2025-11-01
Dal diritto alla cura all’eutanasia di routine
La morte assistita, in certi Stati come il Belgio, è già diventata una «soluzione» all’incapacità di trattare patologie guaribili. Tipo la depressione di cui soffre Siska, 26 anni, che invece riceverà l’iniezione letale. E il Canada pretende i parenti-spettatori.Non si può che rimanere sgomenti di fronte alla notizia, riportata da La Verità pochi giorni fa, di una giovane ventiseienne - non affetta da patologie organiche, né oncologiche né degenerative, che conducono alla morte - che sta per esser sottoposta in Belgio a morte assistita perché «potenziale suicida» sin dall’età di 13 anni, quando subì «violenze e abusi». La povera Siska (questo il suo nome) aveva provato a suicidarsi a 14 anni e in seguito vi furono altri tentativi, tutti evidentemente falliti, fino a oggi quando in preda alla disperazione ha chiesto e ottenuto di ricevere l’iniezione letale. Durante questi dieci e più anni - denuncia lei stessa - è stata «maltrattata», cioè trattata in modo assolutamente non adeguato e competente rispetto allo stato di depressione «cronica» che la affliggeva, e ora l’istituzione pubblica le apre le porte dell’eutanasia come soluzione alle sue sofferenze. Naturalmente - colmo dell’ipocrisia - dietro sua scelta, sua libera decisione, frutto di una consapevole autodeterminazione, che la sta portando fra le braccia della «dolce morte». Tutto ciò sta accadendo in un Paese progredito, ricco e civile che aveva cominciato col depenalizzare e poi legalizzare la morte assistita, all’inizio del 2000, riservata a ben selezionati casi «oncologici terminali». Si partì da tre o quattro decine di morti all’anno e si è arrivati alla tragica cifra di oltre 6.000 pazienti. Purtroppo, questo tragico trend è la norma in tutti i Paesi che hanno legalizzato il suicidio assistito/eutanasia: si inizia sempre con pochissimi casi di particolare gravità e, in poco tempo, tutti gli argini cadono, tutti i limiti vengono scavalcati, e si giunge a uccidere una giovane donna affetta da depressione, innescata da dolorosi eventi esistenziali, di 26 anni. In Canada, altro Paese in cui le morti per eutanasia/suicidio assistito stanno drammaticamente aumentando (si è arrivati a 10.000 in un anno), Susan Woolhouse, co-presidente dell’Ontario college of family physicians palliative end of live care, ha proposto una legge pubblicata sul sito della University of British Columbia, per «far sì che i bambini possano assistere all’eutanasia dei loro parenti. Sarebbe una delle esperienze più importanti e terapeutiche per un bambino». Follia? No. Si tratta dell’ormai scontata strategia di «normalizzazione», per cui perfino l’omicidio di un essere umano innocente, fragile e bisognoso di ogni tipo di cura, è da considerarsi un banale evento di routine, assolutamente legittimo, legale e perfino terapeutico e auspicabile, nell’ottica del togliersi di mezzo quando si è diventati ingombranti e pesanti da gestire. In Belgio, il 17,4% delle iniezioni letali viene praticato in case di riposo: vite indegne di essere vissute? Purtroppo, il festival degli orrori non finisce qui: nel 2021 (non sono disponibili dati più recenti), in Olanda sono stati registrati 517 casi di eutanasia senza esplicita richiesta e, fra questi, 6 sono infanticidi secondo il Protocollo di Groningen. In Belgio, vengono eliminati con eutanasia circa 200 bambini all’anno e solo nel 60% dei casi c’è accordo fra la decisione eutanasica dei medici e il parere dei genitori. In Canada, nel 2019, 771 casi di eutanasia «per solitudine» e nel 2021, dei circa 10.000 morti con eutanasia, il 36% è stato perché si «sentiva solo» e il 16% perché si sentiva «abbandonato». Il racconto di quanto sta accadendo a Siska è emblematico. Dopo ricoveri in reparti inadeguati e inappropriati per affrontare le sue sofferenze, vivendo di fatto una condizione di abbandono di cura, non le resta che un’unica via d’uscita: l’iniezione letale, mascherata da libera scelta autodeterminata. Si può davvero credere che quella scelta sia libera? È lucidamente consapevole? Quanta ipocrisia, quanta menzogna camuffata da libertà di autodeterminazione. Alla luce di quanto sta accadendo nel mondo - a proposito, vale la pena di ricordare che sono soltanto 13 su 95 gli Stati che hanno legislazioni di morte assistita - almeno un dubbio sul fatto che stiamo intraprendendo in Italia una strada disumana e incivile, con i vari disegni di legge in discussione, dovrebbe venire. La storia, anche recente, ci insegna che quando si apre uno spiraglio, in brevissimo tempo - magari a colpi di sentenze di tribunali e Corti varie - si spalanca una prateria di morte. Dal «diritto di cura» al «diritto di morte»: non è un bel progresso. Con la speranza e la preghiera che Sjska possa incontrare un «buon samaritano» che si prenda cura di lei.
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli