2022-03-03
La guerra la fanno a Dostoevskij
La Bicocca cancella il corso dello scrittore dedicato al creatore dei Karamazov, poi si rimangia tutto: «Volevamo aggiungere autori ucraini». Anche dal governo voci indignate, peccato che il ministero di Franceschini abbia lanciato il boicottaggio dei musei russi. Tutti a leggere a voce alta L’idiota in rettorato. Sarebbe il contrappasso dovuto per il Fëdor Dostoevskij sfregiato e per il Paolo Nori censurato. Sarebbe un bagno di realismo per i vertici dell’università Bicocca di Milano, che due giorni fa - nell’ansia di resistere a Vladimir Putin strada per strada, tomo per tomo - avevano deciso di cancellare un corso dello scrittore emiliano sull’immortale romanziere. La caccia al russo prosegue, «vivo o morto» come nei manifesti «Wanted» del Far West. Ma questa volta il gesto da cancel culture non è andato a segno per tre motivi: il video di Nori quasi in lacrime su Instagram, la rivolta social e la paura del delitto e castigo che ha travolto il rettore dell’ateneo, Giovanna Iannantuoni.La notte ha portato alla retromarcia. Se martedì sera l’autore de I fratelli Karamazov andava sospeso-silenziato-rimandato per «evitare ogni forma di polemica in questo momento di forte tensione» (così ha scritto l’università a Nori), ieri mattina invece andava rimesso in calendario. Con la fretta di chi torna sui suoi passi dopo aver appoggiato la scarpa su un «cioccolatinone gallinaceo» di gaddiana memoria, il rettore scriveva: «Milano-Bicocca è un ateneo aperto al dialogo e all’ascolto anche in questo periodo molto difficile. Il corso dello scrittore Paolo Nori si inserisce all’interno dei percorsi “Bbetween writing” rivolti a studenti e alla cittadinanza. L’ateneo conferma che tale corso si terrà nei giorni stabiliti e tratterà i contenuti già concordati con lo scrittore. Inoltre, la rettrice incontrerà Nori la prossima settimana per un momento di riflessione».L’invito al tè con biscottini (evitare i petuchki alla ricotta) senza accenni di scusa non è piaciuto al relatore, che ha dichiarato all’Ansa: «Ancora non so se ci vado oppure no. Ci devo pensare. Non è che mi chiamano e io corro. Non so se voglio andare in una università che ha immaginato che Dostoevskij sia qualcosa che genera tensione. Ci penso e poi rispondo con calma. Ho altro da fare adesso». Ci sono rimasti male anche molti professori della Bicocca, autori di post di protesta nei confronti del rettorato, e cittadini strabiliati dalla decisione censoria presa dal mondo accademico. Ora il rettore parla di «malinteso» e il prorettore Maurizio Casiraghi la butta sulla par condicio: «L’intenzione era di ristrutturare il corso e ampliare il messaggio aggiungendo anche alcuni autori ucraini». Avrebbe avallato un indigesto minestrone pur di fare uno a uno. «Mi avevano invitato loro», ha detto Nori nel video-denuncia. Lo scrittore e docente del dipartimento Studi umanistici, traduttore della saggistica russa, era stato chiamato da Unimib per quattro lezioni (dal 9 marzo) su Dostoevskij, che prendono spunto dal suo ultimo romanzo, Sanguina ancora, nel quale narra l’incredibile vita del monumento della letteratura russa dell’Ottocento. «Quando ho letto la mail non volevo crederci. Trovo che quello che sta succedendo in Ucraina sia una cosa orribile e mi viene da piangere solo a pensarci. Ma quello che sta succedendo in Italia oggi, queste cose qua, sono cose ridicole: censurare un corso è incredibile. Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia. Ma anche essere un russo morto, che quando era vivo nel 1849 è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita. Che una università italiana proibisca un corso su un autore come Dostoevskij è una cosa che io non posso credere».In prima fila nello stigmatizzare l’accaduto c’è anche il governo, con un surplus di ambiguità. Il ministro dell’Università, Maria Cristina Messa: «Bene che l’ateneo abbia rivisto la propria decisione. Il nostro deve essere luogo di confronto e di crescita comune, ancora di più in una situazione così delicata». Contemporaneamente il ministero dei Beni culturali sembra favorevole all’embargo indiscriminato; l’ex direttore degli Uffizi, Antonio Natali, ha chiesto ai musei di bloccare il prestito di opere alla Russia; Firenze ha già rinunciato a quadri del Rinascimento fiorentino dal museo Puskin di Mosca. Un autogol, ma nessuno interrompe l’imbarazzante fobia culturale. Nel caos decisionale si notano esercizi di memoria selettiva. A scagliarsi contro la censura di Unimib sono anche Matteo Renzi («Significa essere folli») e Pier Luigi Bersani («Ma stiamo scherzando?»); proprio loro che per due anni hanno tifato lockdown e green pass, silenziando e ridicolizzando ogni pensiero diverso dal protocollo Speranza. Non è riuscito a trattenersi neppure il sindaco di Milano, Beppe Sala, già dimentico di avere epurato un direttore d’orchestra perché russo: «Certamente qualcuno in Bicocca ha sbagliato». Lo hanno semplicemente imitato. In un clima sempre più tossico per le scelte di libertà, l’università milanese si era recentemente segnalata per un altro episodio poco edificante. Quando il microbiologo Alberto Broccolo aveva detto che «il super green pass è uno strumento politico» e aveva espresso dubbi sull’efficacia dei booster, il rettorato aveva preso le distanze e minacciato «ulteriori azioni». Una sorta di passaporto ideologico-culturale, più rosso che verde, esiste da sempre negli atenei italiani, dove perfino a un papa (accadde a Joseph Ratzinger alla Sapienza) venne impedito di parlare, con l’allegra adesione del premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi. Ora è toccato a Nori entrare nel club dei silenziati. Un giorno spiegò così il suo amore per la Russia: «Mi piace tanto perché fa paura». Non aveva ancora conosciuto la polizia del karma in cattedra.