I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Il leghista è intervenuto in video-collegamento alla seconda giornata del convegno «Connessioni mediterranee» in corso al Museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria. «Qualcuno non si è accorto che c’è stato il Covid», ha spiegato, «ci sono delle guerre ancora in corso, quindi non è cambiato strutturalmente il progetto, anzi, il progetto migliora e migliorerà ulteriormente. Sono cambiati i costi dei materiali, dell’energia, delle materie prime, quindi rifare un’altra gara significa dire no al Ponte. Il mio obiettivo è aprire i cantieri nel 2026. Lunedì ci sarà una riunione tecnica con tutti i ministeri a Palazzo Chigi. Entro una settimana saprò essere più preciso su quali saranno i passaggi tecnici per andare avanti». Salvini è sicuro che il progetto andrà avanti: «Non dobbiamo trovare sotterfugi o furbate e sono convinto che supereremo le perplessità che la Corte dei Conti ci ha sottolineato, e invece di partire come avrei desiderato entro novembre-dicembre di quest’anno con i cantieri vorrà dire che partiremo nel 2026. Ripeto, furbate non ne facciamo, abbiamo seguito tutte le norme e convinceremo tutti coloro che stanno eccependo del fatto che si sta rispettando la legge italiana e la legge europea».
In video-collegamento da Reggio Calabria c’era anche Pietro Ciucci, amministratore delegato della Società Stretto di Messina: «Confermo, come ha detto Salvini, che la gara non si dovrà rifare. Stiamo lavorando con tutta la Società Stretto di Messina per studiare ed esaminare in modo approfondito le motivazioni della Corte dei Conti. Noi siamo rimasti amareggiati e sorpresi da questa decisione, per l’impegno profuso nel dare esecuzione al progetto nel pieno rispetto delle normative italiane ed europee. Evidentemente abbiamo bisogno di essere ancora più precisi, ma siamo fiduciosi di poter ottenere una registrazione ordinaria. Siamo, mai come oggi, vicini a realizzare questo sogno». Cgil e Pd ieri erano in piazza a Messina per opporsi a un’opera che dà lavoro. Tra i partecipanti c’era anche la segretaria dem, Elly Schlein, per dire al «Governo di fermarsi». L’ex sindaco di Messina, Renato Accorinti, ieri ha sbottato contro «le assenze eccellenti alla manifestazione» del leader del movimento Cinquestelle e del segretario della Cgil: «Avere Landini qui sarebbe stato importante. Dov’è Landini? Cosa c’è di più importante di questo? Il Ponte costa più di una finanziaria. Allora, tu che difendi i lavoratori dove sei? Conte non vieni ora qua? Perché? Il momento giusto è ora. Non va bene. Ci sono i parlamentari ma l’immagine di un partito è il segretario». Il Ponte crea posti di lavoro, ma per Schlein e Landini «non s’ha da fare», il Governo «lo deve fermare» ed ecco quindi eccoli insieme schierati «non a difesa ma contro il lavoro». Il Governo, al contrario, è impegnato a «fronteggiare l’ostacolo della Corte dei Conti». In che modo? «Noi stiamo facendo quello che abbiamo fatto per tre anni», ha ribadito Salvini, «stiamo lavorando, studiando, ragionando, scrivendo. Ho fatto sia ieri che ieri l’altro due riunioni, prolungate, con i tecnici del ministero, coi giuristi, ho incontrato il dottor Salini».
- Nel bresciano un bengalese stupra una bambina di 10 anni. L’episodio avvenuto in un centro per rifugiati. L’uomo ha confessato. Tra rito abbreviato e circostanze a discarico, la pena rischia di essere irrisoria.
- A Pisa uno straniero violenta bimba di 6 anni. Il «protocollo rosa» è scattato dopo che la piccola ha denunciato strani comportamenti da parte dell’adulto, ritenuto persona di fiducia dalla famiglia. Sugli indumenti della vittima trovate tracce genetiche dell’indagato.
- Per i fatti di Tor Tre Teste si cerca un tunisino, forse riparato all’estero. I tre fermati hanno precedenti per spaccio. Possibile anche la presenza di un quinto uomo.
Lo speciale contiene tre articoli.
Le contraddizioni sono tutte nella voce dell’imputato, un profugo di 29 anni proveniente dal Bangladesh che, poco più di un anno fa, nel centro d’accoglienza di San Colombano di Collio (Brescia), un ex hotel che ospitava una ventina di richiedenti asilo poi definitivamente dismesso, ha violentato una minorenne (di soli dieci anni) mettendola incinta. Ora, davanti al giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia, Valeria Rey, che gli ha concesso il rito abbreviato (procedura che dà diritto allo sconto di un terzo della pena), ammette: «Sono pentito per ciò che ho fatto e ne ho capito la gravità». Ma subito dopo ha tentato di mettere un argine: «Non si è trattato di violenza». La pm, Federica Ceschi, ha chiesto per il profugo, che è in carcere a Cremona dall’ottobre dello scorso anno, accusato di violenza sessuale su minorenne, una condanna a 6 anni e 8 mesi di reclusione, con la concessione delle attenuanti generiche. Una richiesta che è frutto di una combinazione prevista dal codice: la pena base per il reato contestato, la presenza dell’aggravante relativa all’età della vittima, il riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione di un terzo per l’abbreviato. Il suo difensore, l’avvocato Davide Scaroni, nel corso dell’ultima udienza ha fatto mettere a verbale che l’imputato aveva anche cercato di risarcire la vittima (costituita parte civile e rappresentata dalla mamma) «privandosi di tutto ciò che aveva». I passaggi tecnici la difesa li ha messi in campo tutti: la confessione, prima ancora che le indagini scientifiche certificassero la presenza del Dna dello straniero, il pentimento con dichiarazione in udienza, il risarcimento della parte offesa e la richiesta del rito abbreviato, ma condizionato all’ascolto di due testimoni. E, così, sono stati convocati in aula la direttrice del centro di accoglienza (chiamata a illustrare la disposizione dei locali della struttura nei quali sarebbe stato consumato l’abuso) e l’agente della Questura che si era occupato della copia forense dello smartphone dell’imputato. L’avvocato Scaroni ha chiesto (e ottenuto) anche l’acquisizione dei filmati dalle telecamere di videosorveglianza del circuito interno, che in fase di indagini erano stati acquisiti ma che non erano mai stati depositati. Ora verranno consegnati alla cancelleria del Gup e le parti potranno prenderne visione. Nel fascicolo del pubblico ministero, invece, è contenuta la ricostruzione dei fatti. A fine settembre 2024, nel centro in cui entrambi erano ospiti (la bimba e la mamma sono poi stati trasferiti in un’altra struttura in località protetta), gestito dagli operatori della cooperativa Pianeta Terra (che dopo la vicenda annunciò che avrebbe ospitato solo minorenni e famiglie), dopo che la piccola era stata in ospedale, arriva la polizia. Gli altri migranti hanno subito pensato che si trattasse di indagini su una lite che solo qualche mese prima era scoppiata nei vicoli limitrofi al centro e durante la quale erano volati dei fendenti. Si trattava, invece, di qualcosa di molto più grave. Gli investigatori avevano cominciato a fare domande su quella bimba che era arrivata dall’Africa subsahariana con la madre e che viveva lì da circa un anno. E hanno ricostruito che il suo atteggiamento a un certo punto era cambiato: la mamma l’aveva notata particolarmente «taciturna, triste e apatica». E aveva chiesto aiuto a un’educatrice. Nessuno immaginava cosa stesse succedendo. Perché la piccola si era tenuta tutto dentro. La verità è emersa solo quando i medici degli Spedali Civili l’hanno visitata. È stato allora che hanno trovato i segni inequivocabili dell’abuso e deciso di procedere con un aborto terapeutico. Dal posto di polizia dell’ospedale è partita la segnalazione. Le indagini della Squadra mobile si sono concentrate subito su un unico sospettato, il profugo proveniente dal Bangladesh. Una dozzina di giorni dopo è scattato il fermo disposto dalla Procura. Davanti al gip, però, al momento della convalida, il ventinovenne scelse di fare scena muta, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Nel frattempo la testimonianza della bambina veniva raccolta in un’aula protetta del Palazzo di giustizia, con la formula dell’incidente probatorio. Ovvero lo strumento previsto per tutelare i minori durante la raccolta della testimonianza, che assicura l’utilizzabilità della deposizione anche in caso di rito alternativo. È una procedura che ha un peso notevole, perché il giudice ascolta direttamente le parole della persona offesa. E quelle parole entrano nel fascicolo come prova anticipata. Il pentimento e le ammissioni dell’imputato sono arrivati dopo e convivono senza logica con la negazione in aula: «Non c’è stata violenza». L’imputato ha forse voluto sostenere che una bambina di dieci anni fosse consenziente? Una contraddizione difficile da ignorare. La frattura resta aperta, proprio ora che il processo si avvia alle battute finali. «Pene sotto i sette anni sono un messaggio sbagliato per il Paese», ha commentato ieri Christian Garavaglia, capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale della Lombardia, aggiungendo: «Chi distrugge l’innocenza di una minorenne deve affrontare tutto il peso della legge, senza attenuanti di alcun tipo. È un episodio che scuote nel profondo e che impone una reazione ferma dello Stato». E, anche a nome del suo partito, chiede «che venga applicata la massima severità possibile». Il 13 gennaio è prevista l’udienza durante la quale il giudice si ritirerà in camera di consiglio. Sarà quello il momento in cui la ricostruzione giudiziaria troverà la sua traduzione in una sentenza.
Straniero violenta bimba di sei anni. È il padre di un suo amico di scuola
Follia, devianza, orrore. Ai danni di una bambina di 6 anni. È la notizia che ieri ha sconvolto Pisa dopo il ritrovamento del Dna di un uomo di 23 anni sui vestiti della piccola. L’uomo, straniero, oggi indagato per violenza sessuale su minore, è il padre di un amichetto che la bimba frequentava nei pomeriggi di gioco. Uno scenario di abuso scoperto a partire dai racconti della bambina, dai quali sarebbe emerso che il padre di uno dei suoi amici avrebbe avuto dei comportamenti strani con lei. Parole confuse, frammentate, quasi inconsapevoli, dalle quali è emerso che la piccola non riusciva a comprendere il significato di determinati gesti e comportamenti. Insospettita dai racconti della figlia, inizialmente la madre cerca di approfondire parlando direttamente con l’uomo. Non ottenendo chiarimenti si rivolge a dei sanitari che la indirizzano all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze. Qui scatta il «protocollo rosa», percorso previsto nei casi di sospetto abuso su minori. Per chiarire il quadro indiziario, gli approfondimenti investigativi vengono condotti sia dalla squadra mobile di Pisa sia da quella di Firenze, allertata proprio dall’ospedale Meyer che attiva le prime indagini. Nell’ambito degli accertamenti viene svolta anche un’audizione protetta della bambina con l’ausilio di esperti di psicologia infantile, modalità che ha consentito di acquisire la sua testimonianza in un contesto tutelato.
Dagli accertamenti clinici e genetici preliminari necessari a cristallizzare eventuali prove scientifiche, come previsto dalle procedure dedicate ai minori vittime di presunti reati, emergono elementi che la Procura della Repubblica di Pisa ritiene «rilevanti». E così viene subito richiesta una misura cautelare per l’uomo che è stato raggiunto ieri dalla squadra mobile della Questura e portato in carcere. Una misura decisa per garantire il corretto proseguimento delle indagini e tutelare la minore che insieme alla madre è stata affiancata da personale specializzato per un’assistenza psicologica.
Proprio per la delicatezza del caso, fino a ieri le indagini sono state mantenute nel massimo riserbo. Non appena l’esito degli accertamenti di genetica forense hanno permesso di rinvenire tracce del Dna dell’uomo sui vestiti della bimba, il quadro è diventato «grave» e il provvedimento di custodia cautelare è stato subito eseguito.
Inutile dire il contesto di shock della famiglia che a quanto pare, nei confronti del presunto colpevole aveva un rapporto di totale fiducia. La piccola frequentava spesso la sua casa perché giocava con i figli ed era proprio lui a vestire il ruolo dell’ «adulto responsabile» che badava ai bambini nelle ore pomeridiane. Un contesto di familiarità che l’uomo avrebbe invece sfruttato per restare spesso da solo con la piccola e a quanto pare abusare di lei. Inutile dire che la notizia ha scatenato la rabbia dei cittadini e i commenti di chi chiede l’ergastolo o la castrazione chimica rimbalzano sui social.
La denuncia del fatto arriva in un momento particolarmente caldo per le violenze sessuali che da ultimi dati Istat sono in pesante aumento. Se undici anni fa una ragazza tra i 16 e i 24 anni aveva 18 probabilità su 100 di aver subito una violenza sessuale negli ultimi 5 anni, oggi questo rischio sale al 31%, in pratica è quasi raddoppiato. Come ha sintetizzato ieri Luca Ricolfi, questo significa che oggi una ragazza su tre subisce una violenza sessuale nel giro di 5 anni. E le percentuali salgono se dal rischio a breve termine si passa al rischio nell’intera vita. Come se non bastasse, questo caso però pone di fronte ad uno scenario ancora più grave e che va oltre le statistiche e sfocia nella devianza nonché nelle dimensioni della pedofilia. L’altro elemento che si inserisce in un triste e ormai noto trend, è l’origine straniera dell’uomo che va ricordato, al momento è solo indagato. Nonostante gli stranieri rappresentino meno del 10% della popolazione in Italia, gli ultimi dati sui reati evidenziano come siano al centro di 6 arresti su 10. Peraltro, proprio la violenza sessuale è uno dei reati dove la proporzione tra reati commessi da italiani e stranieri, vede un’incidenza a carico di quest’ultimi tra le più pesanti. Il 41% delle denunce li vedono protagonisti.
Proprio ieri, peraltro a ridosso della giornata contro la violenza sulle donne, termine che quasi stride se si pensa che qui la vittima sarebbe addirittura una bambina di 6 anni, il comando provinciale di Pisa ha annunciato di aver intensificato le azioni di contrasto ai reati riconducibili al codice rosso registrando nell’ultimo anno 12 arresti per reati connessi alla violenza domestica, 125 denunce a piede libero, 50 allontanamenti dalla casa familiare. Se il codice rosso riguarda però il percorso giudiziario e normativo, quello «rosa» è in primis una corsia sanitaria di emergenza, non solo per minori ma anche per vittime di violenza in età adulta. Al momento non sono disponibili dati scorporati per fasce d’età ma solo nel 2024 le attivazioni in tutta Italia sono state 250 mila. Dati e cifre che di fronte alla violenza nei confronti di una bimba di 6 anni impallidiscono.
Roma, caccia al quarto aggressore
È caccia al quarto uomo del «branco» che ha violentato una diciottenne a Roma nel parco di Tor Tre Teste, stuprata davanti agli occhi del fidanzato. Dopo l’arresto dei tre stranieri, adesso le forze dell’ordine sono sulle tracce di altri complici e, in particolare, di un quarto uomo. Si tratterebbe di un tunisino che, da quanto si è appreso, potrebbe anche essere scappato all’estero. Sono stati, infatti, potenziati i controlli alla frontiera e all’estero. Potrebbe essere coinvolto pure un quinto straniero. Infatti, dalle testimonianze rese agli inquirenti e da ulteriori riscontri investigativi è emerso che ad aggredire la coppia e a violentare la ragazza lo scorso 25 ottobre sarebbe stato un «branco» formato da «almeno cinque stranieri». I due giovani erano nella loro auto quando il branco si è avvicinato e ha sfondato il finestrino della vettura. La loro intenzione, hanno raccontato i tre arrestati agli inquirenti dopo il fermo, era «solo quella di rubare il cellulare». Ma la vittima della violenza sessuale e il suo fidanzato hanno ricostruito una scena ancora più raccapricciante: la giovane è stata afferrata dal braccio e portata fuori dal veicolo: «Devi venire con noi», le avrebbero urlato gli stranieri. Uno di loro ha poi abusato di lei. Mentre il suo fidanzato, un giovane di 24 anni, guardava tutto. «Mi hanno immobilizzato», ha riferito il fidanzato agli investigatori. Le due vittime hanno raccontato di essere stati brutalmente aggredite e minacciate di morte. Le indagini hanno consentito di accertare che la coppia è stata salvata grazie all’intervento fondamentale di un vigilante in servizio in quella zona che si è accorto subito dell’accaduto. La «guardia» si è precipitata a difendere le vittime, mettendo in fuga il branco. Intanto, restano in carcere i tre fermati martedì: sono già noti alle forze dell’ordine per spaccio di droga nella zona del Quarticciolo.
Le forze dell’ordine sono riuscite a individuare i primi tre componenti del branco pure grazie al riconoscimento fotografico fatto dalle vittime. Due dei tre sono stati rintracciati al Quarticciolo e uno di loro si era tinto i capelli di biondo per non essere riconosciuto e sfuggire alla cattura. Il terzo componente della gang stava scappando a Verona, ma è stato fermato. Si tratta di un tunisino che è stato riconosciuto dalla vittima e ritenuto il responsabile della violenza sessuale. Ma, gli esiti degli esami del dna non hanno confermato che lo stupratore fosse proprio lui. I risultati del dna hanno, però, confermato che i tre arrestati si trovassero in quel luogo avendo trovato tracce compatibili nell’auto dei fidanzati. I tre restano, comunque, in carcere con l’accusa di stupro di gruppo e rapina aggravata. La ragazza, nell’immediatezza dei fatti, era stata soccorsa e portata in ospedale dove le sono state trovate lesioni da rapporto sessuale non consenziente. Non si esclude che se non fosse intervenuto il vigilante e poi la Polizia il branco avrebbe portato a termine uno «stupro di gruppo».
Hanno abusato sessualmente di una giovane di appena 18 anni che si trovava in auto con il suo fidanzato. La notizia della terribile violenza sessuale si diffonde nel giorno in cui si celebra la Giornata contro i femminicidi e qualsiasi violenza contro le donne. Mentre in tutta Italia si svolgono cerimonie ed eventi, il Paese viene a conoscenza dell’ennesimo, brutale episodio di violenza sessuale.
Infatti, nella giornata di ieri sono stati fermati tre cittadini stranieri accusati di violenza sessuale e rapina. Secondo l’accusa, i tre sono coinvolti nello stupro della ragazza avvenuto la notte del 25 ottobre scorso nel parco di Tor Tre Teste, in zona Roma Est. Dopo settimane intense di indagini, gli inquirenti sono riusciti a individuare i presunti responsabili della violenza. I tre erano già noti alle forze dell’ordine per spaccio di stupefacenti e adesso restano in carcere perché destinatari di un decreto di fermo emesso dal pubblico ministero. Il provvedimento è stato eseguito dagli agenti della squadra volante. Ciò ha consentito di riavvolgere il nastro e di ricostruire quanto accaduto quella terribile notte quando due giovani fidanzati erano appartati nella loro auto.
A un certo punto, una gang di giovani stranieri si è diretta verso la coppia di fidanzati che era in macchina. Secondo quanto è emerso, i tre arrestati hanno sfondato il vetro dell’auto (forse per rubare un cellulare) e uno di loro avrebbe afferrato la diciottenne facendola scendere dall’auto. Poi l’ha violentata mentre gli altri due hanno immobilizzato il fidanzato. La giovane sarebbe stata, quindi, violentata davanti agli occhi del suo fidanzato. Quando le due vittime sono riuscite a chiamare la polizia, il branco è riuscito a scappare. Ma gli investigatori si sono messi subito sulle tracce dei rapinatori e dello stupratore. Nel corso delle indagini, le vittime hanno aiutato gli inquirenti a rintracciare i tre, in particolare attraverso il riconoscimento fotografico. Due di questi sono stati trovati dai falchi della squadra mobile al Quarticciolo; un altro, invece, è stato scovato a Verona. Nella prima fase delle indagini è emerso che uno degli aggressori sarebbe stato riconosciuto dalla ragazza come il responsabile dello stupro. I riscontri dell’esame del Dna hanno confermato che i tre arrestati si trovavano all’interno dell’auto della coppia di fidanzati, ma non è stato confermato il Dna del ragazzo che era stato indicato dalla giovane vittima come presunto stupratore. Al momento, i tre stranieri restano in carcere.
Intanto, proseguono le indagini e gli inquirenti stanno passando al setaccio i telefoni cellulari degli indagati, che sono stati sequestrati. Gli investigatori sono sulle tracce di ulteriori componenti della gang. Si ipotizza la presenza di altre persone coinvolte nell’aggressione che sarebbero ancora da identificare. Infatti la stessa vittima, nelle dichiarazioni rese al Policlinico Casilino, aveva riferito che uno dei «cinque aggressori» l’avrebbe costretta a un rapporto sessuale non consensuale. Quindi, secondo il suo racconto, nel branco del parco ci sarebbero state altre due persone oltre a quelle già individuate e arrestate. I tre fermati, interrogati dopo il provvedimento, hanno respinto ogni accusa, sostenendo che la violenza sarebbe stata commessa da un quarto uomo, indicato come un cittadino di nazionalità tunisina.
Proseguono, quindi, le ricerche di almeno altri due presunti complici. E ritorna l’allarme sicurezza nella Capitale. Il segretario di Forza Italia Roma, Luisa Regimenti, è preoccupata per quanto sta accadendo in città: «Presenteremo presto un dossier che denuncia il grave stato di abbandono nel quale versano molte aree verdi della Capitale, soprattutto nelle periferie». Non è la prima volta che il parco di Tor Tre Teste diventa teatro di episodi di violenza inaudita e di stupri ai danni di donne. Lo scorso 24 agosto una donna di 60 anni è stata violentata mentre stava passeggiando nel parco con il suo cane da «un uomo di colore».





