2024-06-09
Scholz non vuole sanzioni sulle Mercedes
Ennesimo pasticcio Ue sulle misure contro Vladimir Putin: stavolta sono presi di mira i beni di lusso, ma Berlino non intende rinunciare a vendere macchine costose agli oligarchi. Intanto anche le imprese italiane in affari con Mosca tremano. E gli Usa incassano.Sul tavolo dei capi di governo che tra pochi giorni si riuniranno per il G7 sotto la presidenza italiana in Puglia sta per arrivare l’ennesima grana da risolvere nei rapporti con la Russia sul fronte economico. L’ultimo punto di attrito - secondo quanto riferisce Politico.eu citando fonti diplomatiche della Ue - è costituito dall’export di beni di lusso europei in Russia, in particolare le tanto ambite Bmw e Mercedes che tanto piacciono al gotha economico e politico russo, e alle cui vendite la Germania non intende affatto rinunciare. Ma ora il quattordicesimo pacchetto di sanzioni della Ue contro Mosca le ha prese di mira.Dopo aver bloccato le esportazioni dirette, a Bruxelles si sono accorti dell’esistenza di una gigantesca scappatoia che sta consentendo di aggirare il divieto, semplicemente triangolando le vendite tramite la Bielorussia. Il governo di Minsk, sanzionato già prima della guerra, condivide con Mosca un’unione doganale e una forte integrazione delle rispettive economie, ed è diventato una formidabile piattaforma commerciale nei flussi Ue-Russia, al punto che l’importazione di auto dall’Ue si è quadruplicata nel 2023 rispetto al 2021, raggiungendo il valore di 2,6 miliardi di dollari. Ben due terzi di tale valore è costituito da auto di lusso, segmento in cui i tedeschi sono leader. Facile immaginare che tutto finisca poi in Russia.Il fatto clamoroso è che - a dispetto dei tanti proclami - nessuno vuole rinunciare agli affari e, di conseguenza, la Germania e la Francia si sono opposte alla proposta di impedire la triangolazione via Bielorussia e l’intero pacchetto di sanzioni è sostanzialmente arenato. Al punto che si sta valutando di escludere il bando alla Bielorussia dalle sanzioni in preparazione, su cui il G7 dovrebbe trovare un accordo nel summit pugliese. Il condizionale è d’obbligo perché anche sul bando alla riesportazione di gas russo (Gnl) da parte dei Paesi Ue (come Francia, Spagna e Belgio), che fungono da piattaforma anche nei confronti di Germania e Italia, tutto è rimesso all’ormai imminente incontro tra i leader ed è improbabile che Olaf Scholz voglia tornare a mani vuote dai potenti costruttori automobilistici tedeschi.Quest’ultima vicenda serve a ricordarci l’enorme differenza che c’è - soprattutto per la Ue - tra Russia e altri Stati, come Venezuela, Iran e Corea del Nord, già sottoposti a sanzioni da parte degli Usa. A prescindere dalle dimensioni dell’economia, gli ultimi 20 anni hanno visto crescere esponenzialmente i legami commerciali con Mosca. Come si può anche solo pensare di troncarli con un tratto di penna? Il risultato non poteva che essere modesto, tali e tanti sono gli aggiramenti possibili.Le migliori parole per descrivere l’inefficacia delle sanzioni le ha usate, qualche giorno fa sul Financial Times, il presidente della più grande piattaforma commerciale e area di libero scambio di Dubai, Hamad Buamim: «Le sanzioni rallentano l’economia ma non la fermano mai», aggiungendo che «gli scambi continuano ad esserci, ma seguono altre strade» perché «l’efficacia si ferma al mondo occidentale che non controlla il mondo intero e, al limite, è aumentata solo la complessità».Ma a Bruxelles sembrano sordi. E dopo aver varato dal primo luglio un dazio sull’import di grano russo (€/ton 95) che di fatto equivale a un bando, si preparano a imporre dazi sull’import di altre merci russe (alimentari e medicine) per un controvalore di 42 miliardi di import.Ovviamente Vladimir Putin non assiste inerte, e la reazione danneggia pesantemente gli interessi della Ue in Russia. Che ci sono e sono enormi: 2.173 aziende tuttora operanti e circa 1.600 che sono andate via o hanno ridotto l’attività, con pesanti perdite a carico degli azionisti costretti a svendere. Chi è rimasto, attratto dal boom dei consumi, non ha alcuna intenzione di lasciare il Paese.Anche perché il governo di Putin ha imposto uno sconto obbligatorio del 50% sui trasferimenti di aziende a favore di compratori russi e una «exit tax» del 15%. Sotto tiro ci sono aziende europee il cui valore è stimato in 105 miliardi di dollari, che salgono a 285 considerando tutte le aziende straniere. A cui si aggiungono ancora 33 miliardi di attività finanziarie detenute da investitori Ue presso il depositario centrale russo. Insomma i russi devono solo scegliere dove mirare e colpire. Con la differenza che la Ue è in prima linea, poiché le aziende Usa pesano per appena il 13% sul totale.La valutazione sul da farsi si complica ancor di più per quanto riguarda le banche, con Unicredit (che ha già subito un sequestro di 463 milioni) e l’austriaca Raiffeisen nell’occhio del ciclone. Perché la Bce ha chiesto alle banche un piano di uscita dalla Russia e, per tutta risposta, gli austriaci hanno pubblicato sui giornali russi annunci di ricerca di personale per sostenere i piani di crescita. A questo proposito il governatore di Bankitalia Fabio Panetta a Stresa è stato categorico: «Essere forzati a vendere può essere costoso, ma qui c’è una decisione del governo». Consegnando di fatto nelle braccia di Putin le attività bancarie detenute in Russia dalle banche Ue.Mentre l’Unione e la Russia si leccano le ferite, il Wall Street Journal ha fatto il conto del rilevante stimolo ricevuto dall’economia Usa grazie alla guerra in Ucraina. Produzione industriale del settore difesa in aumento del 17,5%, perché per ogni 100 dollari di spesa federale a favore dell’Ucraina, 64 dollari diventano vendite dell’industria bellica Usa. Tagliato fuori il gas russo, gli Usa sono diventati nel 2023 il primo esportatore mondiale di Gnl. Prima della guerra l’export Usa di greggio oscillava intorno a 3 milioni di barili al giorno, oggi siamo poco oltre 4 milioni. Decisamente un buon affare per Washington e Wall Street.
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