2024-08-27
Scienziati in difesa dello sport leale: «Vanno reintrodotti i test sul sesso»
A sinistra, il pugile algerino Imane Khelif; a destra, l'atleta paralimpico italiano Valentina Petrillo (Getty)
Un gruppo di studiosi mette nero su bianco che la partecipazione alle gare femminili di atleti nati maschi (cioè trans) o intersex è un pericolo per le donne. È la conferma che su Imane Khelif non c’è mai stata una «persecuzione».pubblicato un editoriale molto equilibrato e allo stesso tempo parecchio coraggioso (ripreso in Italia da Feministpost.it) sull’inclusione dei transgender nello sport. «Recentemente, in questa rivista, abbiamo spiegato come la produzione endogena di testosterone durante lo sviluppo maschile porti a vantaggi prestazionali derivanti da differenze ben consolidate basate sul sesso nella dimensione corporea, nella massa muscolare, nella resistenza, nella velocità, nella forza e nella potenza», scrive il giornale. «Questi vantaggi fisici sono così grandi che richiedono una categoria femminile separata e protetta che escluda il vantaggio maschile per garantire una competizione leale e sicura per le atlete. Gli sfortunati sviluppi dei Giochi Olimpici del 2024 costringono queste questioni a essere rivisitate». Insomma, di un confronto pubblico serio c’è bisogno eccome, a prescindere da ciò che sostengono i tifosi dell’inclusione senza limiti. «Durante le conferenze stampa ai Giochi Olimpici del 2024», prosegue la rivista, «il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) ha invitato a suggerire soluzioni per affrontare l’ammissibilità nello sport femminile. Cogliamo l’occasione per proporre la nostra soluzione, che include: (a) riconoscere che uno sport femminile che escluda ogni vantaggio maschile è necessario per l’inclusione femminile; (b) riconoscere che l’esclusione dallo sport femminile dovrebbe basarsi sulla presenza di qualsiasi sviluppo maschile, piuttosto che sugli attuali livelli di testosterone, (c) non privilegiare il sesso o l’identità di genere riportati sul passaporto per l’inclusione nello sport femminile; e (d) accettare che lo sport debba avere mezzi per verificare l’idoneità a soddisfare gli standard della categoria». A scrivere queste righe è un folto gruppo di scienziati e scienziate provenienti da atenei americani, inglesi, scandinavi, spagnoli, africani. Si trovano tutti concordi ad affermare che sia giunto il momento di reintrodurre nello sport i cosiddetti sex test.«Storicamente, la somministrazione di test di idoneità basati sul sesso è stata controversa, principalmente a causa della mancata tutela del consenso, della dignità e della riservatezza degli atleti», spiegano gli studiosi. «Già negli anni Cinquanta l’ammissibilità si basava sull’ispezione visiva delle partecipanti allo sport femminile. Nel 1968, queste “parate di nudo” furono sostituite da metodi molecolari più discreti, compreso lo screening dei cromosomi sessuali, e successivamente dal test più specifico e sensibile per la presenza del materiale genetico del cromosoma Y. Tuttavia, la verifica obbligatoria del sesso è stata abolita nel 1999. [...] Oggi, 25 anni dopo, esistono ampie prove del fatto che il sesso biologico è un elemento di differenziazione cruciale nel garantire l’equità e influenzare la sicurezza delle atlete. La partecipazione di concorrenti nati di sesso maschile (ad esempio donne transgender) e di atleti con determinati Dsd XY nello sport femminile è una preoccupazione crescente. Questi atleti sperimentano uno sviluppo tipico maschile dai testicoli che producono testosterone, con conseguenti differenze fisiologiche che creano vantaggi atletici e rischi per la sicurezza, anche negli atleti con Dds XY che potrebbero essere stati riconosciuti come femmine alla nascita. Non si può permettere che i fallimenti etici delle federazioni sportive del passato ostacolino soluzioni accessibili a una questione così importante nello sport femminile. Il quadro etico che governa i moderni test genetici è approfondito e, cosa importante per superare le carenze del passato, enfatizza il consenso individuale, la riservatezza e la dignità. La tecnologia attuale consente una procedura di screening per il sesso sportivo che prevede un semplice tampone sulla guancia per determinare i cromosomi sessuali». Come vedere si tratta di osservazioni decisamente moderate e ispirate dal buonsenso, che coincidono nei fatti con le richieste avanzate da vari gruppi femministi (comprese le italiane di Feministpost) e pure da Reem Alsalem, delegata Onu per la violenza sulle donne. Gli autori dell’articolo sullo Scandinavian Journal, fra l’altro, mostrano grande attenzione alle esigenze delle atlete e degli atleti intersex, e si preoccupano di suggerire procedure non invasive, non umilianti e totalmente rispettose. «Per preservare la riservatezza e la dignità, gli atleti devono essere selezionati precocemente, magari quando si iscrivono per la prima volta nella categoria femminile di una competizione e prima di essere proiettati sotto i riflettori globali. Ciò eviterebbe il targeting individuale e il controllo pubblico non richiesto che si è verificato numerose volte, più recentemente nei Giochi Olimpici del 2024. Un approccio precoce, a livello di gruppo, che tratti tutti i partecipanti allo stesso modo è di gran lunga preferibile all’approccio attuale che invita a test mirati basati su accuse, sospetti, valutazioni soggettive e pregiudizi». Già: se fossero stati fatti i sex test a tutti prima delle Olimpiadi, Imane Khelif non sarebbe finita al centro del tornado, e non avrebbe subito attenzioni indesiderate. «Un sondaggio tra le atlete dopo le Olimpiadi di Atlanta 1996 ha rivelato che l’82% era favorevole al test sessuale, con solo il 6% che riferiva disagio riguardo al protocollo del test», concludono gli scienziati che formano sullo Scandinavian Journal. «Quasi tre decenni dopo, dovremmo rivisitare e rispettare la voce delle atlete donne. È fondamentale che le federazioni sportive degli sport legati al sesso abbiano il potere di proteggere le atlete e garantire una concorrenza leale. Almeno una delle principali federazioni internazionali (World Aquatics) è esplicita nel dire che i criteri di ammissibilità includono lo screening genetico del sesso, e più federazioni dovrebbero considerare questa aggiunta ai criteri di ammissibilità. Piuttosto che “sorvegliare i corpi femminili”, lo screening seguito da un follow-up completo nei rari casi che richiedono un’ulteriore considerazione, garantirà la preservazione della categoria femminile per uno sport giusto e sicuro». Tutelare le donne e rispettare e proteggere gli intersex sarebbe possibile e anche non troppo difficile. Ma si evita di farlo per non scontentare un gruppetto di attivisti trans e i loro più ottusi sostenitori. E a farne le spese sono le categorie più vulnerabili.
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