2023-02-26
Anche in Nordafrica temono la sostituzione di popolo: «I neri sono diventati troppi»
Il presidente tunisino, Kais Saied, lancia l’allarme: «I subsahariani possono cambiare la demografia del nostro Paese». E in tutti gli Stati i del Maghreb la musica è la stessa.Immigrazione: un problema da bianchi? Neanche per sogno. Mentre in Europa le sinistre si stracciano le vesti non appena qualcuno osa affermare che, magari, flussi massicci possono provocare qualche squilibrio demografico, in Tunisia non ci si fa problemi. «orde di stranieri»Qualche giorno fa, il presidente tunisino Kais Saied ha presieduto una riunione del Consiglio della sicurezza nazionale nel quale ha promosso delle «misure urgenti da prendere per contrastare l’arrivo in Tunisia di un numero importante di migranti clandestini provenienti dall’Africa subsahariana», come riportato in un comunicato diffuso alla fine della riunione. Il capo dello Stato tunisino non esita a sostenere che nel suo Paese arrivano «orde di migranti clandestini», secondo lui all’origine di «violenze, crimini e atti inaccettabili» ai quali «è necessario porre fine rapidamente». Non solo, per Saied l’arrivo dei clandestini è il frutto di «un’impresa criminale ordita all’inizio di questo secolo per cambiare la demografia della Tunisia» e trasformarla in un Paese «solo africano» facendole perdere il carattere «arabo-musulmano».Il leader tunisino ha anche richiesto che le autorità agiscano «ad ogni livello, diplomatico, di sicurezza e militare» in modo da ottenere la «stretta applicazione della legge relativa allo status degli stranieri in Tunisia e sull’attraversamento illegale delle frontiere». Saied ha riservato una stoccata finale ai soggetti che sono all’origine del problema, gente che pratica «la tratta di esseri umani mentre pretendono di difendere i diritti dell’uomo».Le parole di Saied hanno suscitato la reazione del presidente dell’Unione africana (Ua) Moussa Faki Mahamat che, in un comunicato, ha condannato «fermamente le dichiarazioni scioccanti» fatte dal leader di Tunisi «contro dei compatrioti africani». Il numero uno dell’Ua ha mandato anche un segnale «a tutti i Paesi e particolarmente agli Stati membri dell’Unione africana» perché rispettino «gli obblighi che incombono su di loro in virtù del diritto internazionale». Con queste parole Mahamat, che ha assicurato alla Tunisia il sostegno in materia di immigrazione, sembra aver voluto rivolgere un monito anche ai governi europei. Di fronte alla reazione dell’Unione Africana, Kais Saied ha ribadito le sue dichiarazioni. In un’intervista ha detto di non voler permettere che «la nostra demografia e la nostra identità sia alterata». Il presidente tunisino ha anche parlato di un «piano di ripopolazione» e ha rinviato al mittente le accuse di razzismo ricordando che l’antico nome della Tunisia è «Ifriqiya». Poi ha fatto un’affermazione che potrebbe essere quella di un leader conservatore europeo: «Quando si chiede l’applicazione della legge», ha detto il leader di Tunisi, «ci dicono che c’è una discriminazione razziale nei confronti degli africani». Secondo lui, i clandestini arrivati nel Paese nordafricano «erano vittime» e «restano vittime» di sfruttatori. Intervistato da radio Rfi, ieri anche il ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar ha confermato il senso delle parole del suo presidente e contestato la loro interpretazione in chiave razzista. Tanto è bastato, comunque, per far indignare i progressisti di Mediapart: «In Tunisia la teoria razzista della “grande sostituzione” si fa strada». pregiudizio radicatoIn realtà, la diffidenza verso i neri subsahariani e l’ostilità alla società multirazziale è una costante in tutto il Maghreb, ben radicata, del resto, anche in precedenti storici specifici, come per esempio il ruolo degli arabi nella tratta degli schiavi. Un tema storico considerato tabù - lo schiavismo è ritenuto un fardello eternamente pendente sulla schiena del solo uomo bianco - ma su cui diversi storici africani cominciano a puntare la luce: è il caso de Le génocide voilé, saggio dell’antropologo franco-senegalese Tidiane N’Diaye.A fine gennaio, per dire, il settimanale marocchino Maroc Hebdo ha proposto una copertina inequivocabile: la foto di due subsahariani con la scritta «Immigration clandestine: Stop!». Lo spunto è stato fornito dalle tensioni generate dallo sgombero di una bidonville di clandestini nel quartiere Ouled Ziane di Casablanca. Sotto a un catenaccio piuttosto aggressivo («Gli scontri che hanno accompagnato lo smantellamento degli insediamenti di migranti irregolari a Casablanca ci ricordano che realtà violenta sia il fenomeno migratorio oggi in Marocco»), il giornalista Wissam El Bouzdaini ha compiuto un lungo excursus sulla politica migratoria del regno nordafricano. Dopo aver ricordato le numerose regolarizzazioni degli ultimi anni, il cronista si è chiesto: «Bisognerà forse, per ragioni politiche e di immagine, lanciarsi in una terza ondata di regolarizzazioni, anche se ciò avrà il possibile effetto di incoraggiare la migrazione irregolare verso il Marocco?». Nello stesso dossier veniva intervistato Beyeth Gueck, cittadino congolese residente in Marocco e presidente dell’associazione Bank de Solidarité a Casablanca. L’uomo - con parole che non sfigurerebbero in bocca a un elettore leghista di Gallarate - si è lamentato del «clima di insicurezza e di paura che si è instaurato nei cittadini marocchini. Questi non possono più uscire tranquillamente di casa per paura di farsi aggredire e ciò è inaccettabile. Io, da buon cittadino che paga le tasse, mi sento estremamente in imbarazzo per questa situazione causata dalla presenza di questi migranti».Il quadro non migliora se passiamo all’Algeria. In un articolo del maggio 2016 uscito sul sito Gli Stati Generali, Kamel Daoud raccontava che «la visione del nero in Algeria, segnata da una discreta distanza nel corso degli anni, s’è trasformata in un rigetto violento negli ultimi tempi». I fondamentalisti, in questo, hanno la loro parte. «In occasione di un incontro di calcio tra l’Algeria e il Mali nel novembre 2014», spiegava ancora Daoud, «il giornale islamista Echourouk pubblicò una foto dei tifosi neri sotto il titolo “Né buongiorno né benvenuto. L’Aids dietro di voi, l’Ebola davanti a voi”». Ma anche la sinistra sembra avere le armi spuntate: «In Algeria, le élite laiche e di sinistra si sono rese miopi coltivando il trauma coloniale come sola visione del mondo. I neri, percepiti come decolonizzati o decolonizzatori, sono sia ostracizzati che idealizzati. Non sono una cosa a sé, ma una rappresentazione delle nostre preoccupazioni». archetipo dell’alteritàNel 2019, su Le Monde, lo storico tunisino Salah Trabelsi spiegava: «Che siano nativi o meno, i neri in Maghreb sono oggetto di una svalutazione che fa il paio con la discriminazione. Contrariamente al resto della popolazione, essi sono i soli a essere percepiti come l’incarnazione di un gruppo esogeno, identificabile con caratteristiche etniche e socioculturali presuntamente distinte. […] Ne risulta una visione che tende a fare del magrebino di pelle nera l’archetipo dell’alterità: un nero che vive e si comporta per essenza come un nero!». Secondo un sondaggio del 2022 del portale Arab Barometer sulla discriminazione anti nera in Africa e Medio Oriente, la maggior parte dei cittadini in Tunisia (80%), Iraq (67%), Giordania (63%), Palestina (59%), Sudan (58%) e quasi la metà in Libano (49%) e Libia (48%) denuncia che la discriminazione razziale è un problema serio nel proprio Paese. Tuttavia, solo in Tunisia (63%) e Sudan (63%) la maggior parte dei cittadini afferma che la discriminazione contro le persone nere è un problema di proporzioni grandi o medie, mentre questo accade per meno della metà dei cittadini in Libia (45%), Libano (45%), Marocco (43%) e Iraq (31%). Tutto il mondo è Paese, quindi? Quasi, visto che nel Nordafrica e nel Medio Oriente, nessun intellettuale teorizza colpe ancestrali dei propri popoli da espiare con un’accoglienza senza limiti.