2019-01-23
Super esercito, affari e mani libere. Merkel e Macron sposi per interesse
Il seggio Onu con Berlino è lo specchietto per le allodole. Il trattato di Aquisgrana, in realtà, permette ai due Paesi di scavalcare Bruxelles. Il dossier più caldo: l'armata comune e la fusione strategica Siemens-Alstom.I due vicepremier uniti contro la Francia. Mentre Luigi Di Maio mette i gilet gialli nel fronte contrario al Cfa, il leghista punta l'economia: «Parigi impoverisce l'Africa». E ricorda l'attivismo anti Eni di Total in Libia. Al premier tocca fare il paciere: «Francia storica amica».Lo speciale contiene due articoli.«E ci fu prima un tempo i Galli superavano i Germani in valore», scriveva Giulio Cesare nel De bello Gallico. Un paio di millenni dopo, con i Germani che hanno ribaltato la situazione, il trattato di Aquisgrana, firmato ieri da Angela Merkel e Emmanuel Macron, unisce tedeschi e francesi in un patto che sostanzialmente fa calare il sipario su ogni ipotesi di vera integrazione europea, con Parigi che spinge per una difesa comune e Berlino che punta all'«annessione» economica della Francia. Merkel e Macron hanno sottoscritto il trattato («contro populismi e nazionalismi») alla presenza dei presidenti della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e del Consiglio europeo, Donald Tusk: i vertici istituzionali dell'Unione benedicono un accordo che rappresenta un fattore positivo per tutta l'Europa sotto almeno un aspetto, il crollo del muro dell'ipocrisia. In 16 pagine, e 28 articoli, Francia e Germania, «convinte», si legge nell'introduzione, «che sia giunto il momento di elevare le loro relazioni bilaterali a un livello superiore», dicono addio al sogno europeo e procedono «mano nella mano» (come ha poeticamente commentato Angela Merkel), verso il futuro.Il tentativo di dare una dimensione «storica» al trattato, che rilancia il contratto dell'Eliseo, che nel 1963 fu firmato da Konrad Adenauer e Charles de Gaulle, sta nella richiesta di ammettere la Germania (Paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale) nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, considerata «una priorità della diplomazia franco-tedesca». Il resto è un fulgido esempio di arrocco: Parigi e Berlino si chiudono a riccio, probabilmente in previsione della probabile affermazione delle forze populiste e sovraniste alle prossime elezioni europee. Vediamo i punti salienti del trattato. EUROPA«I due Stati si consultano regolarmente a tutti i livelli prima delle principali scadenze europee, cercando di stabilire posizioni comuni e di concordare i discorsi coordinati dei loro ministri». Succede da sempre, ma ora è scritto nero su bianco.SICUREZZA«I due Stati», recita l'articolo 4, «si prestano assistenza con tutti i mezzi a loro disposizione, compresa la forza armata, in caso di aggressione armata contro i loro territori. Sostengono la più stretta cooperazione possibile tra le loro industrie della difesa sulla base della fiducia reciproca. Entrambi i Paesi svilupperanno un approccio comune alle esportazioni di armi in relazione a progetti comuni. I due Stati stabiliscono il Consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza come organo politico per gestire questi reciproci impegni. Questo Consiglio si riunirà al più alto livello a intervalli regolari». Per la Merkel, il trattato è un passo in avanti «verso la creazione di un futuro esercito europeo». Leggendo il documento, e l'auspicio della cancelliera tedesca sulla costituzione di una «comune industria militare», sembra più un passo avanti verso la creazione di un esercito franco-tedesco come nocciolo fondativo di un eventuale sviluppo continentale.«I due Stati», recita l'articolo 11, «promuovono il collegamento in rete dei loro sistemi di istruzione». COOPERAZIONE «I due Stati», recita l'articolo 13, «intendono facilitare la rimozione degli ostacoli nei territori di confine al fine di attuare progetti transfrontalieri e facilitare la vita quotidiana degli abitanti di questi territori». Qui c'è la parte più concreta del Trattato di Aquisgrana, quella che riguarda la «grana». «I due Stati», si legge all'articolo 20, «stanno approfondendo l'integrazione delle loro economie al fine di stabilire una zona economica franco-tedesca con regole comuni. Il Consiglio economico-finanziario franco-tedesco promuove l'armonizzazione bilaterale della loro legislazione, in particolare nel campo del diritto commerciale, e coordina regolarmente le politiche economiche tra la Repubblica francese e la Repubblica federale di Germania per promuovere la convergenza tra i due Stati e migliorare la competitività delle loro economie. I due Stati», prosegue il testo, «hanno istituito un Consiglio di esperti economici franco-tedeschi». Germania e Francia, secondo la Deutsche presse-agentur, si sarebbero accordate su un elenco di 15 progetti da implementare subito. Fra questi ci sarebbero progetti ferroviari per le zone di confine, un impegno comune per la regolamentazione degli standard Ue sui servizi finanziari e l'istituzione di un gruppo di lavoro di alto livello sulla politica energetica. Un dossier già aperto, comunque, c'è: riguarda la fusione tra la divisione ferroviaria della tedesca Siemens e la francese Almstom, per dar vita a un gigante dei binari. ORGANIZZAZIONE «Le riunioni tra i governi dei due Stati», recita l'articolo 23, «hanno luogo almeno una volta all'anno, alternativamente nella Repubblica francese e nella Repubblica federale di Germania. Il Consiglio dei ministri franco-tedesco adotta un programma pluriennale di progetti di cooperazione. I segretari generali per la cooperazione franco-tedesca incaricati di preparare queste riunioni controllano l'attuazione di questo programma e riferiscono al Consiglio dei ministri. Un membro del governo di uno dei due Stati», si legge all'articolo 25, «partecipa, almeno una volta al trimestre, al Consiglio dei ministri dell'altro Stato». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/super-esercito-affari-e-mani-libere-merkel-e-macron-sposi-per-interesse-2626747832.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="anche-salvini-va-a-la-guerre-conte-isolato" data-post-id="2626747832" data-published-at="1757897822" data-use-pagination="False"> Anche Salvini va «à la guerre», Conte isolato «Il problema dei migranti ha tante cause: in Africa c'è chi sottrae ricchezza al continente, e la Francia è tra questi». Ieri il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha impugnato lo spadone della polemica con Parigi, e ha rinfocolato così la querelle accesa domenica dai vertici del Movimento 5 stelle sull'uso «colonialistico» del franco Cfa (la sigla sta per «Comunità finanziaria africana»): la moneta battuta dalla Banque de France che 14 Stati africani hanno dovuto adottare nel dicembre 1945 e che Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista hanno accusato di essere usata da Parigi come strumento d'impoverimento del continente. Nelle parole di Salvini, però, lo scontro ieri si è alzato di livello e si è spostato geograficamente dall'Africa centrale alla Libia: in quel Paese, ha dichiarato, «la Francia ha interessi opposti a quelli italiani, e non ha alcun interesse a stabilizzare la situazione». E ha aggiunto che «comunque Parigi ha poco da arrabbiarsi, perché ha respinto migliaia di migranti, comprese donne e bambini, alla frontiera. E quindi io lezioni di umanità e generosità dal presidente Emmanuel Macron non ne prendo». Rischia insomma di peggiorare la crisi diplomatica che lunedì sera aveva visto convocata al Quai d'Orsay l'ambasciatrice italiana a Parigi, Teresa Castaldo. Del resto, ieri il commissario europeo agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici, si è inevitabilmente schierato con Macron criticando le parole di Salvini come «ostili, molto inappropriate e perfino assurde». Certo, le malelingue sottolineano che in questo momento quel che più preme a Moscovici sia cercare la benevolenza di Macron per farsi dare la presidenza della Corte dei conti francese al termine del suo incarico a Bruxelles. È vero che ieri da parte italiana, se si esclude Salvini, è venuta una salva di dichiarazioni pacifiche. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha inneggiato alla «nostra storica amicizia con la Francia e con il popolo francese», augurandosi che il rapporto resti «forte e saldo a dispetto di qualsiasi discussione politica». Lo stesso Di Maio ha cercato di placare gli animi: «Si vuole far passare il dibattito di questi giorni sul franco Cfa come un attacco dell'Italia al popolo francese» ha scritto sui social. «Sciocchezze: il popolo francese è nostro amico. Infatti il dibattito sul franco Cfa va avanti da anni anche in Francia, ed è anche nelle rivendicazioni del programma dei gilet gialli». Ma l'apparizione della parola «Libia» sulla bocca di Salvini, sempre da ieri, lascia ipotizzare che lo scontro non sia destinato a spegnersi, e anzi possa accendersi ancora di più. La «guerra libica» tra Roma e Parigi, del resto, è aperta almeno dal marzo del 2011, quando l'allora presidente francese Nicholas Sarkozy lanciò un attacco aereo contro le forze terrestri di Muhammar Gheddafi a Bengasi, obbligando poi anche il recalcitrante Silvio Berlusconi a partecipare alla missione per detronizzare il dittatore. Quell'intervento, così insistentemente voluto da Sarkozy, mirava a ben altro che alla democrazia (e del resto s'è visto com'è finita quell'avventura bellica: con la disgregazione della Libia e un disastro sociale e politico). Da allora, infatti, la francese Total cerca di allargarsi nelle acque libiche soprattutto a spese dell'Eni, che sotto Gheddafi controllava quasi il 90% delle estrazioni di gas e di petrolio. Prima del 2011, la Libia riusciva a produrre 2 milioni di barili di petrolio al giorno, oggi è scesa a 500.000: secondo il Sole 24 Ore, però, ancora nel 2017 l'Eni continuava a essere il primo estrattore, con 384.000 barili al giorno, mentre i francesi si fermavano a 31.000. Ma da quasi due anni, spalleggiata da Macron, la Total ha cominciato a espandersi. Nel marzo 2018, per 450 milioni di dollari, s'è fatta vendere dalla statunitense Marathon Oil la sua quota del 16% nel ricco giacimento di Waha, a sud-est di Sirte, capace di produrre in totale sui 300 mila barili al giorno. Ma queste sono scaramucce. La vera guerra libica si sta giocando sulla sopravvivenza della National oil corporation, la compagnia petrolifera nazionale che oggi possiede metà del petrolio del Paese. Il futuro della Noc è legato all'integrità statuale della Libia, un obiettivo per cui oggi spinge soprattutto l'Italia, anche allo scopo di arginare i traffici di migranti. Per questo Salvini oggi parla degli interessi francesi in Libia definendoli «contrari» a quelli italiani, e sostiene che Macron non abbia tra le priorità una «stabilizzazione del Paese». Perché giocando proprio sulle divisioni tra il governo legittimo di Fayez al Serraj a Tripoli, (riconosciuto dall'Onu e sostenuto dall'Italia), e il rivale governo del generale Khalifa Haftar in Cirenaica (appoggiato dalla Francia), in realtà Macron e la Total puntano a rompere in due il Paese per arrivare alla creazione di due distinti enti di gestione del petrolio, e riuscire così a spodestare l'Eni. A Parigi la chiamano «géopolitique». A Roma si sono messi a definirlo «colonialismo». La parola è rude, ma qualche senso forse ce l'ha.
Jose Mourinho (Getty Images)