2025-11-01
La riforma della giustizia non terremota la Carta ma solo la partitocrazia delle toghe
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio (Ansa)
Nonostante gli strilli dell’opposizione, la tesi della Costituzione calpestata è una balla. A perdere peso sono le correnti, grazie ai sorteggi nei due Csm. Separare le carriere significa controllare le Procure? Follia.Non fatevi ingannare: con la riforma della giustizia non c’è nessun assalto alla Costituzione, nessuna voglia di avere pieni poteri né di mettere i pubblici ministeri sotto il controllo del governo, come invece sostiene l’opposizione. Semplicemente, con il sistema del sorteggio dei componenti dei due Consigli superiori della magistratura e con l’istituzione dell’Alta corte disciplinare si toglie il potere alle correnti, cioè a partiti politico-giudiziari che nulla hanno a che fare con l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Lo spiega meravigliosamente in queste stesse pagine il pm Giuseppe Bianco, che credo interpreti il pensiero di molti suoi colleghi, i quali però non hanno lo stesso suo coraggio e preferiscono non esporsi, lasciando che a parlare sia la minoranza politicizzata.Del resto, che separare le carriere non sia una violazione della Costituzione lo dice la Costituzione, che non impone affatto un percorso unico per pubblici ministeri e giudici. Lo ha spiegato con due sentenze la Consulta, chiarendo che, pur considerando la magistratura un unico ordine, la Carta su cui si fonda la Repubblica non indica alcun principio che imponga una carriera unica, né vieta che quelle dei magistrati requirenti siano separate dai colleghi giudicanti. Dunque, nessuna incostituzionalità. Quanto poi alla subordinazione dei pm al potere politico, l’accusa mossa da Anm e opposizione è totalmente campata per aria. Infatti, anche se divisa da quella dei giudici, la funzione dei pubblici ministeri rimane garantita dall’articolo 104 della Costituzione, in cui è enunciato il principio di indipendenza e autonomia dei magistrati. La riforma Nordio pur separando le carriere non limita i poteri dei pm, né li sottopone al controllo del governo. I pubblici ministeri, quindi, non sono subordinati oggi né saranno subordinati domani. Tuttavia, di fronte a questa verità incontrovertibile, Anm e opposizione ipotizzano che in futuro l’esecutivo potrebbe decidere di assoggettare le toghe che rappresentano l’accusa, con una nuova riforma costituzionale che faccia venir meno le tutele offerte dall’articolo 104. Siamo però nel campo della fantasia, del processo alle intenzioni, delle male interpretazioni. Il fatto incontestabile è che la separazione delle carriere da sola non può in alcun modo portare alla subordinazione della magistratura requirente al governo. E, infatti, chi si oppone alla riforma non sa spiegare come, rimanendo in vigore il principio costituzionale di autonomia e indipendenza, si possa giungere al controllo delle Procure.In realtà, separare le carriere non produce alcuno sconquasso, anche perché nei fatti sono già separate. Oggi i passaggi dall’una e dall’altra parte, cioè dalle Procure ai tribunali, sono minimi. Su 10.000 magistrati, appena 28 hanno cambiato funzione.Ciò che impensierisce il sindacato delle toghe e i suoi referenti politici è però la separazione del Csm, che non sarebbe più il Consiglio superiore dell’intera magistratura, ma si sdoppierebbe in due entità, una riservata alle carriere dei pm, un’altra per i giudici. La commistione di interessi, di promozioni, trasferimenti, procedimenti disciplinari, fra magistrati requirenti e giudicanti non sarebbe più unica. Un Csm si occuperebbe dei primi, un altro dei secondi. E i componenti non sarebbero più eletti dalle correnti, come avviene ora, ma verrebbero nominati con un sorteggio. Risultato, i partiti politico-giudiziari perderebbero ogni controllo, perché agli iscritti (o militanti) non potrebbero offrire la contropartita degli incarichi. La spartizione delle nomine nelle Procure e nei tribunali sarebbe azzerata. Non solo. L’Alta corte disciplinare, eletta anch’essa con il sistema del sorteggio, non garantirebbe più l’impunità dei magistrati in base all’appartenenza a una corrente, perché i gruppi di pressione non soltanto non sarebbero rappresentati, ma non potrebbero offrire in cambio dell’archiviazione di un procedimento alcuna promozione e viceversa. Come spiegò bene Luca Palamara, che prima di cadere lui stesso nelle trame dei colleghi tesseva ogni giorno la tela della spartizione, il sistema basato sulla consorteria franerebbe. È per questo che l’Anm si agita. Non difende la Costituzione, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura o la giustizia: difende sé stessa e il potere che esercita, attraverso i soliti noti, sull’intero ordinamento giudiziario. Smantellando il sistema, dunque, si realizza il vero dettato della Carta, restituendo al corpo della magistratura autonomia e indipendenza. Cacciando il partito delle toghe dai tribunali.
Edmondo Cirielli (Imagoeconomica)
Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)
Giuliano Pisapia, Goffredo Bettini, Emma Bonino e Anna Paola Concia (Ansa)