2025-09-14
L’allen-attore specialista nelle liquidazioni
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.Cognome e nome: Mourinho José Mário dos Santos Félix. Per brevità chiamato Mou. Il profeta di Setúbal, Portogallo, dove è nato nel 1963.Sempre e per sempre nel cuore dei tifosi nerazzurri, quorum ego, come il condottiero del triplete, anno di grazia 2010: coppa Italia, scudetto e Champions League. Andandosene la sera stessa della finale, vinta il 22 maggio contro il Bayern Monaco allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid, dopo aver abbracciato un Marco Materazzi che non sapeva che fare davanti al pianto a dirotto del suo Mister. Che si riprese però subito, salendo nell’auto dove lo attendeva Florentino Perez, patron del Real Madrid, la sua nuova squadra.Un vero allen-attore, Mou. Simula, dissimula, recita.«Un grandissimo showman. Con le sue trovate ingegnose e con quell’arroganza da divinità greca che emana, aggiunge un valore incommensurabile allo spettacolo più bello del mondo», ha scritto nel 2007 John Carlin, giornalista e scrittore autore del romanzo Ama il tuo nemico su Nelson Mandela, da cui è tratto il film di Clint Eastwood Invictus. Carlin lo ha però ribattezzato «l’allenatore hooligan» quando era al Real: «Il personaggio più polemico di tutta la Spagna, credo che nessuno abbia provocato più divisione - per repulsione o fanatica adesione - dai tempi di Francisco Franco», nientemeno. Sì, perché «Mou mescola due qualità poco ammirevoli in un essere umano: l’immaturità di un adolescente complicato con l’intolleranza e l’esigenza di lealtà assoluta di un dittatore militare».Rockstar dell’anno per la rivista Rolling Stone nel 2011, per «la machiavellica arte di far uscire dai gangheri chiunque».L’ultimo cui sono girati gli zebedei: il presidente del Fenerbahce, dopo l’eliminazione dalla Champions ad opera del Benfica, per ironia del destino la prima squadra dove Mou divenne primo allenatore (nel 2000, dopo anni passati come vice di altri). L’ha esonerato a fine agosto, e quindi bye bye Turchia. Con l’ennesima liquidazione d’oro.Perché è vero, Mou è l’unico coach ad aver vinto tutte e tre le coppe Uefa: la Champions (due volte: 2004, Porto; 2020, Inter). L’Europa League (due volte: 2003, Porto; 2017, con il Mu, il Manchester United). La Conference (2022, con la Roma: «la coppa del nonno», la declassarono subito quei marrani dei tifosi laziali).Ma detiene anche il record di esoneri: sette.Lo 007 delle panchine.Da The Special One - quello speciale - a The Crying One - quello che piange.Ma ha di che consolarsi.Divorzi traumatici ma anche molto remunerativi.La Gazzetta dello Sport ha calcolato un tesoretto da 110 milioni di euro, frutto di tutti questi licenziamenti. In estrema sintesi: fuori dal Chelsea con 21 milioni la prima volta nel 2007, con altri 10 la seconda, anni dopo. Dal Real Madrid con 20 milioni, dal Mu con 23 milioni, dal Tottenham con 17, dalla Roma con appena 3, argent de poche per lui, e 16 adesso.Non male per un ex calciatore fallito che nel 1996, a 33 anni, portato al Barcellona come vice in panchina dall’inglese Bobby Robson, guadagnava un’inezia. Ha ricordato Joan Gaspart, all’epoca vicepresidente del Barça: «Si sistemò gratis nella stanza di un mio hotel, l’Arenas, perché aveva appena il denaro per vivere. Lo pagavamo 10.000 pesetas al mese». Per la cronaca: quella cifra corrisponde a 60 euro di oggi. Certo, va rapportata al contesto economico di 30 anni fa, ma sempre quella è. Se oggi nuota nell’oro, il merito è anche del suo procuratore, che non a caso è pure quello di Cristiano Ronaldo: Jorge Mendes.Nel 2004, quando passò dal Porto al Chelsea, gli fece ottenere il contratto più favoloso della storia, almeno all’epoca: 4, 2 milioni di euro. Al Real ne percepirà poi 13, più 5 in diritti d’immagine. Un po’ di più di quelli che gli passava Massimo Moratti. La cifra la esplicitò lui stesso. Da vero bauscia, quando sfidò un giornalista a scrivere lui la formazione ideale, e quello lo punzecchiò: «Ok, se mi dà parte dei suoi 9 milioni di ingaggio», lui lo corresse: «Non sono 9 ma 11, anzi 14 con gli sponsor». L’Inter fece una smentita pro forma, ma l’ingaggio base era davvero di 11 milioni.Nel vocabolario di Mou la parola umiltà non è contemplata. Anche se alla morte di Jorge Maria Bergoglio ha azzardato: «Per essere grande, innanzitutto è necessario saper essere piccolo. L’umiltà è la base della vera grandezza. La speranza è una luce nella notte. Grande papa Francesco». Non male, per un tipo vagamente egoriferito, anche quando sembra faccia sfoggio di modestia.Una volta sentenziò: «Nel calcio non ci sono superuomini. Ci sono solo uomini che vincono più spesso di altri». Negando poi di averlo detto, ma alla sua maniera: «Mai pensato di essere il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia migliore di me». Del resto «neanche Gesù piaceva a tutti» (e se vi pare blasfemo sappiate che il cattolico Mou gira sempre con un crocifisso in tasca). «Mio figlio suscita invidia perché ha vinto tanto, mentre in molti credevano che non ce l’avrebbe fatta». Così suo padre Felix Mourinho, ex portiere ed ex allenatore, intervistato dal quotidiano spagnolo As nel 2010. «Perché non è umile? Se avesse avuto la mia stessa umiltà lo avrebbero mangiato: nel calcio la parola umiltà non esiste». Mou ha fatto suo il motto zen: «Colpisci il cielo e ascolta il suono», che poi è quello dei nemici che si sceglie volta per volta. Del resto, come sosteneva Thomas Fuller, storico britannico: «Se non hai nemici vuol dire che la fortuna si è dimenticata di te». Spiegò Mou quand’era all’Inter: «Qui ci sono molte cose che mi piacciono, e una di queste è il rumore dei nemici. Mi piace averne tanti, perché anche se rende le cose più difficili, io sono molto più motivato». Tra essi, pescando random: Benitez, Johan Cruyff, Pep Guardiola, Carlo Ancelotti, e perfino Leo Messi.Senza dimenticare Claudio Ranieri, «che prima delle partite fa vedere ai suoi giocatori Il Gladiatore per motivarli, se lo facessi io con i miei si metterebbero a ridere o chiamerebbero un dottore per chiedergli se sono impazzito» (ma poi gli ha poi reso onore quando, dopo aver portato in Inghilterra il Leicester a vincere il suo primo, storico campionato, Ranieri è stato esonerato: «Avrebbero dovuto intitolargli lo stadio, ma questo è il calcio»). Nell’elenco non manca Antonio Conte. Cui le iene dattilografe riferirono che Mou lo definiva con eleganza un «pagliaccio a bordo campo». Conte la declassò con garbo a manifestazione di «demenza senile». Mou incassò signorilmente osservando che però lui non era mai stato sospeso per calcio scommesse (e poi la Uefa fa le campagne all’insegna del Respect...).Molto più grave fu il gesto che Mou, allenatore del Real Madrid, ha compiuto nei confronti di Tito Vilanova, nel 2011 assistente di Guardiola al Barcellona. Una vera aggressione fisica. Durante il match, scoppia una rissa e Mourinho gli infila violentemente un dito nell’occhio. Non contento, in conferenza stampa lo denigra chiamandolo «Pito» («cazzettino», in spagnolo). Un anno dopo, gli chiederà scusa. Appena in tempo: Vilanova è poi morto a soli 45 anni. Insomma, Mou non è un uomo da mezze stagioni. Con lui, è tutto un odi et amo. Gli aficionados lo definiscono un vincente di onestà brutale, capace di esternare quello che molti pensano ma pochi hanno il coraggio di dire. Lo rivendica, il suo non essere un sepolcro imbiancato, ad esempio con i giornalisti: «Se volete essere ipocriti è un problema vostro, io preferisco essere un sacco della boxe colpito da tutti i codardi. Sono nato e cresciuto così. Morirò allo stesso modo. A testa alta, senza paura di dire la verità».Chi lo detesta magari cerca di accoltellarlo come fece un tifoso del Deportivo nel 2011 all’aeroporto di La Coruña, oppure lo bolla come arrogante, presuntuoso, rissoso, sempre alla ricerca di slogan memorabili (le altre squadre con «zeru tituli», i mass media che praticano la «prostituzione intellectuale») e di un avversario con cui prendersela, anche per dare la carica a spogliatoio e tifosi. Rivelandosi spesso, più che un mou-tivatore, un sobillatore.Piacione e piacente, peraltro, sia alle donne sia agli uomini. Anche se in una conferenza stampa del 2009, come mister dell’Inter, stoppò un giornalista che gli chiedeva di una possibile sostituzione con un giocatore identificato come «biondo», Mou: «Mi pare difficile», il cronista: «Perché non le piacciono i biondi?», «A me questa pare una conversazione un po’ gay».«Come tifosa del Barcellona il suo ingaggio (da parte del Real Madrid) mi innervosisce, però come donna sono incantata perché è bellissimo. Mi affascina la sua aria accigliata. Possiede un lato selvaggio e borderline, bisogna ammetterlo, il signorino alza il livello, migliora l’album di foto. Mi regala brividi». Così, in piena tempesta ormonale, Pilar Rahola, politica e scrittrice catalana.«Dio deve pensare di me che sono una persona straordinaria se mi dà tutto quello che ho», ipse dixit.Non c’è niente da fare: il più grande pregio di José Mourinho è essere José Mourinho.Il suo più grave difetto, pure.