2019-02-06
Ora la Germania lancia il piano Iri per proteggere le proprie aziende
Il ministro dell'Economia vuole dare al governo il potere di acquistare imprese e bloccare scalate dall'estero per fermare la Cina. Come sempre vige il doppio standard: i teutonici possono fare quello che a noi è vietato.Per scongiurare il crac dell'istituto Nordlb, pronti 3,7 miliardi. Le opposizioni protestano e parlano di un aiuto di Stato.Le vendite al dettaglio lo scorso dicembre sono scese dell'1,6%. Si tratta del calo più forte da marzo 2008.Lo speciale contiene tre articoli.Liberisti e pro mercato con le imprese degli altri, e invece protezionisti e interventisti a casa propria. Sembra questo il ritratto della Germania del futuro uscito dalla penna di Peter Altmaier, il ministro dell'Economia tedesca, che ha fissato alcuni punti fermi (ne evidenzieremo tre) in un documento sulla «strategia industriale nazionale 2030», reso noto pochi giorni dopo lo scioccante rattrappimento delle previsioni di crescita per il 2019 (da +1,8% a +1%). Primo obiettivo. Creazione di un fondo statale di investimento per prevenire le scalate straniere di compagnie e aziende tedesche. In questa chiave, secondo Altmaier, allo Stato dovrebbe poter essere consentito di acquisire partecipazioni in imprese (aggiunge pudicamente «per un periodo limitato e in casi molto importanti»).Secondo obiettivo. Assicurare la sopravvivenza o la nascita di alcuni «campioni nazionali», inclusa Deutsche bank. Secondo il ministro, andrebbero individuati i settori trainanti, quelli in cui lo Stato dovrebbe intervenire massicciamente (il documento ne individua nove: dall'aerospaziale all'ingegneria passando per la medicina), e anche operare affinché cresca il peso complessivo dell'industria nella determinazione del Pil tedesco (ad esempio salendo dal 23 al 25% entro il 2030).Terzo obiettivo. Cambiare la normativa Ue sulla concorrenza, che, ad avviso di Altmaier, è troppo focalizzata sul mercato interno ai 27 Paesi membri, e non dedica sufficiente attenzione a ciò che accade sul piano globale. Altmaier, come si sa, è uno strenuo sostenitore della proposta di fusione tra Alstom e Siemens, che potrebbe andare incontro alle perplessità dell'Antitrust Ue. Occorre onestamente dare atto ad Altmaier, comunque la si pensi sulle risposte che propone, di aver preso di petto alcune questioni reali. Per troppo tempo, dentro l'Ue, si è inseguito il mito (altamente desiderabile) del mercato perfetto entro i propri confini, senza però accorgersi del fatto che, appena fuori, vigeva piuttosto una sorta di oligopolio perfetto, nella forma di avanzate neo imperiali, specie cinesi. E - parliamoci chiaro - è proprio il timore della Cina un elemento chiave della proposta di Altmaier. Non solo in Germania, è sempre più forte la paura dell'ingresso di Pechino in settori tecnologicamente avanzati e ricchi di know how, in prima battuta per fornire un apporto di capitali, ma in seconda battuta per impossessarsi di quel patrimonio e farne altro, non di rado stravolgendo o chiudendo le imprese inizialmente «soccorse». La risposta immaginata in Germania è quella di alzare le barriere rispetto all'ingresso cinese nei settori strategici, nelle cosiddette infrastrutture critiche, stoppando direttamente o indirettamente (attraverso l'intervento pubblico tedesco) investimenti cinesi in quei settori. Ma le cose sono maledettamente complicate, e non sempre, una volta che ci si è posti le domande giuste, arrivano risposte altrettanto adeguate. Vanno dunque evidenziate almeno quattro criticità legate al piano di Altmaier, che - in particolare dal punto di vista italiano - andrebbero soppesate e considerate, per evitare cattive sorprese.Primo. Nessun doppio standard. È francamente curioso che questa nuova ondata statalista e di protagonismo della mano pubblica venga da chi ci ha costantemente bacchettato proprio per questo motivo. Così come - ed è un argomento gemello - è ipocrita che Berlino e Parigi difendano ogni tipo di scalata e acquisizione quando sono loro a guidare le danze, salvo imbizzarrirsi e minacciare sfracelli se Fincantieri osa mettere il naso nella cantieristica navale francese. Secondo. È indubbiamente assai robusto l'argomento di chi dice: attenzione, l'Europa rischia di rimanere schiacciata dai due giganti Usa e Cina. Ma siamo sicuri che dal punto di vista italiano sia una buona idea aggregarci (come ultimo vagone) al treno francotedesco, accettando strategie decise a Parigi e Berlino? Non sarebbe meglio ipotizzare una strategia (geopolitica ed economica) meno rigida e più dinamica, che ovviamente non dimentichi il nostro ruolo nell'Ue, ma veda contemporaneamente un'Italia capace di fare sponda con l'America di Donald Trump, la Global Britain che scaturirà dalla Brexit, e i protagonisti asiatici? Ci sono mille contesti (si pensi solo al Nord Africa e alla Libia, per fare un esempio) in cui gli interessi italiani e quelli francesi sono competitivi e alternativi, non complementari.Terzo. In tempi in cui larghe fasce di popolazione chiedono (comprensibilmente) più protezione, la tentazione di costruire giganti pubblici è forte. Verrebbe da dire: come si traduce «Iri» in tedesco? Attenzione, però: questo significa dare un potere enorme ai partiti, ai governanti pro tempore, alle maggioranze parlamentari, consentendo proprio alla politica di avere un peso sempre maggiore nelle decisioni economiche.Quarto. Siamo sicuri che un ministro, anche il più illuminato e lungimirante, sia in condizione di decidere quali saranno i settori trainanti, in un mondo che è in vorticosa evoluzione? Non è più saggio chiedere alla politica, anziché un protagonismo diretto in economia, di creare un ambiente pro impresa, riducendo tasse e regolamentazione per un verso, e per altro verso investendo in infrastrutture? Trump ha fatto esattamente questo. Anche lui ha rotto gli schemi ideologici tradizionali, anche lui ha mescolato ricette liberiste (tagli fiscali) e keynesiane (mega investimenti), ma lo ha fatto per aprire la strada alle imprese private, non per sostituirsi a esse.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ora-la-germania-lancia-il-piano-iri-per-proteggere-le-proprie-aziende-2628082075.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-barba-alle-regole-la-merkel-salva-unaltra-banca-in-crisi-con-i-soldi-pubblici" data-post-id="2628082075" data-published-at="1586872958" data-use-pagination="False"> In barba alle regole la Merkel salva un’altra banca in crisi con i soldi pubblici Chi fa da sé, fa per tre. Dalla regola aurea che la Germania applica nei settori più svariati, dall'industria alla politica estera, ovviamente non poteva essere esente il comparto bancario. Quando c'è da introdurre nuove regole, o applicare alla lettera quelle già esistenti, Berlino è sempre in prima fila. Nel momento in cui si tratta, invece, di lavare i panni sporchi in casa, Angela Merkel e soci hanno sempre pronto un valido escamotage per aggirare le norme esistenti. L'ultimo, recentissimo, esempio è rappresentato dal salvataggio di Norddeutsche landesbank girozentrale (più comunemente nota come Nordlb), una delle banche commerciali più grandi a livello nazionale. Nordlb è una delle sette banche regionali tedesche (landensbanken), una particolare tipologia di istituto bancario che esiste solo in Germania, partecipato dallo Stato tramite i Lander (cioè i governi federali) e dalle associazioni regionali delle Casse di risparmio. La maggioranza delle azioni della banca, attualmente, è di proprietà dello Stato federale della Bassa Sassonia (59,13%), mentre lo Stato della Sassonia Anhalt detiene poco più del 5% del pacchetto. I riflettori si erano accesi su Nordlb lo scorso novembre con la pubblicazione dei risultati degli stress test condotti dall'Eba, l'Autorità bancaria europea. Nell'occasione, l'istituto aveva conseguito il peggiore risultato sul piano nazionale. Fino a ora, la banca aveva retto all'urto della crisi, tuttavia sui bilanci hanno pesato oltre 7 miliardi di crediti deteriorati erogati alle imprese del settore navale. Dopo la pubblicazione dei risultati degli stress test, nonostante le rassicurazioni dei dirigenti, è stato da subito chiaro che le cose si stavano mettendo per il verso sbagliato. Fallito il tentativo di fusione con un'altra banca locale, hanno iniziato a circolare con sempre più insistenza le voci che davano come probabile un dissesto, qualora entro febbraio non si fosse trovata una soluzione alternativa. Ma in Germania non si sono fatti prendere dal panico, e anziché invocare il tanto amato bail in (la procedura europea che regola la risoluzione degli istituti di credito) hanno pensato bene di giocare la partita in casa. Per prima cosa hanno rifiutato, cortesemente ma con decisione, le offerte di due fondi americani (Cerberus capital management e Centerbridge partners), riservandosi però la possibilità di vendere loro gli Npl. Quindi, è stato orchestrato un vero e proprio salvataggio casalingo. Sul piatto, la ragguardevole cifra di 3,7 miliardi di euro: 1,2 miliardi sono stati messi a disposizione dall'associazione tedesca che riunisce le Casse di risparmio, mentre altri 1,5 li ha sganciati il governo della Bassa Sassonia. Quest'ultimo, poi, si è riservato di staccare un altro assegno da 1 miliardo di euro qualora si rendesse necessario. Anche se consentirà di salvare la banca dal fallimento, l'operazione non sarà indolore. Come detto, i due fondi esteri faranno razzia di crediti deteriorati, verosimilmente con ampio margine. Gli analisti stimano che, a seguito delle perdite derivanti dalla cessione di Npl, l'anno prossimo il Cet1 ratio (l'indice che misura la stabilità patrimoniale degli istituti di credito) dovrebbe scendere sotto le soglie regolamentari, anche se solo temporaneamente. Ma con questa piroetta finanziaria Nordlb si sgancia anche da un comparto industriale nel quale è attiva da sempre, quello navale appunto. L'allarme lanciato nelle ultime settimane dagli armatori tedeschi riguarda il rischio che questa vicenda incida negativamente su un settore già di per sé molto provato, rendendo ancora più debole la posizione della flotta mercantile di Berlino. Ma le critiche più imponenti, anche sul versante interno, riguardano la natura stessa del sistema bancario tedesco. Nella sessione del Parlamento della Sassonia svoltasi ieri, verdi e liberaldemocratici hanno contestato aspramente la decisione di mettere in atto l'intervento statale che, sostengono i detrattori, produrrà inevitabili ricadute sui contribuenti. Le opposizioni denunciano anche il pericolo che l'Unione europea, finora anche fin troppo tollerante nei confronti della «manina» tedesca sulle banche, possa sollevare l'obiezione che l'operazione si configuri come aiuto di Stato. Senza dubbio il nostro sistema bancario sconta un problema di capitalizzazione ma, come dimostrano i risultati economici del 2018 diffusi ieri da Intesa Sanpaolo, i nostri istituti sanno perfettamente come realizzare profitti. Viceversa, il modello tedesco non è affatto esente da limiti e difetti. È singolare perciò parlare di unione bancaria quando uno dei suoi pilastri, il sistema di risoluzione delle banche, viene disatteso oppure applicato con tanta discrezionalità. Salvo poi, da parte degli stessi Paesi che lo aggirano con tanta facilità, esigerne la rigida applicazione altrove. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ora-la-germania-lancia-il-piano-iri-per-proteggere-le-proprie-aziende-2628082075.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pure-il-commercio-e-in-recessione-in-tutta-europa" data-post-id="2628082075" data-published-at="1586872958" data-use-pagination="False"> Pure il commercio è in recessione in tutta Europa Arriva un altro segnale che dimostra come la crisi dell'economia italiana sia accompagnata da un momento di impasse a livello europeo. A dimostrarlo sono i dati Eurostat sul commercio al dettaglio dell'area euro diffusi ieri. Secondo i dati, le vendite del commercio al dettaglio dell'area euro hanno subito nell'ultimo mese del 2018 il calo mensile più forte da oltre dieci anni a questa parte: un -1,6%. Dall'istituto europeo di statistica hanno fatto sapere che per trovare un calo più marcato bisogna risalire al marzo del 2008, in piena crisi globale, quando si verificò un -1,7% (arrotondato al -1,65%). All'interno di un periodo di crisi dell'economia, non stupisce quindi che a ridursi siano i consumi. Il passo indietro di dicembre cancella purtroppo i progressi mensili accumulati dalle vendite nei due mesi precedenti (+0,8% sia a ottobre sia a novembre). Sempre secondo i tecnici dell'ente di statistica dell'Ue, un calo di portata quasi simile, -1,4 %, si verificò nell'ottobre del 2017. Eurostat raccomanda di interpretare questi dati con prudenza, considerato che vi sono alcuni fattori che potrebbero averli influenzati. Primo fra tutti, ad esempio, il Black friday (il giorno che dà inizio alla stagione degli acquisti natalizi), che nel 2018 si è verificato il 23 novembre e che ha acquisito una crescente importanza anche sulle dinamiche di consumo dell'area euro, mentre negli anni scorsi era più trascurabile. Di certo, però, la fine del 2018 si è mostrata come un periodo particolarmente negativo. Sempre a dicembre la crescita su base annua delle vendite al dettaglio è salita solo dello 0,8%, riporta ancora Eurostat, un dato in calo rispetto al +1,8% di novembre e al +2,5% di ottobre. Tornando ai dati mensili, si segnala il crollo delle vendite in Germania, -4,3%, il più forte non solo nell'area euro ma in tutta l'Ue a 28. Tra gli altri Stati membri per i quali i dati sono disponibili, i cali più forti sono stati registrati anche in Svezia (-2,5%) ed Estonia (-2,0%). Aumenti invece in Austria (+0,7%), Portogallo (+0,6%) e Irlanda (+0,5%). I dati sulle vendite in Italia non sono ancora stati diffusi. A ogni modo, nonostante una marcata contrazione, in tutto il 2018 in media le vendite al dettaglio nell'Eurozona sono cresciute dell'1,4% rispetto al 2017 e del 2% nell'Unione europea.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)