2025-11-01
Fabbriche di auto verso lo stop, mancano chip
La Commissione chiede alla Cina di posticipare il nuovo sistema di licenze per l’export di terre rare e tratta con Nexperia, il produttore che sta mettendo in crisi le case d’auto. Allarme di Urso: è emergenza, agire subito.Il commissario Ue al Commercio vede Lollobrigida e apre all’inserimento di controlli e reciprocità nel trattato di libero scambio col Sudamerica. Coldiretti per ora non si fida.Lo speciale contiene due articoli.L’industria dell’automotive è all’emergenza. È da giorni che l’Acea, l’associazione dei costruttori europei, lancia l’allarme sulla carenza di semiconduttori. «Le scorte si stanno esaurendo e il blocco della produzione è imminente» è la denuncia del direttore generale, Sigrid de Vries che si è fatto megafono delle difficoltà delle case automobilistiche europee. Alla base della crisi c'è lo scontro commerciale esploso dopo la decisione olandese di nazionalizzare il produttore di chip Nexperia, di proprietà cinese, per motivi di «sicurezza nazionale». Un atto a cui Pechino ha reagito bloccando le esportazioni di chip verso l’Europa. Certo non mancano fornitori alternativi nel Vecchio Continente ma ci vorrebbero molti mesi per creare un network in grado di compensare la carenza delle forniture cinesi. E nel frattempo l’industria automobilistica rischia lo stop delle catene di assemblaggio.Il problema è arrivato sul tavolo della Commissione Ue che ha aperto due canali di trattativa: con l’azienda olandese produttrice di semiconduttori Nexperia e con Pechino. I nodi della dipendenza totale dalla Cina sono venuti al pettine e non resta ormai che la supplica. Il Commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, ha chiesto alla Cina di posticipare di almeno un anno l’introduzione del nuovo sistema di licenza per l’export di terre rare, che sono fondamentali sia nel processo di produzione (attrezzature), sia nella composizione stessa dei chip essenziali per l’automotive. Anche il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, in occasione del summit Asean a Kuala Lumpur, ha manifestato al premier cinese Li Qiang «forte preoccupazione per l’espansione dei controlli sulle esportazioni di materie prime critiche e di beni e tecnologie da parte della Cina», dopo la stretta di Pechino all’export delle terre rare.«L’ho esortato a ripristinare il prima possibile le catene di approvvigionamento fluide, affidabili e prevedibili», ha sottolineato Costa.Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nell’intesa annunciata da Busan, in Corea del Sud, con il presidente cinese Xi, è riuscito a superare lo «stallo» nei rapporti con la potenza asiatica allentando la stretta pesantissima sulle forniture globali di terre rare e quindi di chip. L’accordo, sancito al momento da una semplice stretta di mano (si attendono a giorni, i contenuti scritti nero su bianco), sospenderebbe lo stop alle esportazioni di minerali essenziali per un anno, ma non è chiaro se questo riguarderà anche le forniture all’Unione europea. Secondo quanto riportato dall’agenzia cinese Xinhua, al termine del vertice tra i due capi di Stato, «i due team dovrebbero perfezionare e finalizzare il lavoro di follow-up il prima possibile, tranquillizzare gli animi sulle economie di Cina, Stati Uniti e del mondo» e questo lascerebbe pensare che quanto concordato varrebbe anche per l’Europa. Ma siamo alle congetture. La situazione europea sulle terre rare è estremamente critica proprio per la forte dipendenza dalla Cina, che controlla circa il 70% della produzione globale e l’80% della raffinazione. L’Ue sta lavorando per ridurre questa dipendenza con il piano ResourceEu, che prevede la diversificazione delle fonti e l’incremento della produzione interna, ma i tempi sono ancora lunghi e nel frattempo l’industria senza le forniture cinesi rischia il collasso.Sefcovic ha detto di essere in contatto con i partner americani per coordinare la risposta europea al problema delle terre rare e di aver discusso il tema con il segretario statunitense Scott Bessent e con il rappresentante per il Commercio Usa, Jamieson Greer, sottolineando la necessità di un approccio coordinato tra Ue e Stati Uniti per garantire la sicurezza delle catene di approvvigionamento industriale.Oltre al canale con Pechino, la Commissione ha in corso una trattativa con l’azienda olandese Nexperia. Se ne sta occupando la vicepresidente esecutiva della Commissione europea, responsabile per il digitale, Henna Virkkunen, che ieri ha avuto un incontro da remoto con il gruppo dei semiconduttori per trovare soluzioni alternative ma anche strutturali per garantire l’attività delle catene di approvvigionamento. «Tutto questo lavoro confluirà nel Chips act 2, atteso per il primo trimestre del 2026», ha confermato il portavoce.La carenza di chip sta mettendo in ginocchio soprattutto per la Germania, primo produttore nell’Ue, mentre il governo Merz è già impegnato a limitare i danni dei dazi Usa sull’acciaio della Ruhr. I tre colossi nazionali Volkswagen, Mercedes e Bmw li utilizzano a piene mani per costruire le centraline elettroniche da installare nei loro modelli, al pari di Renault, Stellantis, Ford-Europe e tutti gli altri fra i 16 marchi riuniti nell’Acea, tra cui figurano anche gli stabilimenti europei di Hyundai, Nissan e Honda. Per avere un’idea della posta in gioco, bastano alcuni dati: l’automotive è il comparto industriale più nevralgico d’Europa, da solo rappresenta l’8,1% del totale dei posti di lavoro del settore manifatturiero impiegando ben 13,6 milioni di persone. Il governo italiano sta facendo la sua parte per superare la situazione di stallo. Il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, è impegnato in prima persona. «La Commissione deve agire subito. Le scelte politiche industriali vanno prese entro quest’anno cioè entro dicembre. Non c'è più tempo da perdere, noi stiamo affrontando l’emergenza quella dello choc di approvvigionamento di chip», ha detto durante la visita a Milano dell’area R&D di Pirelli. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bruxelles-in-ginocchi-2674256473.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mercosur-sefcovic-tratta-con-litalia" data-post-id="2674256473" data-published-at="1762009211" data-use-pagination="False"> Mercosur, Sefcovic tratta con l’Italia La missione del commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, in Italia si chiude con un segnale politico tutt’altro che marginale: Bruxelles apre alle condizioni poste da Roma sull’accordo di libero scambio con il Mercosur. Un cambio di passo che porta la firma del governo italiano, deciso a difendere la reciprocità, le tutele ambientali e la sovranità economica del settore agroalimentare, senza cedere alla logica di un accordo «al ribasso». Lo stesso Sefcovic ha riconosciuto che la versione attuale dell’intesa è «ben diversa da quella iniziale», frutto anche delle richieste avanzate dalla Meloni e dai suoi ministri. «Ci si concentra molto sulla reciprocità e sugli ammortizzatori», oltre che sui controlli, ha spiegato il commissario, lasciando intendere che la Commissione è pronta a considerare l’impianto voluto da Roma come base del compromesso finale. Una posizione che trova conferma anche nelle parole del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che ha sottolineato il ruolo dell’Italia nel correggere la rotta del negoziato. «Non abbiamo mai avuto un atteggiamento pregiudizievole verso l’accordo – ha chiarito – ma non intendiamo lasciare indietro nessuno. Serve equilibrio, perché il Mercosur, pur offrendo opportunità per l’economia europea, rischia di penalizzare alcuni settori strategici. Abbiamo quindi chiesto un meccanismo di salvaguardia immediato, in grado di ripristinare le tariffe in soli 25 giorni qualora si registrassero crolli di prezzo o danni alle produzioni europee». Una linea, quella di Lollobrigida, che è stata al centro del confronto di ieri al Masaf, dove erano presenti le principali sigle del comparto agroalimentare italiano. Coldiretti e Filiera Italia non sono però state del tutto soddisfatte dalle aperture “politiche” di Sefcovic. Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, ha parlato di «due elementi non negoziabili»: una clausola di salvaguardia automatica, che non dipenda da valutazioni discrezionali di Bruxelles, e una reale reciprocità negli standard ambientali e sanitari. «Non bastano richiami generici ai protocolli di Kyoto – ha denunciato – servono sanzioni immediate se i Paesi del Mercosur non rispettano gli impegni. E finché non verranno vietate all’origine le sostanze chimiche vietate in Europa, continueremo a subire una concorrenza sleale». Sulla stessa linea il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, che ha ribadito al commissario europeo la netta opposizione del mondo agricolo a un accordo che «così com’è concepito, aumenterebbe la pressione sui prezzi e i rischi per la salute dei cittadini». Prandini ha ricordato come il principio di reciprocità sia «condizione imprescindibile» e ha chiesto «un intervento urgente anche sui dazi imposti da Stati Uniti e Cina», che stanno già penalizzando le esportazioni di prodotti simbolo del Made in Italy, dal vino all’olio extravergine. Sefcovic ha ribadito comunque che la Commissione europea è pronta a «collaborare strettamente con il governo italiano» per integrare nel testo finale garanzie aggiuntive a tutela delle filiere agricole più esposte. Un’apertura che arriva dopo mesi di tensioni tra Bruxelles e Roma e che conferma il peso crescente dell’Italia nei dossier commerciali dell’Unione. Il confronto proseguirà nelle prossime settimane, ma l’impostazione è ormai chiara: il Mercosur, se nascerà, non sarà più quello originario, ovvero “porte aperte” alle importazioni a dazio zero. Il Consiglio europeo tirerà le fila e l’Italia sarà decisiva per arrivare a una maggioranza.
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli