2020-06-01
Franco Garelli: «La grande popolarità del Papa non avvicina la gente alla fede»
Il sociologo delle religioni: «Francesco colpisce molte persone senza che cambino vita In Italia una secolarizzazione dolce, il riferimento a Dio è presente anche se più incerto».S'intitola Gente di poca fede (editore Il Mulino) il volume appena pubblicato dal professor Franco Garelli, sociologo delle religioni. Da anni Garelli, che è stato preside di scienze politiche all'università di Torino, studia l'evoluzione della fede e degli scenari religiosi in Italia, basandosi su indagini statistiche nazionali eseguite a cadenza periodica. Quello del suo ultimo libro è un titolo bifronte: registra il calo della pratica religiosa, ma sono le parole con cui lo stesso Gesù apostrofò i discepoli che erano con lui in barca durante una tempesta, perciò hanno un risvolto positivo.Che cosa rimane della fede nel popolo italiano? «È una situazione ambivalente. C'è una diminuzione della pratica, che diventa sempre più facoltativa. Ma la grande maggioranza degli italiani continua a dichiarare una «fede», mettiamola pure tra virgolette, in un essere superiore per lo più identificato nel Dio del cristianesimo. Una fede più incerta che certa».Come il sottotitolo del suo libro.«Essa risente, molto più che in passato, degli alti e bassi della vita. È una fede meno granitica, meno sicura, meno data per scontata, altalenante a seconda degli stati d'animo. La fede certa era molto legittimata dalla società del passato: anche nelle circostanze più complicate le persone avevano questo ancoraggio forte e sicuro».L'ancoraggio è venuto meno o no?«No, ma segue le alterne vicende della vita. Se dividiamo la popolazione per classi di età, vediamo che il gruppo che dichiara meno fede è quello dei giovani dai 18 ai 34 anni, subito seguito da quello dai 50 ai 60. Sono età in cui molte persone vivono passaggi travagliati come la perdita del lavoro, oppure traversie familiari come separazioni, divorzi, problemi con i figli. Questo è un indicatore che la fede è legata ai fatti della vita».Quindi il legame con Dio persiste.«Sì, benché incerto e confuso. A fronte della diminuzione della pratica, rimane il sentimento religioso. I praticanti regolari sono il 22%, anche la preghiera personale diminuisce, ma ciò che rimane inalterato o anzi cresce è il sentimento religioso. Il 60% circa delle persone dichiara di avvertire la presenza di Dio nella propria vita in alcune circostanze, o ritiene di avere una qualche relazione con il sacro. È un rapporto diretto, non mediato dall'istituzione religiosa».Che significa?«Che nella nostra cultura persiste questo sguardo verso l'alto che ogni tanto fa irruzione nelle dinamiche dell'esistenza. La gente ritiene, in modo magari non chiarissimo, di essere sotto una sacra volta: lo si è visto anche durante l'isolamento, come dimostrano gli ascolti televisivi per le messe mattutine di papa Francesco. Il fatto che tutto ciò persista nella modernità avanzata è un fatto di rilievo».Nel passato credere in Dio era favorito dal contesto sociale.«La fede persiste anche se oggi non viviamo più in un mondo di destino ma di scelta».Di quanto arretrano i cattolici in Italia?«Non si può più parlare di cattolicesimo di popolo. I non credenti sono circa un quarto della popolazione, in aumento di un terzo rispetto a 20-25 anni fa. L'ateismo cresce, però la maggioranza continua a mantenere un legame con il cattolicesimo, sia pure a intensità diversa. Crescono anche altre fedi e altre filosofie di vita, che sono quadruplicate e toccano l'8-9% della popolazione».Nel libro lei parla di «cattolicesimo culturale». Che cosa intende? «Tra i credenti c'è una minoranza “impegnata" per la quale la fede rappresenta un principio attivo, un criterio: si cerca di trasmettere la fede ai figli, di viverla in famiglia, di fare volontariato, opere di carità, scuole. È la rete delle persone che fanno parte delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali, un tessuto associativo vivace. Ma siamo a un 20% della popolazione. L'altro 40-50% degli italiani che si dichiarano cattolici sono più nominali. Rimangono ancorati alla fede della tradizione per i valori cristiani in cui si riconoscono o per un fattore identitario in rapporto alla presenza multiculturale e multireligiosa, più che per specifiche istanze religiose o spirituali».Le identità religiose altrui portano a riscoprire le proprie?«È così. Una fede ambientale: mi identifico nel cristianesimo per la cultura che esprime. Questi cattolici hanno una fede meno esplicita e un rapporto più labile con la Chiesa, più soggettivo e individualistico, non avvertono più l'esigenza di adeguarsi a un certo modello perché hanno la percezione di potere in qualche modo gestirsi da sé. Sono convinti che si possa essere cattolici senza seguire le indicazioni della morale familiare espressa dalla Chiesa, oppure hanno un certo ossequio alla mediazione religiosa praticata dalla Chiesa ma non necessariamente la seguono».La forte secolarizzazione temuta negli anni scorsi non c'è stata?«La chiamerei una secolarizzazione dolce». Come la brace di un camino, che non è una fiamma viva ma qualcosa scalda.«Molti sociologi, 20 o 30 anni fa, dicevano che sarebbe arrivata una secolarizzazione marcatissima come è avvenuto in altri Paesi. Nel Centro e Nord Europa più del 50% si dichiara senza fede e i cristiani praticanti, cattolici o protestanti, non superano il 4 o 5%». Altri dati contenuti nel suo libro lo confermano: la maggioranza degli italiani è favorevole al crocifisso nei luoghi pubblici e anche all'ora di religione nelle scuole, e chiede alla Chiesa di essere fedele a sé stessa, senza lasciarsi influenzare dalla modernità. «Anche il rapporto con la Chiesa è ambivalente. C'è voglia di autonomia, magari viene ritenuta vecchia, stanca e malandata. Ma nello stesso tempo si vuole che presenti le sue posizioni perché rappresenta un punto di riferimento, anche poi non è detto che venga seguita». Non c'è una piena identificazione ma neppure una presa di distanza.«Anche i non credenti non sono più gli atei granitici di un tempo, ma sono aperti al discorso religioso. Il 70% dei non credenti dichiara che è plausibile credere anche se la cosa non li riguarda».Papa Francesco ha un ruolo in questo contesto?«Gli italiani hanno posizioni molto articolate sul pontefice. La maggioranza ha un giudizio favorevole ma non uniforme: Francesco colpisce per la sua predilezione del popolo, l'immediatezza della comunicazione, il rapporto diretto, le aperture nel campo etico, la volontà di semplificare e togliere gli orpelli; però viene visto collocato in una struttura che non sempre lo aiuta e che lui non riesce a modificare. Si coglie un cambiamento ma anche una resistenza». Il consenso popolare che riscuote il Papa avvicina o no alla fede?«Questo è più difficile coglierlo. Più della metà dichiara che questo Papa avvicina al discorso religioso, ma questo rimane più un'intenzione che un reale cambiamento di vita. Di fatto sembra che l'aspirazione spirituale non si traduca in una pratica religiosa. Una religione più delle intenzioni che del vissuto».Alla Chiesa e al Papa viene ancora imputato di predicare bene e razzolare male?«È uno degli aspetti che più mi ha sorpreso. Le critiche alla Chiesa di essere ricca, burocratizzata, lontana dalla gente e di essere ingerente in campo politico si ripetono di decennio in decennio. E persistono anche con questo Papa, che si è posto come obiettivo di riformare la Chiesa, che non entra nelle vicende politiche italiane o internazionali e che ha tolto una serie di simboli del potere. Mi sarei aspettato che ciò avrebbe modificato l'immagine della Chiesa presso la gente».Invece...«Persiste questa idea, un mantra che si mantiene nel tempo nonostante il Papa che sta a Santa Marta ed è in tensione con la curia. Magari l'immagine negativa è influenzata proprio da questa opera di purificazione che il Pontefice sta portando avanti».Non può anche darsi che Francesco appaia come una sorta di «cavaliere solitario» privo di una leadership reale?«Molti hanno questa impressione. A taluni il Papa fa tenerezza come uno che combatte contro realtà complesse».La religiosità popolare resta forte in Italia. Pellegrinaggi, santuari, devozioni non vengono mangiate dalla modernità.«È un altro esempio della persistenza di un cattolicesimo fondato su un sentimento religioso. Ogni anno tra 5 e 6 milioni di pellegrini riempiono i santuari. Un tempo la Chiesa guardava a questa realtà con più sospetto e con riserve, negli ultimi tempi si rileva una maggiore attenzione. La religiosità popolare è un antidoto all'intellettualismo della fede: molta gente comune vuole una fede concreta, fatta di preghiere e suppliche, con simboli religiosi chiari, un rilievo per le figure della devozione cattolica e anche un po' di folclore come espressione comunitaria. Oltre ai cattolici impegnati e ai culturali, è una filiera presente: ci dice che il cattolicesimo ha tante anime».