserita in un quadro più ampio: sin da subito Draghi ha infatti lasciato intendere che l'Italia possa tornare protagonista in Libia soltanto in forza di un sostegno statunitense. È soprattutto per questo che il premier italiano ha optato, negli scorsi mesi, per un deciso allineamento a Washington, raffreddando significativamente i rapporti con Russia, Turchia e Cina. Una linea delicata, che alcuni soggetti politici in Italia non vedono tuttavia troppo di buon occhio. È per esempio il caso di Romano Prodi che, intervenendo a un convegno di Formiche e ChinaMed, ha invocato un approccio più morbido dell'Europa nei confronti di Pechino. «Fino a pochi mesi fa, con la firma dell'accordo sugli investimenti Cai, la situazione era più serena, ma ora l'accordo è congelato», ha dichiarato l'ex premier. «Dobbiamo cambiare atteggiamento da entrambe le parti», ha aggiunto, «se vogliamo riaprire le relazioni. In questo momento è formalmente impossibile fare qualsiasi cosa». Al di là di queste (significative) resistenze interne all'allineamento con Washington, Roma deve fare attenzione anche ad altri due rischi. Innanzitutto il ruolo ostile della Turchia, che non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua influenza su Tripoli: sono del resto mesi che Ankara ha messo gli occhi sulla ricostruzione libica. In secondo luogo, la Libia continua ad essere caratterizzata da turbolenze interne. Non solo il generale Khalifa Haftar non sembra intenzionato a uscire di scena, ma - secondo Al Jazeera - potrebbe addirittura candidarsi alle elezioni del prossimo dicembre. Infine, bisogna fare attenzione alla Francia, dove oggi Dbeibah si recherà per incontrare Emmanuel Macron. Ora, non è troppo probabile che l'inquilino dell'Eliseo voglia tornare a spalleggiare il maresciallo della Cirenaica. Resta tuttavia il fatto che il premier libico cercherà investimenti anche a Parigi. Se è quindi vero che Draghi e Macron si stiano da tempo avvicinando tra loro, è altrettanto evidente che gli interessi italiani in Libia siano (potenzialmente) in conflitto con quelli francesi: dalla ricostruzione alla gestione dei flussi migratori. Farà quindi bene Roma a tenere alta la guardia. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/italia-libia-saman-2653191284.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-procura-in-pressing-sul-cugino-di-saman-arrestato-in-francia" data-post-id="2653191284" data-published-at="1622542636" data-use-pagination="False"> La Procura in pressing sul cugino di Saman arrestato in Francia Si cerca anche nelle vasche di scolo delle porcilaie, che i contadini della zona chiamano «tombe». E non è un buon segno. Anche se il padre dice che è viva, della diciottenne pachistana Saman Abbas non ci sono tracce da un mese e mezzo e i carabinieri di Guastalla e Reggio Emilia continuano a battere a tappeto le campagne di Novellara alla ricerca di un cadavere. Intanto, un cugino di questa ragazza che aveva osato rifiutare il matrimonio forzato è stato arrestato in Francia mentre tentava di raggiungere la Spagna. È stato appena riconosciuto come uno dei tre uomini della misteriosa missione del 29 aprile, immortalata dalle telecamere dal paese. In Italia si continua a parlare poco, di questo possibile femminicidio maturato in un contesto claustrofobico e arretrato, in una semplice famiglia di origini pachistane, arrivata nella Bassa Reggiana per coltivare la terra, ma rimasta fedele alle proprie tradizioni e alla religione islamica. Un caso abbastanza evidente di mancata integrazione, nonostante Saman abbia avuto il coraggio, prima di Natale, di rivolgersi agli assistenti sociali, rifiutare il matrimonio con un cugino in Pakistan fissato per il 22 dicembre, denunciare i genitori e andare in una struttura protetta come fosse una pentita di mafia. Ma poi, diventata maggiorenne, ad aprile, la ragazza è tornata nella casa isolata tra i campi a Novellara. Ed è sparita. I genitori sono tornati in patria, ma di lei non c'è traccia e la Procura di Reggio Emilia ha cambiato il fascicolo da sequestro di persona a probabile omicidio. Con occultamento di cadavere. Sul registro degli indagati sono al momento in cinque, tra cui i genitori, due cugini e uno zio. Al momento i due cugini sarebbero sospettati di avere avuto un qualche ruolo nella sparizione del corpo di Saman. Uno di essi, Ikram Ijaz, ieri è stato arrestato su richiesta della polizia italiana a Nimes ed è già partita la richiesta di estradizione, anche se non è da escludere che gl'inquirenti italiani facciano un blitz in Provenza per interrogarlo al più presto. Secondo i carabinieri, è uno dei tre uomini ripresi dalle telecamere dietro casa di Saman la sera del 29 aprile, con tanto di pale, secchio e un grande sacco azzurro. Ijaz è stato fermato il 21 maggio su un pullman Flixbus diretto in Spagna. Non aveva i documenti in regola ed è stato rinchiuso in un centro di identificazione per la successiva espulsione. Qui lo ha raggiunto la segnalazione delle autorità italiane. Interessante anche un altro particolare del filmato, ovvero la presenza di un piede di porco tra gli attrezzi del misterioso terzetto. Secondo gl'investigatori, lo strumento sarebbe servito per aprire una stalla, una porcilaia (ce ne sono tantissime in quella zona) o dei tombini dei canali di scolo. Intervistato dalla Gazzetta di Reggio, un abitante di Novellara ha spiegato come funzionano le porcilaie nelle quali carabinieri e vigili del fuoco hanno scavato per tutta la giornata di ieri. «Tutte le stalle della zona, sotto le corsie dove deambulano gli animali, siano maiali o vacche, hanno una sorta di doppiofondo: una fossa per la raccolta dei liquami, che nel gergo contadino viene chiamata tomba», ha detto al quotidiano emiliano. E ha aggiunto: «quando la tomba si riempie, le deiezioni vengono pompate fuori in una autobotte e usate come concime. Per attingere al letame e permettere ispezioni, esistono alcuni tombini posizionati lungo le corsie e in fondo alle stalle, spesso immediatamente all'esterno». A un mese di distanza, se davvero il corpo è stato buttato in un posto simile, è praticamente impossibile che ne sia restato qualcosa.
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.