
Lo chef Stefano Polato ha cucinato i piatti per la missione del cosmonauta: «In orbita serve una dieta con antiossidanti per contrastare l'invecchiamento. Ma non bisogna rinunciare alle delizie nostrane, anche se liofilizzate».Potessero esprimere emozioni, le melanzane scelte per la preparazione delle porzioni di parmigiana consumate nella Stazione spaziale internazionale da Luca Parmitano, gongolerebbero. Non è infatti privilegio concesso al folto popolo degli ortaggi quello di essere selezionati per la composizione di una specialità nazionale appartenente a un menu gustato in orbita negli spazi siderali, in una piattaforma che viaggia a 26.700 chilometri orari a un'altezza compresa tra i 330 e i 410 chilometri di distanza dalla Terra. Ma nei pasti del cosmonauta siciliano, primo connazionale a vantare nel suo curriculum una passeggiata spaziale, partito alle 18 e 28 - ora italiana - del 20 luglio 2019, anniversario dell'allunaggio Usa, dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan, a bordo della capsula Soyuz Ms-13 e diretto alla stazione orbitante, raggiunta dopo 6 ore di volo, saranno disponibili altri piatti della tradizione nostrana da lui stesso scelti, che integreranno una dieta standard e probabilmente meno appetitosa. Nel dettaglio, lasagne alla bolognese, caponata e tiramisù. Si tratta di un bonus food extra, che potrà coprire circa il 30-40 per cento dei suoi bisogni alimentari nel corso della missione Beyond, il cui obiettivo è condurre oltre 250 esperimenti scientifici e che si concluderà il 6 febbraio 2020. I suoi due compagni di viaggio alla ricerca degli enigmi del cosmo, lo statunitense Drew Morgan e il russo Alexander Skvortsov, non beneficiano invece del bonus attinto dalle gastronomie di bandiera, non avendolo richiesto, e si accontentano delle razioni spaziali d'ordinanza. Magari, ai due colleghi, qualche forchettata di deliziosa parmigiana gliela farà assaggiare. A cucinare i manicaretti trasportati negli spazi silenziosi sopra la Terra è stato uno chef veneto, Stefano Polato, classe 1981, nato e residente a Monselice (Padova), che dopo la laurea in Conservazione dei beni culturali a Venezia, si è diplomato nel 2005 nella prestigiosa scuola di cucina Academy Boscolo etoile, all'epoca con sede a Chioggia. Oggi dirige un'accademia culinaria a Monselice, Avamposto 43, da lui stesso fondata.Come ha avuto origine la sua avventura di chef degli astronauti? «Dalla mia passione per le tecnologie per la cottura sottovuoto a bassa temperatura, che nel 2006, era ancora agli albori. E dal desiderio di cercare metodi originali per conservare i valori nutrizionali iniziali degli alimenti, di quei cibi vivi che ho apprezzato durante la mia infanzia trascorsa con i miei nonni, senza alterarne la qualità. Poi è seguito l'approfondimento degli studi sul bilanciamento degli ingredienti, sulla nutrigenomica e sulla nutrigenetica, ossia il nutrimento dei geni e la possibilità da parte degli alimenti di influire sulla modulazione del Dna. Determinanti sono stati l'incontro e l'amicizia con Filippo Ongaro, trevigiano, primo medico italiano antiaging, camice bianco degli astronauti presso l'Agenzia Spaziale Europea (Esa) dal 2000 al 2007. Quando Samantha Cristoforetti (trentina di Malè, classe 1977, è stata la prima astronauta italiana negli equipaggi dell'Esa, ndr), di cui Ongaro era medico personale, gli chiese una dieta personalizzata, diversa da quella standard garantita dalla Nasa, più bilanciata e ricca di antiossidanti e antinfiammatori, fui da lui coinvolto».Perché è importante la funzione degli alimenti per contrastare l'invecchiamento nello spazio?«In assenza di gravità, una persona che vive nello spazio per 6 mesi subisce un invecchiamento cellulare equivalente a quello che avviene in 10 anni sulla Terra».Quali portate scelse la Cristoforetti?«Insalata di quinoa con sgombro e verdure, zuppa di legumi - con ingredienti provenienti da presidi Slow food - riso con verdure, pollo e curry, snack a base di spirulina (micro-alga di color verde-blu ad elevato valore nutrizionale, ndr)». Il menu per gli astronauti che con l'Apollo 11 allunarono nel 1969 comprendeva una lunga lista di alimenti, in diversi stati di trattamento e utilizzo, naturale, termostabilizzato, intermedio, reidratabile. Solo per fare degli esempi, quadretti di pancetta, uova strapazzate, cornflakes, cocktail di frutta reidratabili a colazione, zuppa di riso e pollo, gamberi, insalata di tonno, spaghetti con ragù di carne reidratabili, bistecche, polpette, tacchino in salsa termostabilizzati a pranzo e a cena. Sono cambiati molto, in mezzo secolo, i connotati della dieta in orbita?«Sono profondamente cambiati, e in ciò ha inciso soprattutto il fatto che se all'epoca le missioni erano abbastanza brevi, ora possono durare parecchi mesi. Ai tempi di Armstrong e Aldrin, si fornivano agli astronauti quasi gli stessi alimenti in dotazione all'esercito nelle razioni K. Oggi, invece, i cibi sono confezionati su misura e la loro scelta è attenta non solo a garantire un adeguato supporto nutrizionale nel tempo, ma anche l'appagamento del gusto». Attraverso quali metodi sono conservati gli alimenti inviati nel cosmo che lei cucina?«Dopo aver individuato i gusti dell'astronauta e preso atto degli esiti dei test di assaggio, studi di fattibilità definiscono il trattamento migliore, tenendo presente che, nello spazio, l'errore non può essere un'opzione. I cibi devono essere conservati, nel cosmo, a temperatura ambiente e le tecnologie impiegate sono quelle della liofilizzazione, mediante la quale il prodotto è reso anidro per poi essere reidratato per il consumo, o della termostabilizzazione, ossia abbattimento della carica batterica senza disidratazione. Ad esempio, la lasagna alla bolognese scelta da Luca Parmitano è termostabilizzata, il che significa che va soltanto riscaldata dall'astronauta attraverso una valigetta che funziona come una sorta di tostapane. C'è da dire anche che ogni alimento che preparo allo Space food lab di Torino, azienda del gruppo Argotec, deve ricevere l'ok dalla Nasa, che realizza i test di laboratorio a Houston, per verificare la sua idoneità allo spazio». Il menu gettonato da Parmitano è all'insegna della tradizione italiana. Lei ha accontentato anche i desideri di un altro astronauta italiano, il brianzolo Paolo Nespoli. Ci dica due piatti scelti.«Risotto con zafferano, funghi e carne bianca, tiramisù».Da dove provengono gli ingredienti dei suoi menu astrali?«Nella quasi totalità sono italiani, a parte ovvie eccezioni, come il quinoa. Con particolare attenzione alla tracciabilità di filiera e ai metodi di produzione, preferibilmente bio e biodinamici». Il vino è meglio lasciarlo sul pianeta Terra?«Nulla precluderebbe il suo consumo in orbita, ma ovvi motivi soprattutto di immagine ne sconsigliano l'utilizzo nelle missioni». In assenza di gravità, si possono aggiungere sale e pepe agli alimenti consumati?«Certo, ma tenendo presente che non si può correre il rischio di disperdere granelli e ciò vale anche per qualsiasi tipo di frammento, che potrebbe mettere a repentaglio il funzionamento delle attrezzature di bordo. Sale e pepe sono disponibili allo stato liquido e si possono dosare con un contagocce».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





