2023-12-05
Ai nemici del premierato piace solo un «uomo forte»: quello che sta al Quirinale
Il dibattito in corso sulla riforma si concentra sulla limitazione dei poteri del capo dello Stato. Che vengono considerati intoccabili, anche se negli anni si sono allargati.A voler prendere sul serio il «dibbattito» sul cosiddetto premierato che in questi giorni sta riguadagnando fiato, si potrebbe osservare una aporia così macroscopica da sfuggire. Il principale argomento di «attacco» degli oppositori del ddl di riforma costituzionale è: esso cambia i poteri del presidente della Repubblica (è la sostanza della critica ferocemente felpata di Gianni Letta). Bene, il principale argomento di «difesa» dei propugnatori della riforma è: non cambia i poteri del presidente della Repubblica.Questa curiosa simmetria è un buon indicatore della strumentalità e superficialità di buona parte della discussione, tesa soprattutto a seminare zizzania nella maggioranza (da una parte) e a tacitare la principale critica (dall’altra). Che il testo contenga asperità anche evidenti è già stato detto e scritto più o meno ovunque; che il perimetro d’azione del Colle venga ridefinito anche se gli articoli proposti all’Aula non lo prevedono apertamente è altrettanto evidente: e se così non fosse, del resto, non avrebbe alcun senso immaginare una riforma istituzionale degna di questo nome.Per una coalizione, quella di centrodestra, che si era presentata agli elettori proponendo l’elezione diretta del capo dello Stato, è bizzarro rivendicare di non toccare le prerogative della prima carica, ma ancor più bizzarra è la foga con cui si taccia questa riforma (il cui iter sarà comunque lunghissimo e probabilmente frenato almeno fino a dopo le Europee) di creare un centro di potere eccessivo a Palazzo Chigi. Giusto ieri, per esempio, sulla Stampa un corposo articolo di Donatella Stasio, ex portavoce della Corte costituzionale e contributor della rivista di Magistratura democratica, spiegava come il «premierato all’italiana» sia lo «specchio impietoso» degli «sbandamenti populisti, sovranisti, per certi aspetti autoritari» di questa maggioranza, che pare insofferente «verso i limiti al proprio potere». Queste argomentazioni sono mediamente condivise dall’opposizione politica e, per così dire, culturale al progetto del governo. La terza cosa strana, forse la più imbarazzante di tutte, è che l’allarme per il «potere forte» del nuovo premier «eletto» viaggia con la difesa assoluta del potere più forte di tutti, quello del Quirinale, che viceversa non va assolutamente né scalfito né «attenuato», per usare il participio scelto dall’ex storico sottosegretario berlusconiano.Come è possibile occultare continuamente questa clamorosa contraddizione? Non si tratta di simpatie personali: è abbastanza ovvio che una riforma di questo tipo abbia un impatto che debba essere misurato al di là del profilo di chi ricopre le cariche interessate. Proprio per questo, temere l’«uomo forte» portato all’esecutivo da un plebiscito appare leggermente problematico laddove l’antidoto sarebbe tutto in un potere fortissimo blindato al Quirinale.Per fortuna le sedi appropriate, purtroppo lontane dai riflettori, restituiscono le coordinate di un dibattito più sensato. Giovedì scorso, in commissione Affari costituzionali, si sono tenute le audizioni informali sulla riforma (qui il video: rb.gy/hua07q). Qui l’ex vicepresidente della Corte costituzionale (di nomina quirinalizia) Nicolò Zanon, il quale ha appena concluso il suo mandato, ha intrattenuto un interessantissimo scambio con l’ex presidente del Senato Marcello Pera. Rispondendo infatti a quest’ultimo, Zanon ha fatto ricorso alla consolidata metafora della «fisarmonica», che fior di politologi (Gianfranco Pasquino per citarne uno) hanno spesso utilizzato per descrivere come la prassi abbia esteso anche al di là dello stretto dettato costituzionale il perimetro d’azione del Quirinale, soprattutto in supplenza di altri attori, indebolitisi per mille ragioni. Per esempio, il potere di scioglimento delle Camere, di fatto appannaggio dei governi per decenni, è diventato - senza modifiche della Carta - sostanzialmente prerogativa del Colle (chiedere a Monti e Draghi). Ma soprattutto l’anomalia più grave è e resta quella della rielezione del capo di Stato: «Un mandato di 14 anni», ha scandito Zanon, «in capo al presidente della Repubblica, con la “fisarmonica ampia”... diamine se non altera la forma di governo parlamentare che è stata costruita dalla Costituzione!». Di fronte a questa concentrazione, il rischio dell’«uomo solo al comando» che sarebbe insito a una riforma che si perita di «non toccare» i poteri del presidente della Repubblica appare davvero equiparabile all’evangelica pagliuzza.Eppure tutto ciò è quasi completamente espunto dalla discussione in corso: forse perché la quasi totalità delle forze interessate (con la potente eccezione proprio di Fratelli d’Italia) ha contribuito al secondo mandato di Sergio Mattarella? Può essere, ma proprio in queste settimane - dalla politica estera al posizionamento sulle questioni europee, dalla legge sulla carne sintetica ai decreti sulla giustizia - chiunque ha modo di apprezzare frequenza, timbro e ampiezza del «suono» della fisarmonica del Quirinale. Forse togliere ipocrisia, sia in «difesa» sia all’«attacco» del possibile cammino della riforma aiuterebbe da un lato a chiarire le ragioni ai proponenti e dall’altro a indirizzare le critiche agli avversari. Altrimenti finisce che va bene il «potere forte» ma solo quando fa comodo.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.