2024-01-16
Il ticket Ursula-Draghi «svuoterà» gli Stati
Ursula von der Leyen (Ansa)
Le ricette economiche del capo della Commissione e dell’ex premier italiano rischiano di comprimere ancor di più gli spazi democratici dei Paesi membri. E anche la tanto decantata «road map» non riuscirà a ridurre il divario con Cina e America.Mentre Berlino è assediata dai trattori degli agricoltori inferociti dalle dissennate politiche del governo tedesco, Ursula von der Leyen è impegnatissima a cercare una riconferma come presidente della Commissione per la prossima legislatura europea. Nei corridoi di Bruxelles non si parla d’altro che dello sforzo dell’esponente tedesca di accreditarsi in tutti i modi per raggiungere questo obiettivo. Del disegno fa parte certamente anche l’incarico affidato a Mario Draghi di disegnare un percorso di crescita economica, dopo la drammatica perdita di competitività dell’eurozona e dell’intera Unione.«Competitività ma non a scapito di welfare e transizione verde», queste le conclusioni di Ursula von der Leyen e Mario Draghi dal seminario a porte chiuse organizzato dalla Commissione europea la settimana scorsa sulla situazione dell’economia.«C’è la necessità di definire una roadmap ampia e dettagliata, che identifichi chiaramente priorità, linee d’azione e politiche da mettere in atto nei diversi settori» ha detto Draghi nell’occasione.L’ex presidente della Banca centrale europea sta ascoltando, in questa fase, esponenti del mondo delle imprese e della finanza. Gli spunti raccolti, secondo le intenzioni dichiarate, saranno parte di uno studio con proposte di politiche economiche. Inevitabilmente, il campo si allargherà all’architettura istituzionale dell’Unione, con idee di modifica dei trattati.Il pensiero di Mario Draghi sull’evoluzione dell’Unione europea è noto da quando l’Economist pubblicò a settembre 2023 un suo intervento: maggiore accentramento delle politiche fiscali per sottrarre poteri agli Stati e trasferimento a Bruxelles della regia degli interventi pubblici nell’economia. In questo modo sottraendo ulteriori competenze alle democrazie nazionali per portarle ad un livello insindacabile politicamente. L’idea di un debito in comune, infatti, porta con sé il trasferimento della facoltà di spesa verso un centro decisionale sovranazionale.Gli stati, cioè le democrazie rappresentative, saranno legati mani e piedi alla Commissione. Altro che Pnrr. Il Piano Draghi prevederà una modifica dei trattati, tra cui non potrà non esserci l’abolizione dell’unanimità nel Consiglio europeo, per isolare i Paesi riottosi e andare avanti a colpi di maggioranza.Nella realtà, qualunque riforma faccia, l’Ue non è in grado di stare al passo con Cina e Usa per la sua insita natura di economia a lenta crescita, dato il focus su controllo dell’inflazione, divieto di aiuti di stato, bassa domanda interna, deflazione salariale, export e austerità. Il Green deal con le sue politiche recessive e socialmente regressive viene a complicare una situazione già disastrosa.La «road map» si chiama in realtà politica economica ed una volta era appannaggio degli Stati. I rappresentanti eletti che la mettevano in atto erano sottoposti al controllo politico degli elettori. Oggi invece c’è un pugno di tecnocrati politicamente irresponsabili che decidono a tavolino e non pagano alcun prezzo per i disastri che causano. Non si tratta di nazionalismo o di autarchia, bensì di una questione, molto pressante, di democrazia.È evidente il tentativo di Ursula von der Leyen di blindare sé stessa quale unica candidata alla guida della prossima Commissione. Draghi sta scrivendo, di fatto, il programma politico che la Von der Leyen si propone di attuare una volta confermata nell’incarico dal prossimo Parlamento, dopo le elezioni europee.A quel punto, peraltro, sembrerebbe naturale che a presiedere da novembre il Consiglio europeo andasse proprio Mario Draghi. Chi meglio dell’autore del programma politico dell’Unione può garantirne l’attuazione? Si va insomma verso un tandem Von der Leyen-Draghi per la prossima legislatura europea, anche a prescindere dalla maggioranza politica che risulterà nel Parlamento europeo dopo le elezioni. Puntando a darsi un profilo da custode istituzionale, infatti, la Von der Leyen mira ad accreditarsi come traghettatrice verso un’Unione più competitiva, e perciò accettabile anche da un Parlamento più spostato a destra dell’attuale. La sponda di Mario Draghi le è indispensabile per giovarsi dei riflessi derivanti dalla considerazione di cui gode l’ex presidente del Consiglio italiano. La presidente della Commissione si sta facendo vedere molto e domani sarà a Forlì dove incontrerà Giorgia Meloni nelle terre colpite dall’alluvione del maggio scorso. Il tentativo di ingraziarsi i favori italiani rischia però di scontrarsi con la protesta del presidio degli alluvionati, che hanno organizzato una manifestazione di protesta cui parteciperanno varie sigle, dall’Anpi alla Cgil a Fridays for future. Due fattori non secondari, inoltre, potrebbero mandare a monte il piano.Il primo è il cosiddetto Pfizergate, ovvero l’inchiesta sui messaggi sms scambiati tra la presidente della Commissione e l’amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla. È atteso entro marzo l’esito dell’esame della questione da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea. Anche se probabilmente nessuno vedrà mai tali messaggi, un verdetto di censura potrebbe essere deleterio per l’immagine della von der Leyen.Il secondo è l’esito delle elezioni europee di giugno. Se le forze politiche più a destra ottenessero nel segreto dell’urna risultati superiori gli attuali sondaggi, ne risulterebbe indebolito il Ppe, che ad oggi ha ancora un ruolo centrale nella formazione di una maggioranza a Strasburgo. A quel punto, per la Von der Leyen non sarebbe facile restare dove si trova.