Regione Lombardia introduce le Zone di innovazione e sviluppo, dette Zis, un nuovo strumento con cui l’amministrazione punta a rafforzare gli ecosistemi economici locali favorendo la collaborazione strutturata tra imprese, università, enti pubblici e realtà sociali. L’obiettivo è quello di rendere la Lombardia un territorio sempre più competitivo e riconoscibile su scala internazionale, creando spazi in cui innovazione, ricerca e sviluppo possano tradursi in crescita economica stabile. Il modello, sperimentato per la prima volta da una Regione italiana, prevede un percorso strutturato in due fasi: manifestazione di interesse e definizione del Piano strategico definitivo.
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
«C’era un accordo politico importante, alla Camera c’è stato un voto unanime su questa legge, i massimi vertici dei gruppi parlamentari si erano stretti la mano e ciò ora significa che stringersi la mano con questa destra non vale niente perché all’ultimo momento si può tornare indietro, smentendo addirittura un voto unanime del parlamento. E hanno deciso di farlo proprio oggi, il 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ndr)». È uscito dalla commissione Giustizia del Senato sbraitando che la destra ha stracciato l’accordo sul ddl stupro, il senatore di Italia viva Ivan Scalfarotto.
È vero, la proposta di legge che era stata approvata all’unanimità alla Camera dopo un accordo tra il premier Giorgia Meloni e il segretario dem Elly Schlein, (norma che stabiliva che senza consenso «libero e attuale» un rapporto sessuale si trasforma in stupro), si è incagliata. A frenare è stata la Lega seguita da Fi e Fdi. Ma non è stato stracciato nulla. La maggioranza ha semplicemente chiesto un supplemento di indagine e un approfondimento con un ciclo di audizioni, aprendo la strada a delle modifiche. Ieri la sinistra sperava in un via libera rapido da parte della commissione e poi un’approvazione definitiva, sempre all’unanimità, dell’aula di Palazzo Madama, facendo leva sul fatto che fosse la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Ma secondo il capogruppo del Pd in commissione Alfredo Bazoli, «evidentemente hanno cambiato idea, stracciando l’accordo fatto da Meloni e Schlein». Risultato: le opposizioni hanno deciso di lasciare la seduta in segno di protesta.
Nel frattempo, il presidente della commissione Giulia Bongiorno, in quota Lega, ha rassicurato: «Credo di parlare a nome dell’intera commissione dicendo che si vuole andare avanti con questo ddl. Quindi chiunque voglia far passare il messaggio che si vuole archiviare non fa i conti sul fatto che io presiedo la commissione e non affosserò questo ddl che porteremo avanti». La Bongiorno ha proseguito dicendo di aver «dovuto chiedere se c’era l’unanimità nella rinuncia agli emendamenti», come prevede il regolamento. Ma l’unanimità non c’è stata «perché nel centrodestra si è detto che si vogliono fare alcune correzioni alla luce di alcune audizioni. Farò un ciclo breve e mirato e su alcuni aspetti tecnici segnalati e poi si proseguirà. La norma va fatta ma è chiaro che senza l’unanimità non si può chiudere in mezz’ora», ha concluso.
Ma l’opposizione non ci sta. Il segretario del Pd, Schlein ha fatto sapere di aver telefonato personalmente al premier per chiederle di «far rispettare gli accordi». Elisabetta Piccolotti, di Avs, lamenta: «Il comportamento del ministro Eugenia Roccella alla Camera ha del surreale. Nonostante le ripetute richieste dell’opposizione di spiegare le motivazioni che hanno portato al blocco delle norme sul consenso attuale e libero al Senato ha messo la testa sotto la sabbia ed è rimasta in silenzio». «I casi sono tre», prosegue la deputata, «o si vergogna delle scelte della sua maggioranza, o non sapeva cosa dire, o non ha il minimo rispetto per il ruolo del parlamento».
Nel mirino, secondo le opposizioni, non ci sarebbe alcuna norma di merito del ddl se non una richiesta definita «pretestuosa» perché, come ha spiegato la senatrice del Pd, Valeria Valente, «la maggioranza ha contestato l’ultimo comma che era già parte dell’articolo 609 bis dell’attuale codice penale». Si tratta della parte in cui il ddl prevede che «nei casi di minore gravità, la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi».
Un flusso costante di finanziamenti europei pari a 80 milioni di euro l’anno, un sistema articolato di programmi per sostenere media, analisi strategica, progetti editoriali e iniziative di fact-checking, e un obiettivo dichiarato: rafforzare consapevolezza, coesione e fiducia nel progetto comunitario. È l’immagine che emerge dal report Brussels’s Media Machine, che ricostruisce dieci anni di programmi della Commissione e del Parlamento europei dedicati alla comunicazione istituzionale. Secondo il documento, il sistema dei finanziamenti ha raggiunto quasi un miliardo di euro complessivi, spesso destinati a contenuti informativi con finalità esplicitamente narrative, indirizzati a rafforzare la percezione positiva delle politiche dell’Unione.
Il meccanismo non riguarda soltanto giornali, agenzie di stampa e redazioni consorziate, ma coinvolge anche think tank, istituti di ricerca e centri di analisi strategica, ritenuti attori cruciali nella costruzione del discorso pubblico europeo. Tra questi, secondo il giornalista indipendente Thomas Fazi, uno dei protagonisti è l’Istituto affari internazionali. Dal 2015, secondo il dossier, l’istituto ha ricevuto circa 10 milioni di euro in finanziamenti europei.
I fondi destinati allo Iai rientrerebbero in una pluralità di programmi che l’Unione dedica alle attività di ricerca, divulgazione e formazione sui temi delle relazioni esterne, della sicurezza, della politica di vicinato e dell’integrazione europea. I progetti finanziati includerebbero conferenze, rapporti di analisi, iniziative di studio e reti internazionali. Secondo il documento, l’Istituto ha svolto anche un ruolo attivo in programmi finanziati dall’Ue rivolti all’Ucraina, in particolare nel quadro delle iniziative europee per «rafforzare resilienza istituzionale, sistema informativo e capacità di governance del Paese dopo il 2014». Il report osserva che i think tank finanziati dall’Unione contribuiscono alla definizione dello spazio narrativo europeo in almeno tre modi: producendo analisi e rapporti destinati a decisori politici e opinione pubblica; formando nuove generazioni di esperti; partecipando a reti internazionali sostenute da Bruxelles. In questo quadro, strutture come lo Iai rappresentano un punto di contatto tra sistema istituzionale europeo e dibattito strategico nei singoli Paesi membri.
L’Istituto è diretto da Nathalie Tocci, che non più tardi di mercoledì scorso è stata insignita del titolo di Cavaliere della Legion d’Onore francese dall’ambasciatore di Francia a Roma, Martin Briens. «Mi congratulo con lei per il suo brillante percorso. Esperta di relazioni internazionali, incarna un’Italia europeista con legami forti con la Francia», aveva commentato il diplomatico consegnandole l’augusta investitura.
La signora Tocci, peraltro, si è sempre mostrata particolarmente disponibile a prestare la sua voce e la sua penna alle istanze europeiste. Ieri, sulle colonne della Stampa, asseriva che «con l’amministrazione Trump, l’eco Usa sulle azioni russe si è già dissipata. Il risultato è il disimpegno militare degli Stati Uniti, già minato dagli errori compiuti nella gestione delle politiche in Medio Oriente, e la pressione esercitata da Kiev. Al netto degli schieramenti economici, la volontà di nuove intese si scontra con il fatto che la Russia non è riuscita ad avanzare su Kiev, ma al tempo stesso si trova in posizione di vantaggio rispetto agli assetti commerciali. Il business delle compagnie private si rivela la vera conquista mancata, che può far pesare la forza economica russa anche in assenza di invasioni?»
Questo, in aggiunta a quanto rilevato dal report Brussels’s Media Machine consente a Fazi di ricordare come sia «curioso» che «quelli che accusano qualunque voce critica sulla guerra di essere al soldo di Vladimir Putin e della Russia, senza fornire uno straccio di prova, poi si rivelino tutti al soldo della Ue e della Nato, cioè di quelli che vogliono che la guerra in Ucraina continui a tutti i costi».




