
Grazie a Dio, l’uomo dell’anno è un testimone dell’Eterno. Si chiama Robert Francis Prevost ma è più riconoscibile con la criniera di Leone XIV, Pontefice venuto dagli Stati Uniti, addirittura da Chicago. Il primo Papa statunitense, quasi in contemporanea con Donald Trump alla Casa Bianca. È salito al soglio di Pietro nell’anno che sta finendo ed è la novità più consolante che sia apparsa a Roma e non solo. I messaggi più sensati, quest’anno, li ha mandati lui, non solo sul piano della fede e della cristianità, ma anche del buon senso, della vita sociale e della pace tra i popoli.
Non si è contrapposto a nessuno, non ha smentito l’opera di papa Francesco, suo predecessore, ma con dolcezza e determinazione ne sta correggendo il tiro, riequilibrando le sorti e gli assetti della Chiesa. Sta puntando all’unità della Chiesa e dei cattolici, come purtroppo non fece il suo predecessore che si schierò con il versante progressista penalizzando il versante conservatore e tradizionale, spaccando la Chiesa in due tronconi. Leone non vuole capovolgere gli equilibri ma ricucire quella frattura, senza escludere nessuno. E anche nel dialogo interreligioso è partito, come è sacrosanto, dai fratelli separati più vicini, gli ortodossi della chiesa greco-russa, a 1.700 anni dal Concilio di Nicea, il primo concilio ecumenico dei cristiani e soprattutto in vista del bimillenario della morte di Cristo, il 2033, per il quale si prevede un Anno Santo speciale.
Nella Chiesa cattolica ha riammesso la messa in latino, i simboli e la liturgia della tradizione, perché le vie che portano al Signore sono infinite e non si possono ridurre solo a una; possono convivere gli innovatori e i tradizionalisti e trovar posto nella Chiesa, senza emarginare o allontanare gli uni o gli altri. Sul piano politico nessun fedele si sente escluso nel suo pontificato, ma compreso ecumenicamente nell’abbraccio pastorale.
In Palestina ha invocato la pace e la fine dei massacri mentre l’Occidente taceva sulla carneficina quotidiana a Gaza, e invoca la pace e il negoziato in Ucraina mentre l’Europa continua a chiamare alle armi, col proposito sciagurato di estendere e prolungare la guerra, trasformandola in un pericoloso conflitto mondiale tra Europa e Russia. Inoltre, papa Leone non si è mai distratto sui massacri dei cristiani nel mondo, ne ha denunciato le persecuzioni e le stragi, nel silenzio generale dei mass media.
Sul piano dottrinario, da agostiniano, papa Leone XIV è ripartito da Sant’Agostino e dai Padri della Chiesa, dalla tradizione più antica, e si avvertono i segni che lascia al suo passaggio. Predica anche lui la misericordia e la carità verso i poveri, come il suo predecessore, ma senza trasformare la vicinanza ai poveri in pauperismo e in sindacalismo clericale. Nell’esortazione apostolica Dilexi te ha sottolineato l’amore di Cristo nei poveri, la condanna della schiavitù, la difesa delle donne e il diritto all’istruzione, senza trasformare il magistero della Chiesa in agenzia di assistenza sociale. Ha espresso amore e premura verso i migranti ma senza ridurre la Chiesa a una Ong per traghettare i migranti di tutto il mondo, a partire dagli islamici.
Coerentemente con la scelta del suo nome pontificale, che richiama Leone XIII, il Papa della dottrina sociale, Leone XIV ha condannato il consumismo e il turbo-capitalismo ma non ha buttato via il bambino con l’acqua sporca: difende la civiltà cristiana, i suoi principi e i suoi riti, la sua storia e la sua dottrina, vuol risvegliare la sua forza morale, evangelica e spirituale, non sposa il terzomondismo. Dialoga con tutti, ma a partire dai cristiani, e non privilegiando gli atei, scendendo sul loro terreno. E non soffre di protagonismo, è sobrio e discreto (l’unico trauma per me è stato scoprirmi coetaneo del Papa, ti fa sentire senex, per dirla in linguaggio ecclesiastico).
Ma alla vigilia di Natale, vorrei porre l’accento sulla sua accorata apologia del presepe. Nel presepe, Leone vede un inno alla nascita, quindi alla maternità e alla famiglia, a cominciare dai bambini, in una linea di continuità tra natalità naturale e natività soprannaturale. Nel presepe ha colto l’apoteosi della comunità che si stringe intorno a Gesù Bambino e alla sua Famiglia; e ha posto l’accento sull’avvento della Luce nel mondo, speranza di salvezza. Da tempo il presepe è osteggiato dai suoi detrattori e stravolto da alcuni cristiani che vogliono trasformarlo in una specie di congresso interrazziale, una specie di Onu dell’antichità, con un messaggio di integrazione e accoglienza che svilisce il significato universale ed evangelico per farlo diventare il solito teatrino dell’inclusione e dei diritti civili. Per la verità anche Bergoglio in una lettera apostolica di qualche anno fa, Admirabile Signum, aveva sottolineato il valore spirituale e religioso del presepe, anche in relazione alla nascita e alla famiglia, oltre che la predilezione francescana verso i poveri di tutto il mondo. Ma alla fine il messaggio prevalente durante il suo pontificato era fondato sulla pervasiva retorica dell’accoglienza e dell’inclusione, oscurando ogni altro significato; mentre fuori dalla Chiesa serpeggia l’ostilità verso il presepe, ritenuto addirittura offensivo verso i non credenti e i fedeli di altre religioni. In realtà, il presepe non è solo il culmine della visione cristiana, la rappresentazione più viva e concreta di un mondo in cammino verso Cristo ma proviene da un fondo rituale e spirituale precristiano: coincide col mito solare del Bambino divino partorito in una grotta da una Madre Vergine. Cito a tale proposito due precedenti: ad Alessandria in Egitto, la notte del 24 dicembre un bambino fasciato che raffigurava Horus, figlio divino di Iside, era portato in processione mentre i sacerdoti annunciavano il parto della Vergine e il Sole tornato a splendere nel cielo. Nella Quarta Egloga, Virgilio annunziava la nascita imminente del puer miracoloso, in un linguaggio criptico che echeggiava i culti orientali. La cristianità non è dunque l’avvento del Nuovo e la rottura con ogni precedente, ma è l’espressione, o per i suoi credenti il culmine, di una tradizione nel segno della luce, dell’inizio e della nascita che viene da più lontano. Basterebbe, del resto, vedere il presepe napoletano, fiorito in epoca barocca, per rendersi conto del sostrato pagano che riaffiora nella cristianità, nei suoi culti e nei suoi santi; si legga a tale proposito Il presepe popolare napoletano di Roberto de Simone (edizione Einaudi).
Papa Leone XIV sta riportando il presepe a casa e si rivolge al mondo non mettendo tra parentesi la fede e la religione per inseguire coloro che non saranno mai cristiani, ma lo fa nel nome dalla fede e dalla cristianità e a partire da esse. L’impresa è difficile, assai impervia, ma qualunque sia l’esito potrà dire con San Paolo: «Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi». Ho combattuto la buona battaglia, ho consumato il mio cammino, ho conservato la fede.






