«La Verità» non ha padroni né padrini. Perciò non fa sconti nemmeno agli amici

Sono trascorsi quasi dieci anni da quando insieme con un pugno di giornalisti ho dato vita alla Verità. Allora a spingerci a fondare un nuovo quotidiano, mentre gran parte della stampa incontrava difficoltà a far quadrare i bilanci, fu la voglia di indipendenza. Molti di noi avevano un posto di lavoro sicuro, mentre altri non avrebbero fatto fatica a trovarlo se appena avessero avuto intenzione di cercarlo. Invece scelsero di partecipare a un’avventura, con uno spirito pionieristico, per non avere né padroni né padrini, per non dover rendere conto a nessuno se non ai lettori, pochi o tanti che fossero. Credo di poter dire che in quasi dieci anni, ovvero nelle oltre 3.300 edizioni della Verità, non siamo mai venuti meno ai propositi dei primi giorni.
La passione per le notizie, il desiderio di poter esprimere un’opinione anche quando questa rischia di suscitare polemiche perché contro corrente, sono gli stessi del 20 settembre 2016. Mi piace ricordare che, mentre tutti di fronte al crollo del ponte Morandi tacevano sul nome dei proprietari di Autostrade, noi non abbiamo esitato a farlo. Mentre altri si piegavano ai voleri dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, La Verità non ha dubitato un istante, pubblicando tutto ciò che i suoi cronisti erano in grado di documentare. Così come non ci siamo tirati indietro quando si è trattato di mandare in stampa il cosiddetto dossier Viganò, che alzava il velo sulle responsabilità di alti prelati in squallide vicende di pedofilia, senza tacere neppure le critiche mosse dall’ex nunzio in America nei confronti di papa Francesco. Non starò a ricordare tutte le inchieste, gli scoop, le prese di posizione che in questi anni ci hanno distinto. Però credo che sia d’obbligo non dimenticare la battaglia condotta contro i lockdown e, soprattutto, contro l’obbligo vaccinale e l’introduzione di un tesserino per poter lavorare, per poter viaggiare e perfino per recarsi al bar. Fu quello uno dei periodi più bui per il nostro Paese e non soltanto per i morti di Covid, ma anche per la limitazione delle libertà costituzionali, come il diritto di poter lavorare e di potersi spostare senza divieti. Nonostante si stesse creando un vulnus assai pericoloso per la nostra democrazia, solo noi della Verità, anche a costo di essere accusati delle peggiori nefandezze (c’è chi ci rimproverò di avere sulla coscienza i morti di coronavirus, chi ci insultò, mentre altri semplicemente invocarono il bavaglio) tenemmo il punto, criticando il governo dell’epoca, presieduto da Mario Draghi.
Più di recente, sempre in solitudine, abbiamo denunciato la sostituzione di due professori nominati dal ministro della Salute nella commissione per la valutazione dei vaccini: i colleghi non li volevano seduti allo stesso tavolo perché non allineati con il pensiero unico delle grandi aziende farmaceutiche. Un mese fa invece abbiamo scoperchiato le trame di uno dei principali collaboratori di Sergio Mattarella. Ossia di un ex parlamentare del Pd che, una volta perso lo scranno, ha trovato posto come segretario del Consiglio supremo di Difesa, ma nei tempi morti sogna provvidenziali scossoni per cambiare l’assetto politico che, guarda caso, in questo momento è presidiato da una maggioranza di centrodestra. E la settimana scorsa, grazie ai nostri articoli, la riforma dei condomini che rischiava di caricare altri costi sul bilancio già magro delle famiglie, oltre ad aprire la strada ai fornitori per rivalersi sui condomini onesti in caso di morosità di qualche vicino, è stata ritirata.
Ho ripercorso alcune delle nostre battaglie non per cercare l’applauso di voi lettori, ma solo per ricordare che La Verità in questi anni non ha risparmiato nessuno, né Renzi, né Conte, né Draghi e nemmeno l’attuale maggioranza. Se pensiamo che qualcosa sia sbagliato lo diciamo senza alcun imbarazzo e se scoviamo una notizia degna di nota la pubblichiamo, a prescindere da chi stia al governo. Perché scrivo tutto ciò? Perché mi ha disturbato la polemica contro Marcello Veneziani, ovvero uno dei nostri più importanti editorialisti. Autore di molti libri e di lucide quanto indipendenti riflessioni, Marcello ha scritto un articolo per dire che, nonostante il centrodestra sia al potere da tre anni, per gli italiani non è cambiato molto. Si può essere d’accordo oppure no, ma il ragionamento non può certo essere scambiato per un insulto. Eppure, il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha reagito in maniera sgarbata, rimproverando a Veneziani di far parte di coloro che rosicano e anche di essere invidioso per non aver ricevuto incarichi di prestigio. Essendo un dei pochi intellettuali di destra, mi risulta che Marcello sia stato a lungo corteggiato da esponenti di governo. Ma non è questo il punto. Ciò che stupisce è l’idea che, se aderisci a un’area culturale e politica, non puoi permetterti di criticare quella stessa area. Non si è traditori se su certi argomenti la si pensa in modo diverso da chi governa, anche se si proviene dallo stesso mondo. Non si è voltagabbana e nemmeno si è rosiconi se sulla riforma dei condomini si critica, sebbene sia di centrodestra, chi l’ha presentata. Se si ha un giudizio diverso e non si fanno sconti neppure agli amici si è semplicemente liberi. È l’indipendenza, da padroni e padrini, che ci consente di dire quello che pensiamo e di scrivere ciò che vogliamo. Come ho spiegato di recente, se non ci fermano le denunce di chi pensa di tapparci la bocca rivolgendosi ai giudici, figuratevi se ci facciamo imbavagliare da chi ci accusa di avere la pelle esausta e la bile nera dei rancorosi. Il problema è che non siamo in cerca di premi, non siamo a caccia di posti, e non lo saremo mai. Sia che governi la sinistra, sia che a Palazzo Chigi ci sia la destra.






