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«Vanno nella giusta direzione i progressi compiuti nelle ultime settimane, a cominciare dalla decisione di definire un tetto al prezzo del gas, cosa che ha già contribuito alla discesa dei prezzi dell’energia». Persino Sergio Mattarella, l’11 novembre 2022, è caduto nel grande equivoco del price cap. Una pura illusione, che però tutti o quasi hanno finto reggesse per mesi e mesi: da Mario Draghi a Giorgia Meloni, passando per la stragrande maggioranza dei giornali e arrivando fino alla massima carica dello Stato. Peccato che, all’inizio del 2023, la realtà si sia fatta strada: l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia e l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati nella loro prima valutazione d’impatto dall’entrata in vigore del meccanismo di correzione di prezzo non hanno identificato «alcun impatto significativo (positivo o negativo) che possa essere inequivocabilmente e direttamente attribuito all’adozione del tetto».

Fissare un tetto al prezzo quando si è compratori non esclusivi è un’operazione molto complessa, specie se il venditore non è d’accordo. L’abbiamo appreso sulla nostra pelle, salutando sì il calo del prezzo del gas ma per una dolorosa discesa della domanda e per un inverno mite, non per altro. Una dinamica già intuita in tempi non sospetti da un certo Alessandro Manzoni, che raccontando i tumulti per il pane nella Milano seicentesca aveva già detto praticamente tutto quello che c’era da dire.

Parole Testarde | I dubbi di Alessandro Manzoni sul price cap

L’assalto ai forni come profezia sulla difficoltà rilevanti di decidere per legge un prezzo alle commodities.

  • Colonna sonora: Chopin, Preludio opera 28 n.15; The Beatles, “Taxman”, Revolver, 1966
  • Fonti: Alessandro Manzoni, “I promessi sposi”
  • Leggi la guida sintetica

«Razzisti!». «Sostituzione etnica!». «Ci vuole più Europa!». «Blocco navale!». Il cosiddetto dibattito sull’immigrazione è diventato da qualche anno una specie di rissa tra tifoserie vagamente allucinate, mentre la realtà corre e cambia portando problemi giganteschi di convivenza, di leggi, di equilibri economici, sociali, previdenziali, culturali. Eppure, poco più di vent’anni fa, prima dell’11 settembre, sarebbe stato possibile impostare l’intera faccenda entro binari più ragionevoli e sensati. Nel senso che i pensieri e le parole per evitare il tritacarne degli slogan inutili ci sarebbero stati. Giacomo Biffi, Giorgio Gaber e Giovanni Sartori da punti di vista, con ruoli e linguaggi e scopi decisamente diversi tra loro, hanno dato vita a un dialogo, diretto e indiretto, proprio sui temi dell’immigrazione, del rapporto con l’altro, del senso della convivenza tra diversi. Il primo, grande cardinale, si attirò insulti e strali per aver osato dire che l’accoglienza va declinata nell’ambito del possibile, che non tutti gli immigrati sono uguali, e che integrare chi abbia una concezione di donna, di famiglia e di educazione troppo diversa non è sempre facile. Lo applaudì giusto Giovanni Sartori, mente critica di sinistra, riconoscendo i tratti di una sana laicità che in nulla faceva a botte con la posizione religiosa. E poi c’è Gaber, capace di mettere in parole e musica il tema dell’altro. Ce n’è di che imparare molto, oltre vent’anni dopo.