Va a processo il «re degli outlet». È stato rinviato a giudizio l’imprenditore pugliese Luigi Dagostino, che è stato anche socio in affari di Tiziano Renzi, il papà dell’ex presidente del Consiglio Matteo. Dagostino è indagato per bancarotta fraudolenta ed è accusato di aver causato il dissesto della società Mall re invest. Secondo l’accusa, l’ex socio di Renzi senior ha sperperato oltre tre milioni di euro quando ricoprì il ruolo di amministratore unico della società dal 2014 e, poi, quando nel 2017 fu nominato liquidatore.
Le indagini della Procura hanno cercato di fare chiarezza a partire dal 2022, quando il tribunale dichiarò il fallimento della società. Gli inquirenti, infatti, hanno scoperto che, ben cinque anni prima della dichiarazione di fallimento, la società era già in «liquidazione volontaria». La Procura ha acceso i riflettori su alcune operazioni che avrebbero portato al dissesto della Mall re invest. Tra queste anche quella che avrebbe portato a «utilizzare» circa 41.000 euro «come pagamento a un fornitore non identificato».
Sotto la lente degli investigatori è finito inoltre un versamento di 226.000 euro emesso però per «operazioni inesistenti» che sarebbe stato effettuato da un’impresa ma per lavori mai fatti. Secondo l’accusa, la Mall re invest ha versato oltre 750.000 euro a un’altra società, la Dil invest, amministrata da Dagostino, in cambio di «una fattura falsa o parzialmente falsa, in quanto indicava una cifra per eccesso per un’attività di intermediazione».
Il dibattimento prenderà il via il prossimo marzo. I guai giudiziari per «il re degli outlet» non sembrano finire mai. Infatti, Dagostino lo scorso luglio era stato già condannato per «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false». Era l’inchiesta in cui erano indagati gli stessi genitori di Matteo Renzi, che furono però assolti. Lo scorso luglio la Corte di Appello di Firenze ha condannato l’imprenditore «amico dei Renzi» perché «le fatture erano oggettivamente false». Per l’accusa, in questa vicenda Dagostino aveva indotto in errore il nuovo amministratore della società Tramor perché - sempre secondo le indagini - gli fece utilizzare «documenti falsi». Per i pm, le fatture erano taroccate e non supportate da altra documentazione. Si trattava di «una strategia» ben architettata per mettere in atto la frode. Ma Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli sono stati assolti in secondo grado perché «il fatto non costituisce reato», assoluzione che era stata confermata poi anche in Cassazione. Però, a leggere la sentenza dello scorso luglio che condannava Dagostino, per i giudici non c’erano dubbi che ci fosse un collegamento tra le due società che erano riconducibili ai genitori di Matteo Renzi.
Quelle società, sempre secondo i giudici, avrebbero emesso fatture false «grazie» a un accordo proprio con il «re degli outlet». Chi avrebbe emesso quelle fatture è stato assolto. Dagostino avrebbe fatto usare quelle fatture false ed è stato condannato. Questo dicono le sentenze. Ma ora l’imprenditore pugliese ha altri guai giudiziari a cui pensare.
È caccia agli stupratori della studentessa di 23 anni violentata a Roma nella notte del 7 dicembre all’uscita della metro Jonio della linea B1. Proseguono le indagini dei carabinieri, alla ricerca di ulteriori telecamere e di eventuali testimoni dopo il racconto agghiacciante della giovane, che ha denunciato di essere stata bloccata da due uomini e violentata da un terzo.
Gli accertamenti dei militari puntano a raccogliere elementi utili per chiarire la dinamica di quanto avvenuto. La vittima, sotto choc, è riuscita a raccontare agli investigatori la violenza subita indicando come stupratori almeno «tre africani» che l’avrebbero immobilizzata e violentata. Ha vissuto un incubo: due la tenevano ferma e uno la stuprava. Poi, è sempre il suo racconto, i tre si sarebbero dileguati tra i vicoli deserti nel cuore della notte, mentre le sue urla disperate sono giunte a un passante che l’ha accompagnata in ospedale.
Lì, la ragazza è stata presa in cura e ha subito denunciato l’accaduto. Gli inquirenti stanno valutando ogni elemento utile che li possa portare a individuare i tre responsabili «africani». Quanto accaduto a Roma ha generato un mare di indignazione e di preoccupazione, tanto che ieri pomeriggio davanti alla metro Jonio si è svolto «un presidio silenzioso» organizzato da associazioni transfemministe del quartiere che sono intervenute portando avanti il messaggio del loro slogan: «Se toccano una toccano tutte». «Siamo stanche di leggere ogni giorno notizie di stupri, femminicidi e soprusi di matrice patriarcale», lo sfogo delle promotrici, «questa volta è successo al Tufello, nel nostro quartiere, ma troppo spesso la violenza attraversa le nostre città, le nostre strade, i nostri corpi».
Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire anche i momenti precedenti lo stupro per provare a dare una risposta a tante domande. Bisognerà accertare se i tre si trovavano sulla metro assieme alla ragazza e se l’hanno poi seguita per violentarla, o se hanno deciso di pedinarla dopo averla vista fuori dalla metropolitana. Si tratta di interrogativi importanti ai fini investigativi.
Quanto accaduto a Roma è solo l’ultimo di diversi episodi di violenza sessuale, ragion per cui si è riacceso il dibattito politico sul problema della sicurezza. Sul caso sono intervenuti i rappresentanti delle istituzioni e della politica. I consiglieri capitolini di Azione, Antonio De Santis e Flavia De Gregorio, in una nota, hanno sottolineato l’allarme sicurezza: «La violenza avvenuta alla stazione Jonio, ai danni di una ragazza di 23 anni, è l’ennesimo fatto grave che mostra una volta di più quanto la città sia priva dei presidi di sicurezza necessari a tutelare le persone, soprattutto le più vulnerabili. Da tempo sosteniamo che servano interventi strutturali e immediati: postazioni fisse di polizia locale nelle stazioni della metro e nei nodi principali del trasporto pubblico, un presidio reale del territorio che possa prevenire e tutelare cittadini». Il problema sicurezza rimane e rappresenta un’emergenza. Infatti, si allunga l’elenco degli stranieri arrestati perché ritenuti responsabili di gravi episodi. Ieri, i carabinieri della Stazione di Roma viale Eritrea hanno fermato un ventitreenne egiziano, accusato del tentato omicidio di un coetaneo romano, avvenuto il 1° dicembre scorso nei pressi di una barberia in viale Eritrea.
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Il leghista è intervenuto in video-collegamento alla seconda giornata del convegno «Connessioni mediterranee» in corso al Museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria. «Qualcuno non si è accorto che c’è stato il Covid», ha spiegato, «ci sono delle guerre ancora in corso, quindi non è cambiato strutturalmente il progetto, anzi, il progetto migliora e migliorerà ulteriormente. Sono cambiati i costi dei materiali, dell’energia, delle materie prime, quindi rifare un’altra gara significa dire no al Ponte. Il mio obiettivo è aprire i cantieri nel 2026. Lunedì ci sarà una riunione tecnica con tutti i ministeri a Palazzo Chigi. Entro una settimana saprò essere più preciso su quali saranno i passaggi tecnici per andare avanti». Salvini è sicuro che il progetto andrà avanti: «Non dobbiamo trovare sotterfugi o furbate e sono convinto che supereremo le perplessità che la Corte dei Conti ci ha sottolineato, e invece di partire come avrei desiderato entro novembre-dicembre di quest’anno con i cantieri vorrà dire che partiremo nel 2026. Ripeto, furbate non ne facciamo, abbiamo seguito tutte le norme e convinceremo tutti coloro che stanno eccependo del fatto che si sta rispettando la legge italiana e la legge europea».
In video-collegamento da Reggio Calabria c’era anche Pietro Ciucci, amministratore delegato della Società Stretto di Messina: «Confermo, come ha detto Salvini, che la gara non si dovrà rifare. Stiamo lavorando con tutta la Società Stretto di Messina per studiare ed esaminare in modo approfondito le motivazioni della Corte dei Conti. Noi siamo rimasti amareggiati e sorpresi da questa decisione, per l’impegno profuso nel dare esecuzione al progetto nel pieno rispetto delle normative italiane ed europee. Evidentemente abbiamo bisogno di essere ancora più precisi, ma siamo fiduciosi di poter ottenere una registrazione ordinaria. Siamo, mai come oggi, vicini a realizzare questo sogno». Cgil e Pd ieri erano in piazza a Messina per opporsi a un’opera che dà lavoro. Tra i partecipanti c’era anche la segretaria dem, Elly Schlein, per dire al «Governo di fermarsi». L’ex sindaco di Messina, Renato Accorinti, ieri ha sbottato contro «le assenze eccellenti alla manifestazione» del leader del movimento Cinquestelle e del segretario della Cgil: «Avere Landini qui sarebbe stato importante. Dov’è Landini? Cosa c’è di più importante di questo? Il Ponte costa più di una finanziaria. Allora, tu che difendi i lavoratori dove sei? Conte non vieni ora qua? Perché? Il momento giusto è ora. Non va bene. Ci sono i parlamentari ma l’immagine di un partito è il segretario». Il Ponte crea posti di lavoro, ma per Schlein e Landini «non s’ha da fare», il Governo «lo deve fermare» ed ecco quindi eccoli insieme schierati «non a difesa ma contro il lavoro». Il Governo, al contrario, è impegnato a «fronteggiare l’ostacolo della Corte dei Conti». In che modo? «Noi stiamo facendo quello che abbiamo fatto per tre anni», ha ribadito Salvini, «stiamo lavorando, studiando, ragionando, scrivendo. Ho fatto sia ieri che ieri l’altro due riunioni, prolungate, con i tecnici del ministero, coi giuristi, ho incontrato il dottor Salini».





