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2025-11-09
Regionali, per salvarsi la carriera la Schlein si inginocchia a De Luca
Elly Schlein e Vincenzo De Luca (Ansa)
Sul versante opposto, Roberto Fico è in difficoltà. Troppe contraddizioni con il suo passato: i video degli anni scorsi, gli attacchi a Vincenzo De Luca, Clemente Mastella, Armando Cesaro, tutti suoi attuali alleati, riemergono e imbarazzano l’ex pupillo di Beppe Grillo. Poi c’è la questione dell’ormeggio del suo gozzo a creare problemi: «Se dovesse risultare vero», incalza la deputata di Fdi Imma Vietri, «che il candidato del centrosinistra Roberto Fico abbia ormeggiato la propria imbarcazione abusivamente nell’area militare di Nisida, saremmo di fronte a un fatto moralmente grave». Fico però mostra coraggio, accettando il confronto con Cirielli: «Ma certo, non c’è problema». Si sente tranquillo, grazie alle liste della sua coalizione, piene zeppe di mega-portatori di voti a pacchi e pacchetti. Tra queste, spicca «A testa alta», la lista di Vincenzo De Luca, che ha già stravinto la sua battaglia: Elly Schlein e i suoi pretoriani campani lo hanno prima messo all’indice, e poi sono tornati a Canossa, anzi a Salerno, e gli hanno detto «dacci una mano». Lui in cambio ha preteso mari e monti: il figlio Piero segretario regionale del Pd, la possibilità di fare una sua lista, tutto gli è stato concesso. Elly Schlein, se dovesse perdere la Campania, andrebbe a casa, e il Nazareno val bene una bruttissima figura politica: «Vincenzo, perdonaci!». Lui non perdona, ma i suoi candidati di «A testa alta» macinano voti, così come macina voti il vero grande regista della candidatura di Fico, che risponde al nome di Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli e acerrimo avversario proprio di De Luca.
Il centrosinistra campano, parliamoci chiaro, è una sommatoria puramente aritmetica di portatori di voti: Fico non ha nulla in comune con almeno la metà dei suoi alleati. Se dovesse vincere, avrebbe una navigazione (a proposito di barche) assai complicata: se poi i consiglieri deluchiani saranno determinanti, sarà burrasca perenne. «Rimontiamo!», scandiscono dal centrodestra sui social e nelle agenzie, e del resto se ci crede la Meloni perché non dovrebbero crederci loro? In arrivo vagonate di ministri nei prossimi giorni, mentre il premier sarà a Napoli, con i leader del centrodestra, il 14 novembre per la consueta manifestazione unitaria.
Del resto, la Campania è sempre stata «contendibile»: nel 2010 Stefano Caldoro sconfisse De Luca 54 a 43, nel 2015 De Luca si prese la rivincita battendo Caldoro di meno di tre punti (c’erano i 5 stelle da soli). Il 2020 non fa testo: il Covid trasformò De Luca in una popstar internazionale, prese il 70% senza i 5 stelle, ma fu una elezione in nessun modo paragonabile alle altre. «Come Caldoro ha battuto De Luca», confida un big del centrodestra, «Cirielli può tranquillamente battere Fico, tanto più che la Meloni ha un voto di opinione molto forte».
Lasciamo la Campania e saliamo in Veneto, dove pure siamo di fronte a un «dopo», con Luca Zaia che pur non essendo più candidato alla presidenza dopo ben tre mandati è in campo come capolista della Lega in tutte le province. Pure lui, come il «gemello diverso» De Luca, osteggiato in tutti i modi dai vertici romani del centrodestra, e pure lui determinante: potrebbe trascinare il Carroccio e impedire il sorpasso di Fratelli d’Italia.
In Veneto la partita è tutta interna al centrodestra, guidato da Alberto Stefani: il campo avverso, che ha come candidato alla presidenza il dem Giovanni Manildo, non ha speranze. Ma Zaia? «È una risorsa per la politica italiana», dice al Mattino di Padova il presidente del Senato, Ignazio La Russa, «se dipendesse da me: porte aperte. Ma una cosa è il mio pensiero, altra cosa è la collocazione, che risponderebbe a esigenze diverse. Non vedo alcun motivo per cui gli alleati della Lega possano frapporre alcun ostacolo a un upgrade di Zaia. Anche al governo, ma questo dipende da Giorgia Meloni».
Zaia ministro, una voce che ricorre spesso, ma il Doge non ha mai fatto mistero di preferire l’attività politica nel «suo» Veneto. Scontata la vittoria del centrodestra in Veneto, scontata quella del centrosinistra in Puglia, dove Antonio Decaro sembra ormai lanciatissimo verso la successione al suo ex padrino politico, Michele Emiliano. Luigi Lo Buono, candidato civico, sta conducendo una campagna elettorale sobria, all’insegna delle proposte, ma ha contro di sé una vera e propria armata elettorale e un candidato, Decaro, popolarissimo.
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Dopo aver sfidato lo «sceriffo di Salerno» il segretario dem si rimangia tutto. E per Roberto Fico conta sui voti portati dal governatore, che impone ricompense per il figlio. Sulla partita veneta, Ignazio La Russa apre a Luca Zaia nel governo.«Vinciamo»: il coordinatore regionale di Forza Italia in Campania, Fulvio Martusciello, capodelegazione azzurro al Parlamento europeo, lo dice alla Verità e sembra convinto. L’ennesima manifestazione elettorale di Fi al centro di Napoli è un successo clamoroso: centinaia di persone, il ritratto di Silvio Berlusconi troneggia nella sala. Allora crede ai sondaggi più ottimisti? «No», aggiunge Martusciello, «credo a quello che vedo. Siamo riusciti a entrare in tutte le case, abbiamo inventato il coordinatore di citofono, che si occupa di curare non più di due condomini. Parcellizzando la campagna, riusciremo a mandare a casa una sinistra mai così disastrata». Alla remuntada in Campania credono tutti: da Giorgia Meloni in giù. Il candidato presidente del centrodestra, Edmondo Cirielli, sente aria di sorpasso e spinge sull’acceleratore. Sul versante opposto, Roberto Fico è in difficoltà. Troppe contraddizioni con il suo passato: i video degli anni scorsi, gli attacchi a Vincenzo De Luca, Clemente Mastella, Armando Cesaro, tutti suoi attuali alleati, riemergono e imbarazzano l’ex pupillo di Beppe Grillo. Poi c’è la questione dell’ormeggio del suo gozzo a creare problemi: «Se dovesse risultare vero», incalza la deputata di Fdi Imma Vietri, «che il candidato del centrosinistra Roberto Fico abbia ormeggiato la propria imbarcazione abusivamente nell’area militare di Nisida, saremmo di fronte a un fatto moralmente grave». Fico però mostra coraggio, accettando il confronto con Cirielli: «Ma certo, non c’è problema». Si sente tranquillo, grazie alle liste della sua coalizione, piene zeppe di mega-portatori di voti a pacchi e pacchetti. Tra queste, spicca «A testa alta», la lista di Vincenzo De Luca, che ha già stravinto la sua battaglia: Elly Schlein e i suoi pretoriani campani lo hanno prima messo all’indice, e poi sono tornati a Canossa, anzi a Salerno, e gli hanno detto «dacci una mano». Lui in cambio ha preteso mari e monti: il figlio Piero segretario regionale del Pd, la possibilità di fare una sua lista, tutto gli è stato concesso. Elly Schlein, se dovesse perdere la Campania, andrebbe a casa, e il Nazareno val bene una bruttissima figura politica: «Vincenzo, perdonaci!». Lui non perdona, ma i suoi candidati di «A testa alta» macinano voti, così come macina voti il vero grande regista della candidatura di Fico, che risponde al nome di Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli e acerrimo avversario proprio di De Luca. Il centrosinistra campano, parliamoci chiaro, è una sommatoria puramente aritmetica di portatori di voti: Fico non ha nulla in comune con almeno la metà dei suoi alleati. Se dovesse vincere, avrebbe una navigazione (a proposito di barche) assai complicata: se poi i consiglieri deluchiani saranno determinanti, sarà burrasca perenne. «Rimontiamo!», scandiscono dal centrodestra sui social e nelle agenzie, e del resto se ci crede la Meloni perché non dovrebbero crederci loro? In arrivo vagonate di ministri nei prossimi giorni, mentre il premier sarà a Napoli, con i leader del centrodestra, il 14 novembre per la consueta manifestazione unitaria. Del resto, la Campania è sempre stata «contendibile»: nel 2010 Stefano Caldoro sconfisse De Luca 54 a 43, nel 2015 De Luca si prese la rivincita battendo Caldoro di meno di tre punti (c’erano i 5 stelle da soli). Il 2020 non fa testo: il Covid trasformò De Luca in una popstar internazionale, prese il 70% senza i 5 stelle, ma fu una elezione in nessun modo paragonabile alle altre. «Come Caldoro ha battuto De Luca», confida un big del centrodestra, «Cirielli può tranquillamente battere Fico, tanto più che la Meloni ha un voto di opinione molto forte». Lasciamo la Campania e saliamo in Veneto, dove pure siamo di fronte a un «dopo», con Luca Zaia che pur non essendo più candidato alla presidenza dopo ben tre mandati è in campo come capolista della Lega in tutte le province. Pure lui, come il «gemello diverso» De Luca, osteggiato in tutti i modi dai vertici romani del centrodestra, e pure lui determinante: potrebbe trascinare il Carroccio e impedire il sorpasso di Fratelli d’Italia. In Veneto la partita è tutta interna al centrodestra, guidato da Alberto Stefani: il campo avverso, che ha come candidato alla presidenza il dem Giovanni Manildo, non ha speranze. Ma Zaia? «È una risorsa per la politica italiana», dice al Mattino di Padova il presidente del Senato, Ignazio La Russa, «se dipendesse da me: porte aperte. Ma una cosa è il mio pensiero, altra cosa è la collocazione, che risponderebbe a esigenze diverse. Non vedo alcun motivo per cui gli alleati della Lega possano frapporre alcun ostacolo a un upgrade di Zaia. Anche al governo, ma questo dipende da Giorgia Meloni». Zaia ministro, una voce che ricorre spesso, ma il Doge non ha mai fatto mistero di preferire l’attività politica nel «suo» Veneto. Scontata la vittoria del centrodestra in Veneto, scontata quella del centrosinistra in Puglia, dove Antonio Decaro sembra ormai lanciatissimo verso la successione al suo ex padrino politico, Michele Emiliano. Luigi Lo Buono, candidato civico, sta conducendo una campagna elettorale sobria, all’insegna delle proposte, ma ha contro di sé una vera e propria armata elettorale e un candidato, Decaro, popolarissimo.
I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.