2019-06-01
Immigrazione e dazi Trump mette assieme due partite a scacchi e schiaccia il Messico
Il Paese del Centroamerica non ferma i flussi di clandestini, così la Casa Bianca alza la barriera delle tasse commerciali (5%).Torna a salire la tensione tra Stati Uniti e Messico. Giovedì scorso, Donald Trump ha annunciato che imporrà nuovi dazi su tutti i prodotti di importazione messicana, con l'obiettivo di costringere il Paese a contrastare gli ingenti flussi migratori che, dall'America Centrale, si stanno dirigendo verso la frontiera meridionale statunitense. In particolare, il presidente americano ha intenzione di decretare tariffe del 5% a partire dal prossimo 10 giugno. Tariffe che subiranno un graduale incremento del 5% ogni mese fino a un massimo del 25%, «a meno che», ha dichiarato Trump, «il Messico non blocchi sostanzialmente il flusso migratorio di stranieri che proviene dal suo territorio». Il presidente americano ricorre dunque all'arma commerciale per portare avanti la sua politica in materia di immigrazione clandestina. A questo proposito, la Casa Bianca sta utilizzando l'International emergency economic powers act: una legge federale del 1977, che consente al presidente di regolare il commercio dopo aver dichiarato un'emergenza nazionale in risposta a un pericolo proveniente da una potenza straniera. Si tratta di una norma che venne, per esempio, utilizzata da Jimmy Carter nel pieno della crisi degli ostaggi in Iran e da George W. Bush per bloccare gli asset delle organizzazioni terroristiche in seguito agli attentati dell'11 settembre 2001. Trump, dal canto suo, ha dichiarato lo stato di emergenza lo scorso febbraio con l'obiettivo di sbloccare i fondi per la realizzazione del muro al confine con il Messico: una soluzione che, pochi giorni fa, è stata in parte bloccata da una corte federale. E, in questo senso, non è affatto escludibile che, con i nuovi dazi, il presidente stia cercando di mettere a punto strategie diversificate per risolvere un tema fondamentale in vista della battaglia per la rielezione, aggirando al contempo gli sgambetti giudiziari approntati dai democratici. Gli effetti di queste minacce non tarderanno a manifestarsi. Innanzitutto, il peso ha subìto ieri il calo maggiore da sette mesi contro il dollaro, arrivando a perdere il 3,3%. In secondo luogo, a fare le spese maggiori di questa situazione rischia di essere il comparto automobilistico: numerose aziende possiedono infatti stabilimenti di produzione nel territorio messicano. Nella giornata di ieri, le azioni di colossi come Ford, General Motors, Fiat Chrysler, Bmw e Volkswagen hanno registrato un netto ribasso. In un simile quadro, è possibile che – oltre ad affrontare la questione dell'immigrazione – il presidente americano voglia rinverdire uno dei suoi classici cavalli di battaglia: spingere, cioè, le ditte automobilistiche ad aprire stabilimenti direttamente sul territorio statunitense. Un tema, questo, molto avvertito soprattutto in aree come la Rust Belt che, con ogni probabilità, tornerà a rivelarsi dirimente nella campagna elettorale per le presidenziali del 2020. Inoltre, al di là del settore automobilistico, queste tensioni potrebbero coinvolgere anche il comparto dell'agroalimentare: non dimentichiamo che il Messico figuri tra i principali esportatori negli Stati Uniti di prodotti come gli avocado, gli asparagi e i frutti di bosco. Lo Zio Sam, da parte sua, esporta nel Paese sudamericano soprattutto mais e carne di maiale. Un altro fronte riguarda poi la questione dello Usmca: il trattato internazionale di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada che dovrebbe sostituire il vecchio Nafta del 1992. Giovedì scorso, il vicepresidente statunitense, Mike Pence, ha affermato che la Casa Bianca punterebbe ad ottenere la ratifica dell'intesa dal Congresso entro la prossima estate. Si tratta di un obiettivo importante per Trump che ha fatto della rinegoziazione del Nafta uno dei punti centrali del suo programma nel corso dell'ultima campagna elettorale. Adesso, non è chiaro se la svolta tariffaria possa produrre delle ripercussioni sulla stipulazione definitiva dell'accordo. Anche per questo, il capo di gabinetto della Casa Bianca, Mick Mulvaney, si è affrettato a precisare che i nuovi dazi svolgano una funzione in termini di mera politica migratoria e che non siano «parte della questione commerciale». Si sta insomma cercando di gettare acqua sul fuoco, anche se talvolta la situazione evoca tensioni in pieno stile battaglia di Alamo».Ciononostante, con questa mossa, torna ad essere chiaro un principio fondamentale della politica migratoria di Trump. Contrariamente a quanto spesso si afferma, la stretta sull'immigrazione non ha per questo presidente una valenza razzista ma securitaria e socioeconomica. La sua linea non punta infatti soltanto a contrastare fenomeni quali la criminalità e il traffico di droga. L'obiettivo è la tutela dei posti di lavoro americani. E non sarà un caso che questo approccio abbia riscosso il favore di una classe sociale storicamente vicina al Partito democratico, come quella dei colletti blu della Rust Belt. Anche se i dazi hanno effetti collaterali. Ieri Fca che è mezza americana e produce auto in Messico è crollata in Borsa.