2025-06-25
La ricetta della Meloni per la Difesa «Se vuoi la pace, prepara la guerra»
Il premier in Senato in vista del Consiglio europeo: «Le armi non servono per attaccare, ma per la deterrenza I nostri valori non si difendono da soli». Polemica la Schlein: «In 2.000 anni il mondo ha fatto passi avanti».Il segretario generale della Nato Rutte al vertice dell’Aia: «Mosca non è l’unica minaccia». Trump: «Vado dai miei amici europei, darò la definizione esatta dell’articolo 5».Lo speciale contiene due articoli.Chi sa da quanto tempo sognava di pronunciare quelle parole, Giorgia Meloni: ha scelto l’aula del Senato per togliersi lo sfizio. «Si vis pacem para bellum» - il motto dell’antica Roma che vuol dire «se vuoi la pace prepara la guerra», nel senso «se il tuo nemico sa che sei forte, non ti attaccherà» - è risuonato solenne, ieri, nella austera aula di Palazzo Madama, scandito dalla Meloni in occasione della replica dopo il dibattito sulle comunicazioni in vista del Consiglio europeo.«Sulla Difesa», ha detto la Meloni, «io la penso come i romani: si vis pacem para bellum. Quando ti doti di una Difesa non lo fai per attaccare, la pace è deterrenza, se si hanno dei sistemi di sicurezza e difesa solidi si possono più facilmente evitare dei conflitti». Un pizzico di Margaret Thatcher pure ci stava bene: «È quello che dicevo ieri (l’altro ieri, ndr)», ha sottolineato la Meloni, «citando Margaret Thatcher, i nostri valori non si difendono da soli perché sono buoni e per cause giuste ma si difendono se abbiamo una Difesa adeguata». Con la citazione latina la Meloni si è assicurata i titoli sui siti e i tg di ieri e sui giornali di oggi, e tuttavia ha dovuto incassare la replica, prevedibile, della segretaria dem Elly Schlein, che ha sottolineato come «rispetto a 2.000 anni fa il mondo ha fatto dei passi in avanti nella risoluzione delle controversie. Preparare la guerra, come pensa lei», ha scritto la Schlein in una nota, «è il contrario di quello che serve e vuole l’Italia. Alla presidente del Consiglio dico, se vogliamo la pace, prepariamo la pace». Qualche schermaglia a distanza anche con Giuseppe Conte: «Ha detto che lui non ha firmato l’impegno per il 2% delle spese di Difesa», ha attaccato la Meloni, «dico che una firma è una firma, quella firma è stata messa, io sono d’accordo con quell’impegno che aveva assunto. Poi se Conte ha firmato impegni senza rispettarli dico che non è il mio modo di fare». La citazione in latino della Meloni è stata capovolta pure da Giuseppi: «Qui e ora, ci impegniamo a unire le voci di tutti coloro che, al di là delle lingue, gridano per la stessa causa: se vuoi la pace, prepara la pace, sempre e ovunque», si legge nel documento sottoscritto a l’Aja dal presidente del M5s, e dai rappresentanti di 15 partiti e movimenti provenienti da 11 Paesi europei. Come ben si comprende, al di là di proclami e enunciazioni di principio, la «ciccia» del dibattito è l’aumento delle spese militari al 5% del Pil, richiesto dalla Nato e in particolare da Donald Trump. «Io penso», ha detto la Meloni al Senato, «che l’impegno che i 32 membri della Nato si apprestano ad assumere sia carico di responsabilità, alla luce di un contesto molto incerto. E proprio perché questa esigenza deve inserirsi in maniera sostenibile, nelle ultime settimane ci siamo impegnati a rendere il percorso sostenibile, flessibile e credibile. E ritengo che abbiamo raggiunto l’obiettivo». Obiettivo che, ha sottolineato la Meloni, «deve essere raggiunto in 10 anni, non impone alle nazioni percorsi obbligati, prevede una revisione nel 2029. Poi il tema è su cosa investiamo, anche gli scenari della Difesa stanno cambiando. In Ucraina i maggiori risultati per Kiev sono stati raggiunti con droni che costano 20.000 euro, i dati rischiano di essere più pericolosi dei proiettili, bisogna fare una riflessione seria sulla Difesa del futuro prima di fare investimenti basati su un’idea passata di Difesa». Nel piano della Nato, ha aggiunto la premier, «non si parla solo di spese militari, si parla anche di spese per la sicurezza che sono più ampie: difesa dei confini, lotta ai trafficanti, resilienza, infrastrutture critiche, sviluppo tecnologico, cybersecurity. La Nato deve cogliere un mondo che sta cambiando e particolarmente ci interessa il fianco Sud, per questo devono essere i Paesi a dire che cosa è sicurezza. Io sono preoccupata da quel che accade nel Mediterraneo e in Libia dove la Russia sta spostando la sua proiezione navale». Per la Lega, l’alleato più riottoso ad aumentare le spese per gli armamenti, è stato il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo a rilasciare un commento (lo diciamo in senso positivo) in perfetto stile democristiano: «Se si tratta di fare degli investimenti in sicurezza», ha detto Romeo, «proprio guardando al fronte Sud dell’alleanza della Nato, quindi il Mediterraneo allargato, per la Difesa e la realizzazione di infrastrutture strategiche, per la protezione di gasdotti e oleodotti, la difesa dei confini nazionali, la lotta all’immigrazione clandestina, la Lega l’ha detto da sempre e siamo d’accordo. Poi è chiaro che il target, che deve essere individuato e so che ci sono delle discussioni ancora in corso, deve essere ovviamente un target sostenibile, magari cercando anche di ottimizzare le risorse perché si può arrivare a spendere meno per spendendo meglio. Bisogna tenere conto della nostra situazione del debito», ha sottolineato Romeo, «e non devono essere sacrificati settori chiave come sanità, scuola, welfare e lavoro, questo è indiscutibile».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meloni-iran-pace-senato-2672427121.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-nato-si-ricorda-del-fianco-sud" data-post-id="2672427121" data-published-at="1750803166" data-use-pagination="False"> La Nato si ricorda del fianco Sud La Nato corre alle armi. Così, brutalmente, si possono condensare le intenzioni che aleggiano intorno al summit di due giorni, tra oggi e ieri, a L’Aia, nei Paesi Bassi, tra i 32 rappresentanti dei Paesi membri. Apparentemente, Donald Trump è sembrato arrivare con le migliori intenzioni. «Sto andando alla Nato, dove, nella peggiore delle ipotesi, sarà un periodo molto più tranquillo di quello che ho appena vissuto con Israele e Iran. Non vedo l’ora di rivedere tutti i miei bravissimi amici europei. Spero che si realizzino grandi cose», ha scritto sul suo social Truth. Un bel cambio di tono, rispetto a quando chiamava gli europpei «parassiti». Trump, a bordo dell’Air Force One, ha detto che fornirà alla Nato una «definizione esatta» dell’articolo 5, visto che ora ce «ne sono diverse».In questo contesto si colloca anche il compromesso sostenuto da Mark Rutte, il segretario generale della Nato: raggiungere il 5% sommando un 3,5% di vero budget per la Difesa e un 1,5% per la sicurezza nazionale.Rutte è in prima linea nel riarmo europeo. Ieri ha accolto al summit Volodymyr Zelensky e ha sottolineato anche come la minaccia russa si estenda sul fronte meridionale, ma non solo. «La Russia è la minaccia diretta e di lungo termine principale della Nato ma non è l’unica. Il fianco Sud è cruciale per noi, perché Mosca e Pechino stanno rapidamente guadagnando influenza, principalmente nel Sahel ma non solo e non dobbiamo essere ingenui».Le parole di Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, si collocano sulla stessa linea d’onda e auspicano perfino una rivoluzione antropologica. «Sappiamo che la Russia sarà in grado di testare i nostri impegni di difesa reciproca entro i prossimi cinque anni. Entro il 2030, l’Europa deve avere tutto ciò che serve per una deterrenza credibile. Questo è ciò che chiamiamo «Prontezza 2030». Ma questo richiede una nuova mentalità per tutti noi», ha dichiarato Von der Leyen. «Dobbiamo essere pronti a lasciare la nostra zona di comfort. Dobbiamo esplorare nuovi modi di fare le cose, unendo tecnologia e difesa, civili e militari, in Europa e altrove. Insieme, possiamo scoraggiare chiunque cerchi di farci del male. Per una Nato più forte e un’Europa più forte e sicura».La corsa alla guerra appassiona (quasi) tutti, con tanto che i tedeschi sono perfino pronti a rinunciare all’austerità, cioè a valori difesi a spada tratta per anni. «Sono convinto che sia questo il momento di investire in modo deciso sulla difesa. Non c’è nulla di più caro dello stallo degli ultimi anni. E il pareggio di bilancio non è un valore in sé», ha dichiarato il ministro delle Finanze tedesco Lars Kingbeil dell’Spd, presentando a Berlino la bozza del bilancio del 2025 e del 2026. Così la Germania raggiungerà il 3,5% del Pil nelle spese per il capitolo dedicato alla difesa e alla sicurezza già nel 2029, con sei anni di anticipo rispetto a quanto concordato nell’ambito della Nato.Anche Keir Starmer, il primo ministro britannico, ha confermato il proprio impegno a raggiungere il fatidico 5% entro il 2035, assicurando che «questo non comporterà aumenti di tasse per i lavoratori». Nel frattempo, però, in patria la protesta monta perfino nella stessa maggioranza di governo per una riforma del welfare in cantiere che prevede tagli significativi alla spesa sociale (tra l’altro per i disabili).Le perplessità intorno al summit montano anche dall’altra parte del globo. Infatti, non è passata inosservata l’assenza al summit di Shigeru Ishiba, primo ministro giapponese. Alcune fonti parlano di un certo malumore giapponese e lo riconducono sempre alle pressioni per l’aumento delle spese militari, oppure all’attacco americano in Iran, fornitore cruciale di petrolio. Di sicuro non è passata inosservata neanche l’assenza al summit dei leader della Corea del Sud e dell’Australia, un duro colpo per una Nato che prova a preparare una risposta ai conflitti su scala mondiale.