2022-02-07
Con Papa Francesco sempre meno cattolici (perfino in Sud America)
È inarrestabile l’emorragia di fedeli nei Paesi che un tempo erano il maggior serbatoio per la Chiesa di Roma: presto il loro numero potrebbe scendere sotto il 50% della popolazione. Gli adepti aderiscono in massa alle confessioni protestanti, soprattutto alle sette pentecostali. E l’argentino Jorge Bergoglio non ha invertito la rotta.Papa Francesco non basta. Il pontefice regnante è latinoamericano in tutto - nella carta d’identità e nello stile - eppure questo, contrariamente a taluni auspici, non sta fermando l’emorragia di fedeli che, anno dopo, anno, sta facendo perdere alla Chiesa cattolica quello che fino a pochi decenni fa era il suo più imponente «serbatoio» di fedeli: l’America Latina.A lanciare l’allarme è stato, recentemente, l’insospettabile Wall Street Journal che, in un articolo a firma di Francis X. Rocca, Luciana Magalhaes e Samantha Pearson, ha sollevato un tema che poggia, anzitutto, sui numeri. Che in effetti sono chiari: se nel 1995 l’80% della popolazione dell’America Latina si diceva ancora cattolica, nel 2005 quella percentuale era scesa al 70% e ora ormai è sotto il 60%. Questo il quadro generale.Se però si passa a esaminare la situazione nei singoli Paesi, la situazione non migliora, anzi. Si prenda il Brasile: secondo il Pew research center, nel 2010 a dirsi a cattolico era ancora il 65% dei brasiliani. Il punto è che nel frattempo quella percentuale si è abbassata ancora e potrebbe verificarsi proprio quest’anno la discesa sotto la soglia - simbolica, ma pure psicologica - del 50%. La musica non è molto diversa nell’Argentina da cui proviene papa Bergoglio, come su America magazine, testata gesuita, ha fatto presente Eduardo Campos Lima richiamando un dato che, da solo, dice già moltissimo: tra il 2008 e il 2019, la percentuale di cattolici argentini è scesa dal 77% al 63%. Considerando un più esteso arco temporale, che va dal 1970 al 2014, si scopre poi come anche in Messico il calo dei cattolici sia stato del 15%, in Ecuador del 16%, in Venezuela e Uruguay del 20%, in Guatemala addirittura del 41% e in Honduras addirittura del 47%. Questa grande - e apparentemente inarrestabile - ritirata cattolica sta avvenendo a beneficio soprattutto di una specifica realtà: la galassia dei protestanti pentecostali. Accanto a essa, si sta facendo largo anche una quota sudamericana di «non religiosi», vale a dire i non affiliati a nessuna chiesa, ma è indubbio come l’avanzata sia soprattutto quella pentacostale. Al punto che ci sono già previsioni che parlano del grande sorpasso a scapito del cattolicesimo che, almeno in Brasile, dovrebbe avvenire nel 2032.Come mai la Chiesa cattolica è così in affanno proprio in un contesto dove primeggiava pressoché indisturbata? La lettura del Wall Street Journal - che sul punto arriva tardi, dato che già nel novembre 2014 il New York Times segnalava che «l’America Latina sta perdendo la sua identità cattolica» - è di natura essenzialmente politologica e sociale. In breve, secondo la celebre testata americana, negli anni il cattolicesimo sudamericano si e reso troppo autoreferenziale, a scapito d’un autentico radicamento popolare. A sostegno di tale interpretazione, è stato ricordato un sondaggio secondo cui 6 su 10, di quanti hanno lasciato il cattolicesimo, lo hanno fatto alla ricerca di «una Chiesa che aiuta di più i suoi membri». In realtà, le cose sono più complesse. Intanto perché rischia di essere una operazione azzardata - e lo si è visto su molti temi - quella di assumere come inattaccabili le motivazioni che le persone danno delle loro azioni; detto in altri tempi, non sempre si riescono a dichiarare e neppure a conoscere le ragioni profonde di un determinato fenomeno, neppure se a esso si prende parte. In seconda battuta, va rilevato come quella che sta avvenendo in America Latina, e che in parte è già largamente avvenuta, non è una trasformazione politica bensì religiosa, e non sembra riguardare solamente il cattolicesimo. Il sociologo boliviano Julio Còrdova Villazòn, specialista del ramo pentecostale, in un articolo apparso ancora nel novembre del 2014 sulla rivista Nueva Sociedad, ha in proposito fatto presente come la vera trasformazione si sia infatti consumata in casa protestante. La presenza di chiese evangeliche in America Latina, ha osservato Còrdova, non è infatti una notizia. Ciò che invece è nuovo è il successo di queste denominazioni le quali, se dapprima sposavano un’agenda liberal e centrata sulla separazione dalla Chiesa cattolica, successivamente hanno cambiato rotta. In che modo? Conquistando la scena in vari modi, inclusa una moltiplicazione di movimenti in difesa dei «valori morali cristiani». A ciò si accompagna, va detto, pure una proposta politica e talvolta l’aiuto di fondi economici, pare, non sempre di provenienza limpidissima.La partita, però, è essenzialmente religiosa. Lo prova anche il vicolo cieco, o quasi, della cosiddetta teologia della liberazione, una corrente di pensiero teologico cattolico che ha riferimenti in figure come quella del sacerdote e teologo Gustavo Gutiérrez. Tale corrente, per ammissione dello stesso Gutiérrez, è un «tentativo di interpretare la fede a partire dalla prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice, dei poveri di questo mondo, delle classi oppresse, dei gruppi etnici disprezzati, delle culture emarginate». Tutto giusto, sia chiaro. Il punto è che, nel frattempo, il mondo pentecostale continua a proporsi come un movimento religioso. Ed è proprio questo, in realtà, il suo segreto. «La compensazione per le privazioni materiali non è la base dell’attrazione del protestantesimo», ha osservato al riguardo il sociologo delle religioni Rodney Stark. Da parte sua, invece, Daniel H. Levine, docente emerito all’Università del Michigan, in un articolo uscito qualche anno fa sul Journal of Latin American Studies ha fatto presente come «il cristianesimo del futuro in America Latina rimarrà sì dominante, ma sarà plurale e competitivo».I vertici ecclesiali cattolici sudamericani sono così avvertiti: se vogliono fermare l’emorragia cattolica, pur mantenendo, nelle loro diocesi, prioritaria attenzione alla dimensione sociale - che caratterizza la Chiesa in tutto il mondo -, devono tornare a evangelizzare. Nel cristianesimo «plurale e competitivo» chi si ferma è perduto.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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