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Save the Duck venduto a Geiger e Hoffmann
Oltre l’80% di Save the Duck, marchio di piumini 100% animal free, passa di mano. In un riassetto societario, Save the Duck, precedentemente in mano a Progressio sgr e ad altri soci di minoranza, è stato acquisito a titolo personale dai due imprenditori Reinold Geiger e André Hoffmann. Geiger e Hoffmann sono rispettivamente presidente esecutivo e ceo del gruppo L’Occitane.
I due erano già all’interno del capitale con una quota di minoranza, ma ora arrivano all’80% dell’azienda. Il restante 20% è rimasto in mano al fondatore e ceo Nicolas Bargi, che nel 2012 aveva creato il marchio per realizzare un prodotto che rispettasse animali, ambiente e persone. Bargi rimarrà al vertice di Save the Duck e conserverà tutte le deleghe. Geiger e Hoffmann sono invece entrati in Save the Duck a titolo personale. Lo hanno fatto attraverso veicoli di investimento da loro controllati, ossia Société d’investissements cime e Anatra investments limited.
Geiger, da quando è in L’Occitane, ha orientato il gruppo francese verso l’internazionalità, facendola uscire dal guscio della France. Hoffmann ha operato nel settore della vendita al dettaglio e nella distribuzione di cosmetici, moda e prodotti di lusso per oltre 30 anni. Per L’Occitane è il responsabile della pianificazione strategica e della gestione delle attività del gruppo.
«Sia io che Reinold Geiger siamo lieti di collaborare con Nicolas Bargi e il suo team per portare Save The Duck al successivo livello di crescita su scala internazionale», ha commentato Hoffmann. «Sotto la guida di Progressio, Save The Duck ha raddoppiato il fatturato. Ora tocca a noi raccogliere la sfida: il focus è e sarò la sostenibilità», ha aggiunto Reinold Geiger.
ATLANTIA - Equita Sim raccomandazione d’acquisto e il Tp a 23,74 €. «Secondo indicazioni della stampa spagnola il gruppo ACS, insieme al gruppo Brookfield, potrebbe acquisire il 15,5% di Getlink (Eurotunnel), che Atlantia cederebbe nell'ambito del processo di delisting avviato con l'Opa da parte di Edizione/Blackstone», sottolineano gli analisti. Alle attuali valutazioni di mercato la quota di Getlink vale circa 1,5 mld €.
Quotazione 22,78€
GIUDIZIO
Equita 23,74
AUTOGRILL- La combinazione con Dufry non suscita l’entusiasmo di Akros che non cambia il giudizio sul titolo (neutrale) e nemmeno il tp che resta a 6,7 euro. Rispetto alla quotazione di ieri c’è un potenziale ribasso del 13%. Le discussioni tra i due gruppi, si apprende, sarebbero in pieno svolgimento, anche se al momento il dossier sarebbe in via di definizione.
Quotazione 6,97€
GIUDIZIO
Akros 6,7
BANCA GENERALI- La guerra in Ucraina non aiuterà i gestori del risparmio gestito. Equita taglia il target price da 38 a 34,5€. L'utile netto è in contrazione del 57% anno su anno a 59 milioni. Il titolo scambia a 15,5 volte il p/e 2022 e a 12,7 volte quello atteso al 2023 rispetto ad una media storica degli ultimi 5 anni di 13,7 volte. Da inizio anno ha perso circa il 18%.
Quotazione 32,12€
GIUDIZIO
Equita 34,5€
BANCA MEDIOLANUM Anche per il gruppo guidato da Massimo Doris non incontra i favori di Equita. Che abbassa il Tp da 10,2 a 9,2€. Mediamente il 10% per effetto dei mercati negativi sugli asset in gestione. Nel complesso, il profitto atteso nel 2022 è in riduzione dell'11% a 443 milioni dai precedenti 500 milioni. Al prezzo obiettivo di 9,2 euro il titolo tratta a 12 volte il rapporto prezzo/utile atteso al 2022 e a 10,5 volte quello atteso al 2023 rispetto ad una media storica di 12,5 volte.
Quotazione 7,33
GIUDIZIO
Equita 9,2€
COMAL – Sul titolo Integrae Sim ha avviato la copertura con una raccomandazione d’acquisto e un TP di 5,35 €, che incorpora un potenziale rialzo del 62,2%. La società realizza impianti fotovoltaici di grande potenza, coprendo tutte le fasi della filiera offrendo quindi un servizio chiavi in mano.
Quotazione 3,37€
GIUDIZIO
Integrae Sim 5,35€
FIRST CAPITAL - Intesa Sanpaolo ha alzato a molto interessante il giudizio, con Tp che passa da 26,2 € a 30€ La società, evidenziano gli analisti, ha «riportato il miglior risultato netto della sua storia grazie al solido rimbalzo del suo portafoglio strategico».
Quotazione 21,24€
GIUDIZIO
Intesa 30 €
LANDI RENZO - Equita Sim ha ridotto da 0,95 a 0,73 € il Tp confermando il giudizio poco interessante. Gli analisti hanno aggiornato le stime per tener conto dei conti 2021, sostanzialmente allineati alle attese, dell'operazione di aumento di capitale da 60 mln € garantita fino a 50 mln da Itaca Equity e dalla famiglia Landi.
Quotazione 0,84€
GIUDIZIO
Equita 0,73€
LEONARDO - Morgan Stanley ha alzato il giudizio da Equalweight a Overweight postando il Tp a 11,8€ Gli analisti citano «la generazione di cassa nel breve termine più forte, lo spazio per il rinnovarsi di processi di cessione, un sostegno moderato dalla spesa per la Difesa in Italia»
Quotazione 10,1€
GIUDIZIO
Morgan Stanley 11,8€
SAIPEM - Gli analisti di Mediobanca hanno un rating outperform e un target price a 1 euro. La società presenterà oggi i conti. La banca prevede che i ricavi saranno pari a 2,1 miliardi (+14%). L’'indebitamento netto è visto a 1,8 miliardi e che la raccolta ordini sia pari a 2,1 miliardi, supportata dall'ordine di 1,1 miliardi di dollari in Australia e Guyana.
Quotazione 1,12€
GIUDIZIO
Mediobanca 1€
STELLANTIS - Akros conferma la raccomandazione d’acquisto e il Tp a 23 €. Il gruppo ieri ha reso noto di aver sospeso la propria attività produttiva a Kaluga, in Russia. Stellantis ha una quota dell'1,5% del mercatorusso, ricordano gli analisti. La notizia, moderatamente negativa, è già scontata, commentano gli esperti. Equita Sim raccomandazione d’acquisto e il Tp a 20 €. Impatto comunque modesto in quanto lo scorso anno aveva prodotto solo 22.000 auto e il fatturato generato sommando Russia e Ucraina rappresentava solo 0,8 mld (meno dell'1% del totale).
Quotazione 13,42€
GIUDIZIO
Akros 23€
Equita
TRENDEVICE - Da EnVent rating interessante e un target price di 1,66€ corrispondente a un rialzo potenziale del +68% rispetto al prezzo corrente. TrenDevice ha generato vendite per 15,8 milioni nel 2021, in crescita del 71% rispetto all’anno precedente
Quotazione 1,03€
GIUDIZIO
EnVent 1,66€
UNICREDIT - Attesa dei conti, in agenda il 4 maggio. Il consenso elaborato sul giudizio di 22 analisti che seguono il titolo vede l'utile netto del primo trimestre a 413 mln € e ricavi totali a 4,421 mld. I primi tre mesi dell'anno sono stati condizionati dall'aumento dell'inflazione e della guerra in Ucraina. La previsione media di utile per azione 2022 è di 1,20 € (1,66 € per il 2023), mentre il dividendo è visto a 0,46 € per l'anno in corso e 0,67 € per il successivo. Il prezzo obiettivo medio espresso dagli analisti è 14,6 €; sui 20 analisti presi in considerazione che hanno un giudizio sull'azione, il 70% è BUY, il 30% hold.
Quotazione 9,4€
GIUDIZIO
Consenso medio 14,6€
Lo studio, la metà dei redditi di cittadinanza va a chi ha già un lavoro (ma sottopagato)
Il 45,8% degli assegni del Reddito di cittadinanza va a chi ha già un lavoro
Quasi un reddito di cittadinanza su due è andato a chi un lavoro ce l’ha, ma evidentemente con un reddito troppo basso per mantenere dignitosamente se stesso o la propria famiglia. Il dato emerge da una indagine dell’Inapp, l’istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche.
Sul totale di 1 milione e 818 mila assegni erogati finora (circa un milione dei quali dopo l’inizio della pandemia) il 45,8% è finito a chi un reddito di lavoro ce l’aveva (era il 37% nel periodo pre pandemico, diventa il 52% se consideriamo soltanto i mesi segnati da lockdown e restrizioni di vario tipo). In particolare i lavoratori “standard” sono stati il 30,4% dei beneficiari, quelli “non standard” il 15,4%.
I primi sono dipendenti con contratti a tempo indeterminato oppure imprenditori o lavoratori autonomi non subordinati. I secondi invece hanno un contratto a termine o svolgono una collaborazione fortemente eterodiretta. I restanti assegni sono andati a disoccupati (24,8%) e inattivi (29,4%), una voce che comprende i pensionati. Un altro dato interessante riguarda la platea dei beneficiari potenziali. Si tratta di tutti coloro che hanno fatto domanda ma se la sono vista rifiutare (1 milione e 400 mila persone) e di quelli che non hanno ancora fatto domanda ma intendono farla (1 milione e 600 mila).
Un totale di tre milioni di persone, tra le quali - ancora una volta - praticamente la metà (il 49,8%) hanno un lavoro, sia esso standard (33,1%) o precario (16,7%). Facile immaginare che questa platea si allargherà se le conseguenza della guerra in Ucraina si prolungheranno nel tempo, con l’inflazione ad erodere ulteriore potere d’acquisto dai redditi dei lavoratori meno pagati. Un problema che interessa soprattutto il Sud Italia ma con sacche di disagio preoccupanti anche a Nord Ovest (lì risiede il 20% circa dei percettori dell’assegno ma anche il 20% circa della platea potenziale) e Nord Est (qui la platea potenziale supera quella degli effettivi beneficiari).
Considerando i disoccupati e gli inattivi il report conferma l’inadeguatezza del reddito di cittadinanza come strumento per avviare a una nuova occupazione. Il 25,2% degli interessati non è stato chiamato né dai servizi sociali del Comune di riferimento né dal centro per l’impiego. Di quelli che sono stati contattati da quest’ultimo (il 39,3%), solo il 40% ha sottoscritto il cosiddetto “patto per il lavoro”. E di quest’ultima sottocategoria solo il 50% ha ricevuto un’offerta di lavoro. Metà di loro, infine, hanno declinato l’offerta perché non in linea con le loro competenze (53,6%) o con il loro titolo di studio (24,5%), perché lo stipendio era troppo basso (11,9%), perché la sede di lavoro era troppo distante (7,9%) o per motivi famigliari (2,1%).
Il trucco: stesso prezzo, prodotto più piccolo. Occhio alle aziende che nascondono i rincari
In Italia arriva la shrinkflation: meno prodotto, prezzo uguale
Occhio a chi per nascondere i rincari vi svuota il carrello. Come? Non è definibile una truffa, ma un inganno sì. La chiamano shrinkflation - dalla fusione di to shrink (restringere) e inflation (carovita) - ed è una tecnica di marketing in base alla quale le aziende decidono di lasciare invariato il prezzo di un prodotto riducendone però la quantità. Stesso prezzo ma prodotto più piccolo, insomma.
GLI ESPOSTI DEL CODACONS
Una pratica diffusasi negli Usa che, a quanto pare, si è diffusa anche in Italia. Il Codacons non ci sta e nei giorni scorsi ha presentato un esposto all’Antitrust e a 104 Procure della Repubblica in tutta Italia. L’associazione ha chiesto di indagare per verificare se la shrinkflation possa costituire fattispecie penalmente rilevanti, dalla truffa alla pratica commerciale scorretta. In una nota il Codacons ha sottolineato che con questo «trucchetto» le aziende produttrici svuotano il carrello dei consumatori incrementando i loro guadagni. Secondo un’indagine dell’Istat i casi che sono stati registrati in mercati, rivendite e supermercati italiani sono stati oltre 7.300, riferisce il Codacons. I settori più colpiti dal fenomeno sono stati quelli di zuccheri, dolciumi, confetture, cioccolato e miele, combinando al calo delle quantità anche un leggero aumento dei prezzi. Mentre i settori del pane e dei cereali sono stati interessati dalla shrinkflation, senza aumenti dei prezzi.
COME FUNZIONA
La quantità sottratta può essere anche rilevante: ad esempio il dentifricio che passa da 100 ml a 70 ml, il detersivo per piatti da 1 litro a 900 ml, il riso da 1 kg a 700 grammi, la salsa di pomodoro da 1 litro a 650 ml. Stesso discorso per i fazzoletti da naso (da 10 a pacco sono diventati 9) e la carta igienica (da 250 strappi a 230 strappi). Tanto, chi se ne accorge? Solo i consumatori più accorti e pazienti, che controllano non solo il prezzo finale ma anche il prezzo al kg.
La shrinkflation non è fenomeno nuovo (da anni gli economisti le attribuscono un ruolo nell’inflazione zero che da lungo tempo caratterizza l’economia giapponese) ma, essendo un modo efficace di nascondere i rincari agli occhi del consumatore, è normale che prenda più piede in periodi di alta inflazione come l’attuale, con il carovita che in Italia ha raggiunto il 5,7%, in Eurozona il 7,5% e negli Stati Uniti addirittura il 7,9%, il massimo da 40 anni a questa parte. Il trucchetto, d’altronde consente alle aziende di ripristinare in parte i margini erosi dall’esplosione dei costi di produzione per i rincari di energia e materie prime minimizzando il rischio che il cliente, altrimenti spaventato dal rincaro del prezzo di listino, si rivolga altrove.
GLI ESEMPI AMERICANI
Non è un caso che da qualche tempo su internet si siano moltiplicate le segnalazioni degli utenti, soprattutto negli Stati Uniti. Dove per esempio in un sacchetto di Dorito, amate patatine di mais che la Frito Lay vende negli Usa dal lontano 1964, da qualche giorno vengono messe cinque chips in meno. Allo stesso modo un flacone Dove ha perso qualche millilitro di sapone liquido. Oppure Gatorade, il marchio di bevande sportive di PepsiCo, ha recentemente sostituito la bottiglia da 32 once con una da 28 mantenendo lo stesso prezzo: l’equivalente di un rincaro (nascosto) del 14%. Ancora: un rotolo di carta ingienica Cottonelle di recente è stato ridotto di 28 «strappi», mentre le catene alberghiere Hilton e Marriott hanno deciso di far diventare «opt in», ovvero attivabili su richiesta (e spesso a pagamento), alcuni servizi in camera che in precedenza erano compresi nel prezzo concordato per il soggiorno. Oppure DisneyWorld ha deciso di mettere a pagamento il servizio «salta-coda» prima usufruibile gratuitamente tramite una prenotazione via app. L’Ufficio statistico nazionale inglese segnala che negli ultimi cinque anni sono stati ridotti per dimensione o peso oltre 3.500 prodotti. Va ribadito: niente di illegale. Anche se qualche problema di tanto in tanto le aziende lo affrontano: nel 2021 McCormick, per esempio, ha pagato 2,5 milioni di dollari per evitare una controversia con i consumatori che avevano notato come l’azienda mettesse meno pepe nero nella confezione. E la Mondelez, colosso americano proprietario del marchio britannico Cadbury (secondo big dolciario al mondo), nel 2017 affrontò una causa per aver aumentato la distanza tra le punte del Toblerone: il risultato fu che la barretta tornò al formato originario.
«PER I CONSUMATORI»
Altre volte aziende e multinazionali hanno la faccia tosta di spacciare la shrinkflation per una pratica a favore del consumatore. La stessa Mondelez, per esempio, incalzata dalle associazioni dei consumatori americane, ha dichiarato che la decisione di ridurre le dimensioni dello snack Wispa risponde a una precisa «strategia proattiva per ridurre l’obesità», piaga che storicamente affligge la golosa popolazione degli States. Mentre Hyatt, altra nota catena di hotel, ha deciso di tagliare la dotazione gratuita di boccette di saponi e shampoo nei bagni delle proprie stanze e di incoraggiare l’uso per più giorni degli asciugamani con l’obiettivo di contribuire «a ridurre l’impronta carbonica» del gigante dell’accoglienza alberghiera.
Altro esempio; nel 2012, in occasione del lancio dell’iPhone 12, Apple comunicò di non voler più integrare un caricabatterie nelle confezioni dell’iPhone, giustificando la decisione con la volontà di ridurre l’impatto ambientale e secondo i dati diffusi dal DailyMail questa operazione ha consentito al gigante tecnologico di Cupertino di ridurre i costi di 6 miliardi di dollari in due anni. Attenzione all’ambiente ma anche ai margini, dunque. Va detto che la shrinkflation il più delle volte riesce sì a ingannare il consumatore, il quale però alla lunga evidentemente di qualche cosa si accorge, se è vero che negli Stati Uniti gli indici di soddisfazione dei consumatori sono caduti ai livelli più bassi degli ultimi 15-20 anni.
I PRECEDENTI IN ITALIA
In passato le aziende italiane hanno dimostrato di non disdegnare la pratica della shrinkflation, anzi. Una dettagliata analisi dell’Istat segnala che tra il 2012 e il 2017 ogni mese tra i 100 e i 200 prodotti e servizi sono stati «alleggeriti» mantenendo invariato il cartellino del prezzo. Nel biennio 2018-2019 si è scesi in media a 50-100 prodotti interessati dal fenomeno. Nel 2020-2021 la shrinkflation è quasi scomparsa, interessando solo poche decine di prodotti e servizi al mese, ma c’è una spiegazione: si era in pieno Covid e le aziende in quei due anni hanno limitato gli investimenti all’indispensabile, rinunciando dunque anche alla spesa necessaria per adeguare le linee di produzione ai nuovi formati più piccoli. Si può citare anche un caso che fece rumore nel 2015, quando tre operatori di telecomunicazioni mobili passarono dalla tariffazione mensile a quella a quattro settimane, mantenendo inalterato il prezzo, con il risultato che l’utente ogni 12 mesi si trovava di fatto a pagare una mensilità in più. Intervenne l’Antitrust, che costrinse gli operatori tlc coinvolti ad adeguare il listino prezzi e/o a essere più trasparenti nella comunicazione agli utenti.
COME DIFENDERSI
Quali difese dunque per il consumatore di fronte alla subdola shrinkflation? Poche, se non andare al supermercato armati di santa pazienza e controllare le etichette facendo attenzione al prezzo al kg. E semmai, specialmente nel caso degli alimentari, privilegiare l’acquisto di prodotti sfusi rispetto a quelli confezionati. Che possono riservare una piccola amara sorpresa.