2019-10-14
I fuoriusciti: viaggio tra i cattolici che non stanno con nessun Papa
Dalla Fraternità San Pio X, fondata da Lefebvre nel 1970 in polemica col Concilio, all'Istituto Mater Boni Consilii. Mentre il clero progressista è in «ritirata», i tradizionalisti, anche se in rotta con Roma, riempiono i seminari. Il Sinodo in corso va verso un compromesso. Dissidi su preti sposati e diaconesse. Probabile accordo al ribasso: dottrina ribadita ma pastorale lassista. «La confusione nella Chiesa ha già dato vita a una "doppia religione"». Il presidente della Fondazione Lepanto Roberto De Mattei descrive una fase drammatica per i fedeli: «C'è uno scisma di fatto, ma né i tradizionalisti né il partito amazzonico usciranno». Lo speciale comprende tre articoli. Se una parte di mondo cattolico dissente dalla linea del Pontificato di papa Francesco, c'è chi è forse meno spiazzato proprio perché, in dissenso, lo è da decenni. Come i componenti della Fraternità San Pio X, la società di vita apostolica tradizionalista fondata da monsignor Marcel François Lefebvre in argine a quelle che sono ritenute derive post Concilio Vaticano II non solo in riferimento alla messa novus ordo, ma anche, anzi soprattutto, alla «libertà religiosa». Concetto, questo, che, radicatosi nella Chiesa negli ultimi decenni, è ritenuto l'anticamera di un relativismo distruttore del cattolicesimo. I «lefebvriani», come solitamente vengono chiamati, stando ai dati del 2015 hanno oltre 200 seminaristi, 186 religiose, 84 suore oblate, cinque conventi, sei seminari e tre vescovi. Le loro messe, rigorosamente tridentine, vantano una partecipazione media di circa 600.000 persone su scala mondiale. Notevole, considerando lo svuotamento dei seminari cattolici degli ultimi decenni, risulta la crescita dei sacerdoti facenti capito alla Fraternità che, da 30 che erano nel 1976, sono divenuti 180 dieci anni dopo, per salire a 354 nel 1996, a 622 nel 2015 e, ancora, a 658 nel giugno di quest'anno. Un'impennata di oltre il 2.000% in poco più di 40 anni. Dal punto di vista dottrinale, la Fraternità non fa sconti al Pontificato attuale, soprattutto alla luce dei documenti come Amoris laetitia con cui, come noto, si sono formulate «aperture» nei confronti dei divorziati risposati per quanto riguarda l'accesso alla comunione. Secondo don Davide Pagliarani, superiore generale della San Pio X, questa enciclica «rappresenta, nella storia della Chiesa di questi ultimi anni, quello che Hiroshima e Nagasaki rappresentano per la storia del Giappone moderno: umanamente parlando, i danni sono irreparabili». Ciò nonostante, secondo don Pagliarani non c'è nulla di cui stupirsi dal momento che la linea aperturista di papa Francesco sarebbe in perfetta coerenza con quella tracciata dal Concilio vaticano II. «La Chiesa sinodale, sempre in ascolto», secondo il superiore della Fraternità, costituisce infatti solo «l'ultima evoluzione della Chiesa collegiale, predicata dal Vaticano II». Di conseguenza, a detta del capo dei «lefebvriani» c'è ben poco di cui aspettarsi dal Sinodo sull'Amazzonia. «Abbiamo l'impressione che invece di lottare contro il paganesimo», ha evidenziato don Pagliarani, «la gerarchia attuale voglia assumerne e incorporarne i valori. Gli artigiani del prossimo sinodo si riferiscono a questi “segni dei tempi", cari a Giovanni XXIII, che bisogna scrutare come segni dello Spirito Santo». Il mondo tradizionalista non è però composto solo dalla Fraternità san Pio X che pure, per storia e seguito, ne rappresenta senza dubbio l'espressione principale. Ancora più a destra, per così dire, della società religiosa fondata da monsignor Lefebvre, troviamo difatti l'Istituto Mater Boni Consilii, fondato nel 1985 da quattro sacerdoti italiani fino ad allora appartenenti alla Fraternità. Si tratta di una realtà sedevacantista e che quindi sposa una tesi estrema, vale a dire quella secondo cui dal 7 dicembre 1965 la sede apostolica è formalmente vacante, con la conseguenza che tutti i libri liturgici da allora promulgati non sono neppure considerabili cattolici, bensì testi praticamente nulli. Ciò nonostante, e pur risultando probabilmente sconosciuto ai più, anche questo un sodalizio di tradizionalisti non sembra affatto prossimo all'estinzione, anzi. È in crescita. Lo conferma alla Verità don Ugolino Giugni che per l'Istituto Mater Boni Consilii dell'apostolato in Lombardia e Triveneto. «L'Istituto nacque quattro sacerdoti: oggi ne conta 14, l'ultimo dei quali ordinato nel giugno scorso. Abbiamo cinque case, di cui tre all'estero in Francia, Belgio e Argentina», spiega il sacerdote. Che inoltre aggiunge: «Celebriamo la messa in nove Paesi. Solo in Italia, i centri messa serviti regolarmente sono 16. Abbiamo una rivista che esce in due lingue, un sito Internet e una casa editrice con più di 50 titoli pubblicati di teologia, catechesi, storia e attualità». «Inoltre», aggiunge don Giugni, «abbiamo un seminario in Piemonte a Verrua Savoia in cui formiamo i candidati al sacerdozio di domani. Quest'anno a settembre ci sono stati sei nuovi seminaristi provenienti da Polonia, Ungheria, Francia e Italia». Alla crescita delle vocazioni corrisponde anche quella dei fedeli. «Certamente il numero dei fedeli che partecipano alle nostre Messe e pellegrinaggi è aumentato molto in questi ultimi anni e c'è sempre gente nuova che si avvicina al nostro Istituto», spiega infatti il sacerdote. Come prevedibile, anche don Giugni non nutre grandi aspettative, anzi, dal Sinodo sull'Amazzonia. «Staremo a vedere cosa uscirà fuori dal Sinodo amazzonico», afferma, «anche se già si parla di preti sposati o sacerdozio femminile ed ecologia green e inculturazione. È passata quasi inosservata dai media una cerimonia pagana avvenuta nei giardini vaticani il 4 ottobre scorso, festa di San Francesco, in cui una “sciamana" invocava la “madre terra" alla presenza di Jorge Mario Bergoglio e di alcuni cardinali riuniti. Cosa ci toccherà ancora sentire e vedere? Preghiamo perché il Signore Gesù abbia pietà della sua Chiesa e di noi». Ora, al di là del Sinodo sull'Amazzonia, i cui esiti saranno noti tra non molti giorni, ciò che qui rileva è che realtà come la Fraternità San Pio X e l'Istituto Mater Boni Consilii, benché minoritarie e ignorate dai media, siano sorprendentemente in crescita. In numeri ancora ridotti, d'accordo: ma comunque in crescita. Il che alimenta un dubbio: si tratta forse di casi isolati o, meglio, di un puro caso? Non si direbbe. Uno studio pubblicato nel novembre 2017 su Sociological Science a firma di Sean Bock, sociologo di Harvard, ha infatti concluso come negli Stati Uniti solo «la religione moderata» sia «in declino»; viceversa, gli evangelici conservatori e in generale quanti hanno convinzioni che molti giudicherebbero anacronistiche sono stabili, quando non avanzano. Un fenomeno che sembra avere motivazioni teologiche prima che sociologiche, come indica una ricerca quinquennale apparsa nel 2016 su Review of religious research che, realizzata esaminando un campione di oltre 2.250 fedeli suddivisi tra 22 congregazioni, 13 in calo e 9 in espansione, ha concluso come il conservatorismo teologico del clero e dei fedeli sia un fattore predittivo della crescita di una chiesa. Le «aperture» dottrinali che tanto allietano la stampa laica, insomma, non giovano al cristianesimo. Anzi, ne accelerano il declino. Tutto ciò era stato previsto già nel lontano 1972 dallo studioso Dean M. Kelley nel suo volume Why conservative churches are growing (Harper & Row) con cui, in piena primavera secolarista, pronosticava la riscossa della religione conservatrice, basata su rigidi codici morali. Una lezione che il mondo tradizionalista sembra aver appreso alla grande. Al contrario, tocca dire, di quanto accade in casa cattolica. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-fuoriusciti-viaggio-tra-i-cattolici-che-non-stanno-con-nessun-papa-2640957517.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-sinodo-in-corso-va-verso-un-compromesso" data-post-id="2640957517" data-published-at="1757963075" data-use-pagination="False"> Il Sinodo in corso va verso un compromesso «Non sarà Roma a dirci quello che dobbiamo fare in Germania», disse il cardinale Reinhard Marx, capo dei vescovi tedeschi, nel periodo tra il sinodo sulla famiglia del 2014 e quello del 2015. È una frase importante per comprendere i tempi che sta vivendo la Chiesa, che molti vorrebbero in pericolo di nuovi scismi, come già tante volte è accaduto nella storia. Oggi con il Sinodo panamazzonico in corso è sempre la Chiesa tedesca ad alimentare le dicerie scismatiche con un suo Sinodo nazionale. Il cardinale Rainer Woelki, arcivescovo di Colonia, ha dichiarato che avverte il timore che il «“cammino sinodale" intrapreso dall'episcopato tedesco porti a uno scisma nella Chiesa tedesca e in quella universale». Peraltro nel settembre scorso anche il Vaticano ha scritto due lettere ai vescovi tedeschi per richiamarli all'ordine: «La conferenza episcopale non può dare effetto legale alle risoluzioni, ciò è al di fuori delle sue competenze». I temi dell'agenda tedesca riguardano la diluizione del celibato sacerdotale (con la tentazione di aprire ai cosiddetti viri probati), nuovi ministeri per le donne, le tematiche di morale sessuale (fra cui le proposte di benedizione per coppie gay in chiesa). È facile sentire assonanze con quanto si sta discutendo in questi giorni in Vaticano per il caso amazzonico: viri probati e possibili diaconesse, entrambi oggetto di forti spinte e critiche al tempo stesso. Per il Sinodo amazzonico non mancano voci che parlano di un'assemblea apertamente scismatica, viste anche le sue venature panteiste e indigeniste. Lo stesso papa Francesco, durante la conferenza stampa sull'aereo di ritorno dall'ultimo viaggio apostolico, ha ammesso che uno scisma è possibile. Il Papa ha detto di non aver «paura degli scismi, prego perché non ce ne siano»; l'affermazione seguiva una dichiarazione su un libro scritto dal vaticanista francese Nicolas Senèze, che ipotizza un complotto politico-mediatico orchestrato da ambienti della destra americana contro il Papato. In effetti, negli ambienti conservatori della Chiesa statunitense ci sono malumori nei confronti di alcune scelte e parole di papa Jorge Mario Bergoglio, ma è ben difficile che uno scisma possa originarsi a queste latitudini. Salvo sorprese non ci sarà alcuno scisma formale, né da destra, né da sinistra. Ed è questa la vera cifra della Chiesa di oggi, ormai prigioniera della liquidità culturale. Molti studiosi, laici e consacrati, ritengono che la Chiesa sia già in una situazione di scisma di fatto, con due fazioni che la abitano: da una parte i critici del Papato di Francesco, ma che per essere cattolici sanno che occorre riconoscere Francesco come Papa; dall'altra quelli che lo sostengono con entusiasmo perché pare promuovere il loro insegnamento ambiguo sia a livello dottrinale sia pastorale. La «rivoluzione» di Francesco procede a colpi di «conversioni pastorali», per cui si dice che non si cambia la dottrina, mentre si propone una pastorale che di fatto la mette a rischio. È accaduto con l'esortazione apostolica Amoris laetitia e la comunione ai divorziati risposati, e probabilmente accadrà al termine del Sinodo panamazzonico: si ordineranno al sacerdozio uomini sposati ad experimentum e solo per quell'area, magari si presenterà anche una forma di ministero per le donne che non si chiamerà diaconato, ma nello stesso tempo si dirà che non si tocca il celibato sacerdotale e il ministero ordinato. E così si aprono processi, come ha dichiarato il cardinale Gerhard Müller: «Se in Amazzonia si ordinano al sacerdozio uomini stimabili che vivono unioni dichiaratamente stabili, al fine di fornire i sacramenti alla comunità, perché questo non dovrebbe infine rappresentare anche la leva per introdurre i viri probati in Germania, dove il celibato non è più accettato nella società?». In questo modo, con la logica del «no, ma anche sì», a destra possono continuare ad affermare che la dottrina rimane intatta, a sinistra, invece, si fa come se ognuno potesse interpretarla a seconda delle situazioni. Più che a possibili scismi, ci si trova di fronte a una progressiva deriva protestantizzante della Chiesa cattolica, in cui ognuno, a casa sua, fa un po' come gli pare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-fuoriusciti-viaggio-tra-i-cattolici-che-non-stanno-con-nessun-papa-2640957517.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-confusione-nella-chiesa-ha-gia-dato-vita-a-una-doppia-religione" data-post-id="2640957517" data-published-at="1757963075" data-use-pagination="False"> «La confusione nella Chiesa ha già dato vita a una “doppia religione”» Storico e presidente della Fondazione Lepanto, il professor Roberto De Mattei è un profondo conoscitore della galassia tradizionalista, in cui coglie almeno tre anime. «Nella Chiesa oggi c'è uno scisma di fatto», aggiunge, «una divisione materiale anche se non giuridicamente consumata». Quali filoni tradizionalisti individua? «Il primo è quello sedevacantista che risale agli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II. Per loro scelta si sono separati dalla Chiesa ufficiale perché non riconoscono i Papi da Paolo VI in poi, né cardinali né vescovi. In Italia il punto di riferimento più conosciuto è don Francesco Ricossa e la sua comunità. Hanno le loro cappelle, i loro sacerdoti, il loro apostolato. È un mondo a sé stante». Sono scismatici? «È una definizione che rifiuterebbero. Ma se per scisma si intende una rottura giuridica, allora si possono definire scismatici perché si situano al di fuori della Chiesa di cui non riconoscono la gerarchia». Poi ci sono i lefebvriani. «Non mi piace questa parola, sembra ritenere che quel gruppo di cattolici si riduca alle idee di monsignor Marcel Lefebvre. Li chiamerei semplicemente tradizionalisti. È improprio applicare alla Fraternità San Pio X il termine scismatici. Secondo il diritto canonico sono in posizione irregolare, senza dubbio; tuttavia, papa Francesco non solo ha tolto le scomuniche, ma ha fatto di più: ha restituito loro una forma di giurisdizione perché li ha autorizzati ad amministrare i sacramenti». Perché questo è un discrimine importante? «Perché i sacramenti da loro amministrati sono validi. La loro situazione non è sanata del tutto, hanno ancora negoziati in corso, non sono reintegrati, ma non si possono definire scismatici». Monsignor Lefebvre non aveva consacrato quattro vescovi? «Sì, nel 1988, e questo è all'origine della scomunica. Ma da allora non ne sono stati fatti altri. Tant'è vero che l'attuale superiore generale, don Pagliarani, è un semplice sacerdote, mentre il precedente, monsignor Bernard Fellay, era uno dei quattro ordinati da Lefebvre». Veniamo al terzo filone del dissenso cattolico. «È quello legato al cardinale Raymond Leo Burke, a vescovi come monsignor Carlo Maria Viganò e monsignor Athanasius Schneider, che ha preso forma con i dubia manifestati da quattro cardinali. Io stesso mi riconosco in questo contesto di resistenza a Francesco che non ha subìto sanzioni canoniche ma puramente mediatiche: veniamo dipinti e marginalizzati come i nemici del pontefice, coloro che portano la divisione nella Chiesa. Ci sarebbe poi una quarta posizione, molto ardita». A che cosa si riferisce? «Potremmo chiamarli nuovi sedevacantisti. Un fenomeno nato negli ultimi anni. Sono cattolici non tradizionalisti in senso stretto, in quanto (a differenza della Fraternità San Pio X) accettano pienamente il Concilio, ma affermano che il vero Papa è Benedetto XVI, non Francesco». Per un'irregolarità nell'elezione o la sostanza degli insegnamenti? «Da una parte ritengono invalida la rinuncia di Benedetto XVI, dall'altro contestano il conclave. Sono affermazioni forti perché non ci sono le prove. È comunque un movimento più diffuso di quanto si può credere: molti laici e molti preti in privato mi dicono di essere convinti che il vero Papa sia Benedetto XVI, ma non escono allo scoperto». Il movimento tradizionalista è comunque in crescita? «Non c'è dubbio. L'importante è conoscere le sue anime e non fare di ogni erba un fascio. Io sono favorevole a una collaborazione tra tutte le forze che si richiamano alla tradizione. Direi che in questo momento c'è un'unica Chiesa, con Francesco legittimo Papa, ma con due religioni. La religione tradizionale, quella che si riconosce nel magistero di sempre, e una nuova religione che sta venendo alla luce in maniera più chiara con questo Sinodo sull'Amazzonia». Che cosa dice questa nuova religione? «Il partito amazzonico nega il celibato dei preti, afferma la possibilità di affidare ministeri sacerdotali alle donne, ha una visione panteista della natura, arriva a mettere in dubbio la divinità di Cristo e i dogmi della risurrezione e del peccato originale. Oggi esiste uno scisma di fatto, una divisione materiale benché non giuridicamente consumata». Quanto durerà questa scissione? «Difficile dirlo. Nessuno vuole uscire dalla Chiesa: non i tradizionalisti e nemmeno il partito ultraprogressista, che una volta fuori perderebbe tutta la sua influenza. È una situazione complicata e drammatica». Che intervento auspica per sciogliere questo nodo? «Auspico chiarezza in questa confusione deliberatamente provocata. Quando le posizioni sono chiare, le idee si confrontano e la verità è destinata a prevalere sull'errore. Viceversa le idee false, per vincere, hanno bisogno di un'atmosfera di ambiguità, confusione ed equivoci come l'attuale. Auspico che cardinali e vescovi, gli esponenti della Chiesa docente, si esprimano con chiarezza, e abbiano lo stesso coraggio anche i progressisti. La grande maggioranza dei fedeli moderati, che oscillano tra i due poli dell'ortodossia e dell'eterodossia, deve poter prendere posizione». E il Papa? «Sia più chiaro anche Francesco, che resta spesso nell'ambiguità anche se tutto quello che fa è di appoggio al partito dell'eterodossia».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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