Lo ha detto l'eurodeputato della Lega a margine dell'evento Conferenza Pro Vita-Vannacci contro 'epidemia' di transizioni sessuali nei minori in Europa riguardo all'ideologia di genere che si prefigge lo scopo di distruggere la società occidentale.
Roberto Vannacci (Ansa)
Il generale ed europarlamentare leghista interverrà nella città «rossa» a un evento che replica il contestato summit di Gallarate. La concomitanza con le mobilitazioni pro Pal mette in allerta le forze dell’ordine. Il Pd è un disco rotto: «Idee incostituzionali».
Il 4 ottobre è la classica data che sul calendario va cerchiata in rosso: la sinistra, soprattutto quella estrema, è in fermento per la grande manifestazione pro Gaza che si terrà domani lungo tutto lo Stivale. Dopo anni in cui i «compagni», malgrado le coccole del Pd, non hanno praticamente toccato palla, la questione palestinese ha improvvisamente offerto loro la possibilità di uscire dal retrobottega e di tornare al centro della scena.
Eppure, se gli occhi di tutto il mondo sono puntati sulla Striscia e, di rimando, sulle proteste dei pro Pal, la galassia sedicente «antagonista» dovrà fare i conti con un’«azione di disturbo» degna di nota. Sempre domani infatti, nella rossa Livorno, e più precisamente presso il Grand Hotel Palazzo, si terrà l’evento «Road to remigration». Si tratta, nello specifico, della prima conferenza di preparazione al Remigration summit 2026, ossia la seconda edizione della kermesse organizzata dalle numerose associazioni europee che sostengono la proposta della remigrazione: un tema che, evocato persino da Donald Trump, sta diventando sempre più centrale nel dibattito politico occidentale.
Già lo scorso maggio, del resto, il summit di Gallarate aveva generato un vespaio di polemiche, soprattutto per la presenza di Martin Sellner, leader degli identitari austriaci e teorico principe del progetto remigrazionista. È quindi probabile che l’appuntamento di domani, se non riuscirà a oscurare le mobilitazioni dei «compagni», di certo farà parlare molto di sé. Anche perché, tra i relatori, figura persino Roberto Vannacci, ossia il nemico pubblico numero uno del rumoroso fronte progressista.
I promotori e gli animatori dell’evento sono soprattutto due: Andrea Ballarati, leader dell’associazione «Azione, Identità, Tradizione» con un passato in Gioventù nazionale (costola giovanile di Fdi), e Lorenzo Gasperini, esponente della Lega giovani. Ballarati, che del Remigration summit è anche il portavoce, ha spiegato in un video diffuso sui social l’obiettivo della conferenza di domani: «Quella che finora è stata una fenomenologia mediatica verrà resa una seria proposta politica, un serio proposito di cambiamento dell’immigrazionismo e accoglienza estrema di cui è stata vittima la Toscana, l’Italia e l’Europa intera». Ma perché proprio Livorno? È sempre Ballarati a specificarlo: «È la città più rossa della regione più rossa, dove si terranno presto le elezioni». Pur consapevole che l’evento non potrà certo determinare il risultato delle urne, il portavoce del Remigration summit si è comunque detto fiducioso che l’imminenza del voto potrà dare maggior risalto mediatico al tema della remigrazione.
L’appuntamento, che sarà a numero chiuso per circa 150 spettatori, promette in effetti scintille. Oltre a Vannacci, tra gli oratori figurano anche il generale Marco Bertolini, noto esperto di geopolitica e presidente dell’Associazione nazionale paracadutisti d’Italia, Mihály Rosonczy-Kovács, direttore del think tank ungherese Nozopont Intezet, gli esponenti dell’Afd tedesca Petr Bystron e Stefan Korte, il deputato romeno George-Mihail Neamtu, membro del partito nazionalista Aur, e l’influencer spagnola Ada Lluch, giovane attivista conservatrice vicina ai sovranisti di Vox, che peraltro ha già fatto parlare molto di sé quando è salita sul palco all’imponente manifestazione di Londra organizzata da Tommy Robinson. A destare le preoccupazioni dei segugi di sinistra, però, è chiaramente la presenza di Vannacci. Il tema della remigrazione, del resto, il vicesegretario del Carroccio l’aveva evocato già a Pontida: «Non ci rassegniamo alla società multiculturale, alla società meticcia, alla islamizzazione delle nostre città», disse in quell’occasione Vannacci. Che poi puntualizzò: «Lo straniero è già tra noi, ci ha invaso: è lo straniero che molto di frequente stupra, violenta, rapina e che ci vuole imporre la propria cosiddetta cultura. Per questi signori che non rispettano le nostre leggi e che entrano nei nostri confini, c’è solo un futuro e si chiama remigrazione». Per aver poi confermato che sarebbe stato presente all’evento di Livorno, il vice di Matteo Salvini si è pure beccato da Domani l’appellativo di «fascioleghista». In effetti, a leggere la stampa progressista che ha dato notizia della conferenza nella città labronica, è tutto un profluvio di titoli spaventevoli come «la kermesse sovranista», «il raduno dell’ultradestra», «il summit degli xenofobi» e via delirando. Anche la remigrazione, naturalmente, è presentata come un piano diabolico fatto di «deportazioni di massa» di tutti gli immigrati, nessuno escluso. Basti vedere Repubblica, che ha definito la remigrazione come una «teoria che, all’atto pratico, significa banalmente “deportazione” e privazione dei diritti civili: via tutti gli stranieri, regolari o meno, basta “contaminazione”». Eppure, sarebbe bastato leggere il libro di Martin Sellner, tradotto di recente in italiano da Passaggio al bosco, con prefazione di Francesco Borgonovo, per appurare che di deportazioni violente e amenità varie non c’è alcuna traccia.
In ogni caso, se la remigrazione viene raccontata così dalla stampa progressista, non stupisce che la politica di sinistra reagisca con la stessa improntitudine. Per contestare l’evento, per esempio, Antonio Mazzeo, presidente del Consiglio regionale della Toscana e candidato dem, è insorto sostenendo l’anticostituzionalità della remigrazione: «La Lega continua a scivolare sempre più a destra», ha denunciato Mazzeo, «mettendo il timbro - con la presenza di Vannacci e il generale Bertolini - su un movimento razzista e anticostituzionale che inneggia perfino alla deportazione».
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(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.
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2025-07-10
Rackete sperona gli elettori presi in giro dalla sinistra: «Ciao, ciao Europarlamento»
Carola Rackete (Ansa)
La «capitana» trasformata in un’icona anti Salvini per raccattare voti esulta: «Ho rinnovato Die Linke, ora penso al clima». Vannacci: «Non ci mancherà».
Lascia per occuparsi meglio dei temi della crisi climatica. Dagli immigrati al clima, Carola Rackete dopo aver illuso i suoi elettori, al termine di poco più di un anno a Bruxelles come europarlamentare per The Left, ieri si è dimessa. In questo modo la donna che sfidò Matteo Salvini ha chiarito ciò che sospettavano in molti: la sua non era altro che una candidatura che serviva a portar voti.
La notizia del passo indietro è arrivata con un comunicato diffuso dal gruppo Die Linke-Left, che le ha rivolto un «sentito saluto». E ancora: «Siamo orgogliosi del lavoro svolto insieme. La sinistra continuerà la sua lotta per l’azione per il clima e la revisione delle orribili politiche migratorie dell’Ue». In una dichiarazione ufficiale, la stessa Rackete ha spiegato le ragioni della sua decisione. «La mia candidatura e il mio mandato hanno sempre mirato a contribuire al rinnovamento del partito Die Linke, un processo che sta procedendo con successo. Come persona attiva nei movimenti sociali, io e il mio team abbiamo discusso fin dall’inizio di come dare forma collettivamente al mandato e questo spirito collettivo si sta ora concretizzando attraverso le mie dimissioni. Ringrazio tutti gli elettori e in particolare tutti i membri del partito che hanno riposto in me la loro fiducia». Poi ha spiegato le vere ragioni del suo abbandono: «Per me personalmente significa potermi concentrare sulle azioni contro la crisi climatica», ha sottolineato, ringraziando il partito che l’ha sostenuta, spiegando: «Il focus sulla politica partitica rischia di far perdere di vista la crisi ecologica e le sue soluzioni».
È stata sostituita da Martin Günther, economista nato a Berlino Est nel 1982, che ha assicurato di voler continuare «la lotta di Carola per la giustizia climatica», dichiarando: «Come economista, gli aspetti economici di questa lotta sono particolarmente importanti per me. Un’Unione europea più sociale ed ecologica sarà possibile solo se la strapperemo ai super ricchi e ai loro lobbisti. Per questo, sono felice di collaborare con le forze progressiste di partiti, movimenti e sindacati in tutta Europa e oltre».
Al momento della sua candidatura l’attivista ha spiegato all’Afp di essersi impegnata in politica «per necessità» per contrastare «la grave minaccia alla democrazia rappresentata dai gruppi di estrema destra». Oggi si passa alla lotta contro il clima, l’immigrazione insomma, sembra passata di moda.
Già qualche tempo fa aveva fatto intendere che la sua priorità era diventata il clima. Nel giugno 2020 venne arrestata dalla Polizia regionale dell’Assia mentre protestava, vestita da pinguino seduta su una capanna costruita su un albero, per proteggere un bosco dall’abbattimento, ritenuto necessario per ampliare un’autostrada.
Carola Rackete, 37 anni, è un’attivista tedesca nata nel 1988 a Preetz, nello Schleswig-Holstein, Land della Germania settentrionale ai confini con la Danimarca, è figlia di un militare della Bundeswehr ed è laureata in Scienze navali e Trasporti marittimi.
È conosciuta come ex comandante della Sea Watch, la nave Ong che navigava nelle acque del Mediterraneo caricando immigrati irregolari e favorendo, per alcuni, il traffico di esseri umani. Nel 2019 attraccò a Lampedusa con la sua nave umanitaria con a bordo 43 migranti, nonostante i divieti dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, violando quindi il blocco imposto dalle autorità italiane.
Al suo attracco, il 29 giugno, venne inizialmente arrestata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e resistenza a navi da guerra, oltre che accusata di aver «speronato» la motovedetta della Guardia di finanza che le stava impedendo l’ormeggio. Il giudice per le indagini preliminari di Agrigento non convalidò il suo arresto rendendola di fatto un’eroina per la sinistra europea.
Di qui il sospetto che oggi diventa certezza: la sua candidatura è servita per portare voti al partito, una fregatura per i suoi elettori un sollievo per le opposizioni.
«Carola Rakete si dimette dal Parlamento europeo. Non ci mancherai! Ora speriamo che anche Ilaria Salis e Mimmo Lucano seguano l’esempio». Il commento dell’eurodeputato leghista Roberto Vannacci su Facebook, allegato anche ad alcune foto delle gambe non depilate dell’attivista tedesca. L’immagine ha sollevato una bufera, ma Vannacci ha spiegato di non fare body shamig perché era stata Rackete a mostrare le gambe in pubblico in quel modo.
«Ogni tanto dall’Europa arrivano buone notizie. Ora che Rackete si è dimessa da europarlamentare, possiamo dire con certezza che nessuno ne sentirà la mancanza. Dopo essersi fatta beffe delle istituzioni italiane, speronando le navi della Guardia costiera, ora oggetto della beffa sono le istituzioni europee, avendo deciso di non portare a compimento il mandato per il quale si è fatta votare ed eleggere. Le sue dimissioni sono il più grande successo della sua attività politica». Così il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli (Fdi).
Di tutt’altro tono la reazione di Ilaria Salis: «È stato un piacere conoscerti e condividere un pezzo di strada insieme, Carola Rackete. Grazie per tutto l’affetto e la solidarietà che hai sempre mostrato nei miei confronti. Grazie per il tuo impegno, l’ispirazione e la coerenza. Ci vediamo nelle lotte!».
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Matteo Piantedosi (Ansa)
Pd, Avs e media amici muti sui gruppi di antagonisti che, per protestare contro il Remigration summit, hanno vandalizzato Milano. I paladini della libertà, invece, se la prendono col Viminale, reo di aver garantito la sicurezza e lo svolgimento di un evento pubblico.
Proprio non ce la fanno, questa faccenda stravagante della libertà di parola non riescono a concepirla, è totalmente estranea alla loro mente, la rifiutano a livello epidermico. Da mesi e mesi cianciano di democrazia in pericolo, di ritorno del regime e di intolleranza. Però hanno passato gli ultimi giorni della settimana scorsa a cercare di impedire lo svolgimento di un convegno - il Remigration summit - poiché non ne gradivano le tesi. Gli albergatori contattati per ospitare l’evento venivano inondati da mail minacciose e costretti a tirarsi indietro, il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha di fatto proibito che la manifestazione si svolgesse nel suo feudo, altri sindaci hanno debitamente preso le distanze. Nonostante tutto, il summit si è svolto lo stesso - a Gallarate, in provincia di Varese - e non ha creato alcun problema, non ha danneggiato la vita democratica della nazione e non ha turbato i deboli di cuore. Tutto tranquillo e rispettoso.
A fare danni, a disturbare la quiete pubblica e rovinare l’arredo urbano hanno invece provveduto i sempre cortesi rappresentanti dei centri sociali che sabato si sono ritrovati a piazza Cairoli, a Milano, per protestare contro il Remigration summit. Che gli antagonisti si sarebbero riuniti e sarebbero stati bellicosi era più che noto: lo avevano annunciato con giorni di anticipo. E in effetti tutto è andato secondo copione: caschi neri, fazzoletti a coprire il viso, proverbiali scontri con le forze dell’ordine, fumogeni e cagnare di varia natura.
Insomma, ciò che è previsto dal manuale per il pomeriggio del perfetto sobillatore antifa. Roba che chiunque fosse davvero interessato alla democrazia e al quieto vivere dovrebbe condannare o per lo meno sdegnare. Ma una larga fetta della politica italiana e la rappresentanza mediatica di quest’ultima a prendere le distanze non riescono. Non si pretende, per carità, che gli amici progressisti alzino le barricate in favore della libertà di espressione e dichiarino - come sarebbe giusto e naturale - che un convegno si può e si deve svolgere anche se loro non ne apprezzano i contenuti (per altro bisognerebbe ascoltarli, questi contenuti, prima di berciare contro di essi). No, non pretendiamo tanto, non ci aspettiamo che la sinistra pratichi quel liberalismo che a lungo ha preteso di frequentare.
Però, se non altro, gradiremmo che i sinistrorsi mostrassero un minimo di decenza e spendessero due parole di denuncia dell’atteggiamento violento e intollerante dei centri sociali. Anzi, abbassiamo perfino l’asticella: ci accontenteremo di un rispettoso e dignitoso silenzio, pur imbarazzato e imbarazzante. Ma nemmeno questo si riesce a ottenere. Giornali e politici non ha trovato di meglio da fare ieri che prendersela con il governo italiano, in particolare con il ministro Matteo Piantedosi.
«In democrazia non bisogna avere paura di nulla, anche di idee che possano apparire molto forti, molto controverse, molto discutibili anche, non condivise in qualche modo. Io da ministro dell’Interno ho l’obbligo di garantire la libera espressione del pensiero da parte di chiunque», ha detto giustamente Piantedosi. Il quale ha pure notato - sempre giustamente - che a Milano si sono dati appuntamento «i soliti professionisti del disordine, che con il pretesto di manifestare contro il Remigration summit, hanno provocato scontri contro le forze di polizia presenti. Ai militari feriti», ha concluso il ministro, «e a tutti gli uomini e le donne in divisa va il mio più convinto sostegno. Operano ogni giorno con coraggio e professionalità, anche in contesti estremamente complessi».
Che cosa ci sia di sbagliato in queste frasi è molto difficile da comprendere. Un ministro deve garantire il rispetto dell’ordine pubblico e deve fare in modo che tutti possano esprimere le proprie idee senza censure, violenze e impedimenti di altra natura. Ma secondo Elly Schlein «è grave che ci sia anche nel governo italiano chi dà sponda a raduni di questo tipo». Per Nicola Fratoianni invece è «vergognoso che un ministro degli Interni non abbia nulla da dire sull’accolita di un gruppo di neonazisti e neofascisti sul nostro territorio».
Non un fiato, da sinistra, sulle intemperanze antagoniste. Se ne deduce che per l’opposizione i centri sociali detengano il diritto di mettere a ferro e fuoco le città, menare la polizia e spargere caos, mentre chiunque altro non sia titolato a parlare, a meno che non professi idee compatibili con il programma di Avs o del Pd. Questa regola vale anche per i media che di solito esprimono grande preoccupazione per le sorti degli Stati liberali, quei giornali che sfoderano corposi editoriali contro Trump e la tecnodestra ma sorvolano sulle discriminazioni (vere) messe in atto dalla parte avversa.
Repubblica ieri titolava indignata su Piantedosi che «difende il Remigration summit» (e che avrebbe dovuto fare, impedire una riunione pubblica ed educata in una sala regolarmente pagata?). Persino Avvenire si concentrava sul «sostegno» di Roberto Vannacci alla manifestazione.
Il fatto che ci siano stati a Milano «scontri fra polizia e antagonisti» è stato liquidato con serenità, come qualcosa di assolutamente normale, un avvenimento privo di relazioni con la sinistra istituzionale. Pd e compagni sono scesi in piazza a Milano, non lontano dal luogo in cui si sono riuniti i picchiatori dei centri sociali, dunque avallavano la protesta e anzi l’hanno favorita. Ma ciò non rileva. Perché il punto è sempre lo stesso: tutti sono liberi di parlare finché le opinioni restano nel perimetro stabilito dai progressisti. I quali, non avendo idee, temono come la peste coloro che ne hanno qualcuna. In fondo, è solo una questione di invidia che uno psicologo appena decente potrebbe risolvere.
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