2021-03-09
In Iraq il Papa scopre la gioia di essere Papa
Papa Francesco (Osama Al Maqdoni/Anadolu Agency via Getty Images)
«Dopo i mesi di prigione a Roma, questo viaggio è stato per me rivivere», ha detto Francesco di ritorno dal Paese distrutto dall'Isis. Qui, lontano dalla lotte curiali vaticane, ha ridato speranza ai cristiani perseguitati, chiedendo il rispetto della loro fede e libertà.«Dopo questi mesi di prigione, questo viaggio è stato per me rivivere», risponde così papa Francesco alla domanda di un giornalista, nella consueta conferenza stampa sull'aereo di ritorno dal viaggio apostolico in Iraq che si è concluso ieri. Un viaggio lontano dalla «prigione» romana dove il Papa ha dato voce e speranza ai cristiani perseguitati, in una terra che lui stesso ha definito «martirizzata». A proposito di viaggi, Francesco nel volo di ritorno è tornato anche sul suo possibile ritorno in patria, per dire che era stato programmato un suo viaggio in Argentina nel 2017 poi non se ne fece nulla, ma, ha aggiunto, «voglio dirlo perché non si facciano fantasie di “patriafobia": quando ci sarà l'opportunità si potrà fare, perché c'è Argentina, l'Uruguay, e il sud del Brasile». Qualcuno ha sostenuto che in Iraq Francesco poteva andarci qualche anno fa, magari in un momento in cui mettere meno a repentaglio la salute delle gente per via del contagio da Covid. Altri hanno sottolineato i rischi di un ecumenismo troppo sincretista, oppure il vuoto irenismo di parole inneggianti a una pace un po' romantica. Qualche ragione c'è in queste valutazioni, tuttavia chi conosce bene la situazione della chiesa in Iraq e la vita di quelle popolazioni dice che il viaggio del Papa a Baghdad è stato importante e, a suo modo, «storico», forse il viaggio apostolico più significativo nel pontificato di Francesco. L'incontro con il grande ayatollah sciita al-Sistani e quello nella piana di Ur dei Caldei con le altre religioni, sulle orme del patriarca Abramo, sono stati tentativi di aprire spazi di convivenza in una situazione complessa come è quella dell'Iraq e più in generale del Medio Oriente. Certo, c'è il rischio di un dialogo che spesso viene impostato dimenticando che le risposte date alla domanda religiosa dell'uomo non sono indifferenti, ma per Francesco la giustizia e la pace in un contesto di fratellanza umana sono il refrain che va cantato in tutti i modi come priorità assoluta. «È importante il cammino della fratellanza», ha detto nella conferenza stampa sull'aereo. «Il documento di Abu Dhabi (quello firmato nel 2019 con il Grande imam sunnita di al-Azhar, ndr) ha lasciato in me l'inquietudine della fratellanza, e poi è uscita Fratelli tutti. Ambedue i documenti si devono studiare perché vanno nella stessa direzione, sulla via della fratellanza». Il viaggio, nella mens del Papa, è il modo di «scrivere» nella prassi quei testi: «Tu sei umano, sei figlio di Dio e sei mio fratello, punto! Questa sarebbe l'indicazione più grande, e tante volte si deve rischiare per fare questo passo».Domenica scorsa la visita del Papa alla comunità cristiana di Qaraqhos, e la messa celebrata nella chiesa che fu devastata dall'Isis, ha rappresentato un balsamo fondamentale per la minoranza cristiana che ha pagato un prezzo enorme in vite umane e in dignità personale. E lì, proprio nella chiesa dell'Immacolata concezione che fu utilizzata come tiro al bersaglio dall'Isis, il Papa ha detto parole che hanno un forte valore simbolico: «Questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l'ultima parola. L'ultima parola appartiene a Dio e al suo Figlio, vincitore del peccato e della morte».A Mosul, altra città simbolo per il martirio e la fuga dei cristiani, il Papa ha sottolineato che «il tragico ridursi dei discepoli di Cristo, qui e in tutto il medio oriente, è un danno incalcolabile non solo per le persone e le comunità interessate, ma per la stessa società che si lasciano alle spalle». Francesco durante i suoi giorni iracheni ha chiesto e pregato affinché «ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l'uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato». Sull'aereo di ritorno ha parlato anche dei migranti, uno dei temi centrali del suo pontificato, per dire, tra l'altro, che «servono urgenti misure perché la gente abbia lavoro nei propri Paesi e non debba migrare. E poi misure per custodire il diritto di migrazione», spingendosi quindi a ringraziare i paesi che sono «generosi» nell'accogliere i migranti.Il Papa sembra sapere, anche perché è quanto gli ripetono da tempo i cristiani che abitano quelle terre, che le grandi potenze internazionali, Stati Uniti innanzitutto, non sono senza responsabilità di fronte alla situazione dell'area e per gli equilibri fra le varie anime del mondo musulmano. Incunearsi in questo groviglio con l'obiettivo di costruire una convivenza civile rispettosa della dignità delle persone è un atto difficile, in questo senso il tentativo di parlare con il grande ayatollah al-Sistani può essere interpretato in chiave politica, come mossa per cercare di stimolare quella realtà del mondo sciita più attento alla distinzione tra vita civile e religiosa. Ma la costruzione della pace tramite il dialogo interreligioso è una via stretta e impervia, perché il concetto di giustizia e pace che ognuno porta al tavolo non è svincolato dai riferimenti religiosi degli interlocutori.