Sergej Lavrov (Ansa)
Colpito il ponte di Kerch con bombe sottomarine. La Casa Bianca: «Noi ignari del raid in Siberia». Gli invasori frenano sui negoziati: «Sbagliato aspettarsi una svolta rapida».
Teresa Ribera (Ansa)
- La vicepresidente Ribera ammette che stanno studiando i mezzi «per poterli utilizzare». Lei li vuole per il Green deal, Ursula per il riarmo. Contro il quale tuona papa Leone XIV, che ribadisce l’offerta del Vaticano come sede negoziale. Lavrov frena.
- Il Papa ha mostrato grande preoccupazione ai vescovi dell’Unione: teme che la corsa all’acquisto di mezzi per la difesa riduca l’impegno per i più deboli. Poi ha invocato la ricerca di un punto di equilibrio sui migranti anche individuando «altre sistemazioni».
Lo speciale contiene due articoli.
Quanto fanno gola i risparmi dei cittadini Ue ai politici che muovono le leve dei comandi a Bruxelles? «Tantissimo». La risposta che oggi può apparire scontata, e tra poco vedremo perché, La Verità l’aveva data con largo anticipo ogni qualvolta uno dei sedicenti grandi pensatori della nuova Europa presentava la sua agenda per far ripartire l’Unione dall’incaglio nel quale si è da tempo infilata. C’è stato Enrico Letta che circa un anno fa ha presentato ai leader Ue una relazione dettagliata mettendo al centro l’unione dei risparmi e degli investimenti: solo così, sottolineava l’ex presidente del Consiglio italiano, il Vecchio continente sarà in grado di competere sulla scena globale con Stati Uniti e Cina. Come? Magari con un fondo europeo a lungo termine con attraenti incentivi fiscali nazionali: sarebbe perfetto per veicolare gli investimenti dei cittadini europei verso l’economia reale, sottolineava con aria professorale il leader dem spinto fuori dalle porte di Palazzo Chigi da Matteo Renzi. Oppure attraendo i capitali dai fondi pensione e dalle compagnie assicurative per finanziare le infrastrutture verdi con lo strumento del partenariato pubblico-privato. Tante «belle» idee, tutte da realizzare con i soldi nostri.
Poi, a pochi mesi di distanza, è stata la volta di Mario Draghi che nel suo rapporto sul futuro della competitività europea ha parlato della necessità di mettere sul piatto 800 miliardi l’anno di investimenti aggiuntivi per dare una scossa a Bruxelles. Ma anche se lo dice l’uomo del «Whatever it takes» il problema resta sempre lo stesso: dove si trovano tutti questi quattrini? «In gran parte dai risparmi privati», aveva risposto senza esitazione l’ex numero uno della Bce. «Noi risparmiamo moltissimo, più degli Stati Uniti», evidenziava rammaricato per il cattivo impiego di queste risorse. Insomma che tutte le strade per una rinascita dell’Unione partissero dalle tasche dei suoi cittadini era ben chiaro, ma pochi avevano evidenziato il rischio, anche perché era decisamente più semplice dedicarsi ai peana.
Ora, per quanto Letta e Draghi, al di là del merito, abbiano conservato il loro standing a Bruxelles, al momento non hanno alcun incarico di peso. E quindi i loro cronoprogrammi lasciano il tempo che trovano. Il problema è che negli ultimi tempi abbiamo assistito a un escalation di mezzi annunci e proclami abbozzati da parte dei rappresentanti di Palazzo Berlaymont che è culminata con l’intervista a Repubblica, della seconda carica più importante dell’Ue, la vicepresidente spagnola della Commissione, Teresa Ribera. Miss Green deal, una sorta di «innaturale» appendice dell’olandese Frans Timmermans, prima ha tessuto le lodi di Letta e Draghi, «vorrei ringraziare due grandi italiani», e poi ci ha spiegato che per competere bisogna incrementare il mercato unico a partire dai capitali, per arrivare alle telecomunicazioni e finire nell’energia. «Certo servono investimenti», evidenzia la Ribera. «Ma dove si trovano i soldi?», la incalza l’intervistatore. E lei serafica: «La discussione è in corso, in particolare su come possiamo utilizzare i risparmi. La transizione deve essere conveniente anche in termini finanziari».
Chiaro il senso no? Nessuna marcia indietro sul Green deal, ci mancherebbe altro, anzi bisogna accelerare e per accelerare nella strada che sta distruggendo l’industria europea dell’automotive e che di recente ha paralizzato per un giorno la Spagna dello stesso commissario, l’Europa sta studiando il modo di «usare» i risparmi dei suoi cittadini. Che poi la Ribera ha il tarlo della transizione, ma siamo sicuri che Ursula Von der Leyen farebbe esattamente lo stesso discorso spostando il mirino sulla necessità di riarmare il Vecchio continente.
Cambia il target ma non il mezzo per centrarlo: il tesoretto nascosto nei forzieri dei cittadini privati. Del resto, come a suo tempo evidenziato anche da Letta, parliamo di 33.000 miliardi di euro di risparmi privati, prevalentemente detenuti in valuta e depositi (di questi poco più di 5.500 fanno capo ai risparmiatori italiani). «Ricchezza», è questo il cruccio di chi ci guida da Bruxelles, «che non viene sfruttata appieno per soddisfare le esigenze strategiche dell’Unione». «Ricchezza», evidenziava per esempio ancora Letta nel plauso collettivo, «che oggi viene dirottata all’estero, con 300 miliardi che ogni anno le famiglie del Vecchio Continente spostano fuori dai confini, principalmente verso l’economia americana».
Insomma, l’Europa usa le solite armi, l’emergenza e il dirigismo. Da una parte ci chiede di fare in fretta perché stiamo perdendo competitività e quindi ricchezza e posti di lavoro e dall’altro ci obbliga a seguire la sua strada, quella del mercato unico, del Green deal e del riarmo. Si tratta solo di individuare gli strumenti giusti, «La discussione è in corso», ci ha spiegato la Ribera, ma la trama del film suona tanto di già visto, di un sequel scontato di una pellicola assai scadente.
Leone disarma l’Ue: l’elmetto ci rende poveri
Si delinea con sempre maggior chiarezza il ruolo geopolitico di Leone XIV. Ieri, il Papa ha ricevuto in udienza la presidenza della Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece). E, nell’occasione, si è parlato anche di crisi ucraina e riarmo. «Il Papa ha interagito con una certa immediatezza, mostrando grande preoccupazione per il fatto che il riarmo possa avere ricadute in termini di riduzione degli impegni sociali per le fasce più deboli della società e di spostamento dei capitali verso le armi», ha raccontato all’Agensir il presidente della Comece, monsignor Mariano Crociata.
Venendo alla questione ucraina, durante l’udienza è stata auspicata una «pace giusta e duratura». «Non siamo entrati nei dettagli sulla possibile mediazione della Santa Sede. Ci siamo però fermati a sottolineare l’importanza di lavorare per una pace giusta, trovando il giusto equilibrio tra pace e giustizia», ha sottolineato il vicepresidente della Comece, Antoine Hérouard. «C’è poi», ha proseguito, «il tema delle conseguenze economiche e sociali di questa situazione. Se i Paesi europei dovessero dare più fondi per rinforzare l’armamento, questo non si dovrebbe fare in contrasto con l’aiuto alle persone più deboli, sia all’interno dell’Unione sia a livello internazionale in relazione all’aiuto dei Paesi più poveri». Il vescovo lituano, Rimantas Norvila, ha poi commentato le parole del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, secondo cui sarebbe «irrealistico» un incontro tra delegazioni di Mosca e Kiev in Vaticano. «Quando ogni giorno muoiono soldati e muoiono civili, e anche i soldati sono delle due parti, allora ciascuno sforzo, ciascun aiuto per il dialogo è importante», ha affermato, per poi aggiungere: «Dialogo, speranza di avere la pace e speranza di fermare la morte di tantissimi innocenti, questo è lo scopo di tutti noi, dell’Europa e del mondo».
L’udienza si è poi concentrata anche su altri problemi. I vescovi hanno auspicato una difesa della libertà religiosa e di educazione. Hanno altresì espresso preoccupazione riguardo al fenomeno della cancellazione dei battezzati dai registri delle chiese. Si è inoltre affrontata la questione dell’intelligenza artificiale. Un altro tema al centro del confronto è stato quello migratorio. Su questo fronte, il tono generale che è emerso dai racconti dei vescovi risulta fortemente aperturista. Parlando con Vatican News, Crociata ha fatto riferimento a «preoccupazioni che noi qualifichiamo come populiste, che alimentano paure a volte spropositate e esagerate nei confronti del fenomeno migranti». Tuttavia, dall’altra parte, ha anche aggiunto, riferendosi ai migranti stessi, che si «deve trovare un punto di equilibrio e soprattutto un atteggiamento costruttivo, rispettoso che permetta a queste persone in qualche modo di essere trattate da esseri umani, sia che vengano accolte, sia che vengano aiutate a trovare altre sistemazioni, ma trattate da esseri umani». Il riferimento alle «altre sistemazioni» lascia intendere che l’accoglienza debba tener conto anche delle oggettive possibilità dei Paesi che accolgono.
Tornando alla crisi ucraina e al riarmo, Leone, fin dall’inizio del suo pontificato, ha invocato pace e disarmo. La posizione che ha espresso ieri durante l’udienza con la Comece si inserisce quindi all’interno di questa cornice più ampia. Non dimentichiamo d’altronde che, dopo la sua telefonata con Vladimir Putin, Donald Trump ha auspicato che le trattative russo-ucraine si tengano in Vaticano. Leone, dal canto suo, si è detto disponibile a questa possibilità nel suo recente colloquio telefonico con Giorgia Meloni. Non solo. Il Papa aveva parlato di crisi ucraina anche durante il faccia a faccia che aveva avuto lunedì con JD Vance e Marco Rubio. Insomma, magari non sarà un vero e proprio coordinamento. Tuttavia è possibile parlare di una rilevante sinergia, dal punto di vista diplomatico, tra la Santa Sede, Palazzo Chigi e la Casa Bianca.
Certo, resta al momento l’incognita del Cremlino. Come detto, ieri Lavrov è sembrato chiudere a eventuali negoziati in Vaticano. Ora, che un pezzo consistente dell’establishment politico-militare russo punti a massimizzare il vantaggio sul campo di battaglia, non è un mistero. Così come è chiaro che, dall’altra parte, Leone, Trump e la Meloni vedono in eventuali incontri ospitati dalla Santa Sede il coronamento (o comunque l’avanzamento) del processo diplomatico, non il suo avvio. Questo per dire che l’idea, probabilmente, non è quella di discutere delle questioni preliminari e tecniche in Vaticano. Ebbene, ieri sono stati scambiati oltre 390 prigionieri tra Kiev e Mosca: siamo all’inizio di un processo? Oppure no? Ovviamente non possiamo saperlo. Il quadro complessivo resta incerto, è vero. Ma il Cremlino non può neanche permettersi di tirare troppo la corda. Dopo la caduta di Bashar al Assad, ha dei problemi seri in Medio Oriente. E il recente annuncio dello stop alle sanzioni americane al regime filoturco di Damasco è una forma di pressione che Trump sta usando per spingere Mosca ad ammorbidirsi sul dossier ucraino. In questa cornice, non è da escludere che Leone abbia ancora un ruolo da giocare in questa complicata partita. Un ruolo che, chissà, potrebbe a un certo punto rivelarsi anche decisivo.
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Teresa Ribera (Ansa)
- La vicepresidente Ribera ammette che stanno studiando i mezzi «per poterli utilizzare». Lei li vuole per il Green deal, Ursula per il riarmo. Contro il quale tuona papa Leone XIV, che ribadisce l’offerta del Vaticano come sede negoziale. Lavrov frena.
- Il Papa ha mostrato grande preoccupazione ai vescovi dell’Unione: teme che la corsa all’acquisto di mezzi per la difesa riduca l’impegno per i più deboli. Poi ha invocato la ricerca di un punto di equilibrio sui migranti anche individuando «altre sistemazioni».