Attivo dal 2002, l’organismo ha condannato solo 11 delinquenti. Ma i giudici prendono 180.000 euro l’anno più benefit e pensione a 62 anni. E ora Trump fa scattare le sanzioni.
Attivo dal 2002, l’organismo ha condannato solo 11 delinquenti. Ma i giudici prendono 180.000 euro l’anno più benefit e pensione a 62 anni. E ora Trump fa scattare le sanzioni.Da quando è entrata a regime, nel 2002, la Corte penale internazionale dell’Aia è riuscita a condannare soltanto undici criminali. Una media di uno ogni due anni; pochino, anche se, forse, non troppo peggio del sistema giudiziario italiano.Nel frattempo, le 18 toghe che la compongono si sono comunque assicurate una cospicua remunerazione di 180.000 euro netti l’anno, per tutti i nove anni del mandato. Il presidente si becca una maggiorazione di 18.000 euro e qualche benefit se lo godono pure i due vicepresidenti, i quali possono incassare 100 euro per ogni giorno in cui svolgono le funzioni del presidente, fino a un massimo di 10.000 euro annui. Poi ci sono le altre accortezze: la copertura delle spese di viaggio; una pensione che scatta al compimento dei 62 anni, cioè ben al di sotto della soglia d’età che tocca raggiungere a tanti lavoratori italiani; la reversibilità per il coniuge del magistrato e per i suoi figli minori, ai quali spetta anche una borsa di studio.In effetti, sul suo sito, la Cpi vanta statistiche di produttività che non sembrano proprio giustificare quei generosi emolumenti: 60 mandati d’arresto, 21 dei quali eseguiti, mentre 31 sospettati restano latitanti; nove mandati di comparizione; sette imputati scagionati per cause di forza maggiore, ossia perché, mentre andava avanti il procedimento, sono passati a miglior vita; 15 sentenze definitive, tra cui quattro assoluzioni.Certo, bisogna ammettere che la Corte opera in un contesto delicatissimo, con oggettive difficoltà nel raccogliere le prove dei delitti e nell’assicurare alla giustizia i responsabili delle malefatte sulle quali è competente: genocidi, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, aggressioni armate nei confronti di Stati sovrani, nonché ostacoli alle attività del collegio stesso, l’illecito che sarebbe divenuto oggetto di un fascicolo sull’Italia, smentito dal nostro governo.Ma a parte il tentativo di portare alla sbarra imputati eccellenti, tipo Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu, e l’improvvisa notorietà guadagnata per la vicenda Almasri, all’organizzazione manca un caso storico come quello che capitò alla Corte internazionale di giustizia. Si tratta di due tribunali diversi: il secondo ha sempre sede all’Aia ma, a differenza della Cpi, è una branca dell’Onu. Dopo le guerre nella ex Jugoslavia, ottenne la cattura dell’ex presidente serbo Slobodan Milosevic, morto in una cella della città olandese nel 2006.Con ogni evidenza, un posto alla Cpi è un ottimo approdo di carriera. Persino il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, fu in corsa per un trasferimento nei Paesi Bassi. Era il febbraio del 2021; il Conte bis, messo in crisi da Matteo Renzi e dai ritardi nell’approvvigionamento dei vaccini anti Covid, era agli sgoccioli; tuttavia, la Rappresentanza permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite aveva trovato modo di candidare a procuratore della Cpi il magistrato, definendolo una «persona di altissima moralità» ed esaltando la sua «vasta esperienza» con «indagini complesse», le quali avevano assicurato «l’arresto e la condanna di centinaia di criminali». Per la qualifica, però, l’Assemblea degli Stati parte, che si occupa delle nomine, gli preferì Karim Ahmad Khan. Per costui, tuttora in carica, il salto di qualità è stato anche un salto della quaglia: da avvocato, l’uomo che oggi dovrebbe andare a caccia di torturatori e autocrati sanguinari aveva difeso personaggi piuttosto chiacchierati, inclusi il secondogenito di Muammar Gheddafi, Saif Al Islam, e l’attuale presidente del Kenya, William Ruto, accusato di crimini contro l’umanità per le violenze post elezioni nel 2007 e nel 2008.Ciò che fa la Corte, d’altronde, non va preso per oro colato. Negli anni, le è stato rinfacciato di essere uno strumento dell’imperialismo occidentale in Africa. E benché conti 125 Stati aderenti, la Cpi è stata snobbata dalla Russia, da Israele e dagli Usa. Nel 2003, il loro Dipartimento di Stato lamentò la carenza di adeguati pesi e contrappesi sull’autorità del procuratore e dei giudici, insieme a una «insufficiente protezione dalle accuse politiche o altri abusi». Letti alla luce degli eventi di questi giorni, si direbbe che i sospetti americani qualche fondamento lo avessero.Ieri è arrivata la ciliegina sulla torta: il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per imporre sanzioni alla Cpi, la quale avrebbe «preso di mira in maniera impropria» Washington e Gerusalemme. Sono previste contromisure finanziarie e restrizioni sui visti dei funzionari della Corte che hanno partecipato a indagini nei confronti di «cittadini o alleati» degli Usa. Il carrozzone non va più avanti da sé.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






