Giorgetti suona la sveglia: «Ue ferma, in cinque anni l’industria può scomparire»
2025-11-07
Politica e affari
Quasi un reddito di cittadinanza su due è andato a chi un lavoro ce l’ha, ma evidentemente con un reddito troppo basso per mantenere dignitosamente se stesso o la propria famiglia. Il dato emerge da una indagine dell’Inapp, l’istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche.
Sul totale di 1 milione e 818 mila assegni erogati finora (circa un milione dei quali dopo l’inizio della pandemia) il 45,8% è finito a chi un reddito di lavoro ce l’aveva (era il 37% nel periodo pre pandemico, diventa il 52% se consideriamo soltanto i mesi segnati da lockdown e restrizioni di vario tipo). In particolare i lavoratori “standard” sono stati il 30,4% dei beneficiari, quelli “non standard” il 15,4%.
I primi sono dipendenti con contratti a tempo indeterminato oppure imprenditori o lavoratori autonomi non subordinati. I secondi invece hanno un contratto a termine o svolgono una collaborazione fortemente eterodiretta. I restanti assegni sono andati a disoccupati (24,8%) e inattivi (29,4%), una voce che comprende i pensionati. Un altro dato interessante riguarda la platea dei beneficiari potenziali. Si tratta di tutti coloro che hanno fatto domanda ma se la sono vista rifiutare (1 milione e 400 mila persone) e di quelli che non hanno ancora fatto domanda ma intendono farla (1 milione e 600 mila).
Un totale di tre milioni di persone, tra le quali - ancora una volta - praticamente la metà (il 49,8%) hanno un lavoro, sia esso standard (33,1%) o precario (16,7%). Facile immaginare che questa platea si allargherà se le conseguenza della guerra in Ucraina si prolungheranno nel tempo, con l’inflazione ad erodere ulteriore potere d’acquisto dai redditi dei lavoratori meno pagati. Un problema che interessa soprattutto il Sud Italia ma con sacche di disagio preoccupanti anche a Nord Ovest (lì risiede il 20% circa dei percettori dell’assegno ma anche il 20% circa della platea potenziale) e Nord Est (qui la platea potenziale supera quella degli effettivi beneficiari).
Considerando i disoccupati e gli inattivi il report conferma l’inadeguatezza del reddito di cittadinanza come strumento per avviare a una nuova occupazione. Il 25,2% degli interessati non è stato chiamato né dai servizi sociali del Comune di riferimento né dal centro per l’impiego. Di quelli che sono stati contattati da quest’ultimo (il 39,3%), solo il 40% ha sottoscritto il cosiddetto “patto per il lavoro”. E di quest’ultima sottocategoria solo il 50% ha ricevuto un’offerta di lavoro. Metà di loro, infine, hanno declinato l’offerta perché non in linea con le loro competenze (53,6%) o con il loro titolo di studio (24,5%), perché lo stipendio era troppo basso (11,9%), perché la sede di lavoro era troppo distante (7,9%) o per motivi famigliari (2,1%).
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.
