2018-06-01
Risorge Conte. E anche un po’ Savona
Un'accelerazione delle trattative sfocia nell'incarico. L'ingresso di Fdi nell'esecutivo sfuma all'ultimo per le resistenze dei grillini. Ma Matteo Salvini ottiene l'astensione che spacca in tre il centrodestra.Oggi il giuramento, lunedì la fiducia. Il Tesoro a Giovanni Tria, professore a Tor Vergata, di formazione socialista, ex collaboratore di Renato Brunetta. Non predica l'eurexit ma contesta la concorrenza sleale della Germania. L'economista bocciato dal Quirinale ritorna in gioco alle Politiche europee: il Corriere l'ha attaccato pubblicando una mail privata e alludendo a logge massoniche. Ma lui ha resistito e sarà della partita.A Matteo e Gigino i posti di vicepremier. Enzo Moavero Milanesi agli Esteri, Difesa alla grillina Elisabetta Trenta.Dopo quattro giorni trascorsi ad aspettare, il premier di scorta al servizio di Mattarella ha rimesso il mandato Il suo governo non ha mai avuto i voti, l'ha ammesso lui stesso: «Soluzione politica è di gran lunga la migliore».Dopo quattro giorni trascorsi ad aspettare, il premier di scorta al servizio di Sergio Mattarella ha rimesso il mandato Il suo governo non ha mai avuto i voti, l'ha ammesso lui stesso: «Soluzione politica è di gran lunga la migliore». Lo speciale contiene cinque articoli I siti stranieri sono stati i primi a dare il suo nome per il ministero dell'Economia del governo italiano. Giovanni Tria, 69 anni, laurea in giurisprudenza, presidente della Scuola di amministrazione pubblica e docente di politica economica alla facoltà di economia di Tor Vergata, è il ministro dell'Economia del governo politico M5s-Lega. L'accordo è arrivato dopo il passo di lato del professor Paolo Savona, originale candidato al dicastero di Via XX Settembre «censurato» dal presidente Sergio Mattarella perché antieuropeista, che avrà invece il ministero delle Politiche comunitarie. Quasi una vittoria di Pirro per il Colle… Non in quota Lega, ma di area centrodestra, curriculum ineccepibile, Tria, allievo oltre che amico dell'economista Luigi Paganetto, «nasce» nell'alveo del partito Socialista, particolarmente legato a Gianni De Michelis, con cui condivide lo studio e l'analisi delle economie dell'Est, in particolare quella della Cina, Paese di cui è un profondo conoscitore come lo è del mondo statunitense. Vicino a Giulio Tremonti, collaboratore di Renato Brunetta del quale è stato consulente all'epoca in cui era ministro della Pubblica amministrazione, con lui ha scritto diversi articoli, tra i quali, nel 2003, Il patto di stabilità e crescita: regole fiscali da cambiare. Brunetta non gioisce però e si trincera dietro un secco «no comment», sulla nomina. Personaggio understatment (ed è lì la sua grande forza), naturalmente mite e perbene, ha grandi capacità di mediatore fino ad essere un adeguato «ponte» con il centrosinistra. Grande competenza macroeconomica, europeista, nessun ostracismo verso l'euro ma che non giudica «perfetto», ma con una concezione internazionalistica dell'Ue tanto da essere un attento analista della politica e dell'economia dei Paesi europei. Commentando un intervento di La Malfa e Savona sul Corsera scrisse: «Una svalutazione può certo essere manovrata per “imbrogliare i nemici" tramite politiche monetarie ad hoc, ma il tasso di cambio è essenzialmente un prezzo e come tale può determinarsi sul mercato o distorto, come qualsiasi altro prezzo, impedendo al mercato di funzionare. Ma come ogni altro prezzo è un mezzo di riequilibrio se determinato almeno in parte dal mercato. Se un Paese come la Germania mantiene per anni un surplus tra il 6 e l'8% del Pil senza che la sua valuta si apprezzi rispetto a quella di Paesi in deficit significa che questo strumento di riequilibrio economico di mercato è stato eliminato, e non che si è eliminata una policy sbagliata. E non c'entrano neppure le maggiori o minori virtù italiche rispetto a quelle germaniche». Partecipando alla presentazione del «XII Rapporto sull'economia italiana» a cura di Mario Baldassarri, Tria sospese il giudizio sul reddito di cittadinanza: «In attesa di sapere cosa sarà» e quali saranno «quindi, le risorse richieste e l'ampiezza del pubblico dei beneficiari. Esso sembra oscillare tra una indennità di disoccupazione un poco rafforzata e un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l'altra consuma». Più possibilista invece verso la flat tax: «Interessante l'obiettivo della flat tax, che coincide con l'obiettivo di riduzione della pressione fiscale come condizione di una politica di crescita, soprattutto se si vede questo obiettivo non tanto come un modo per aumentare il reddito spendibile di famiglie e imprese, e quindi sostenere la domanda interna, ma come un modo per aumentare il rendimento dei fattori produttivi, lavoro e capitale, e quindi anche degli investimenti». Collaboratore di Formiche.net, lo scorso 14 maggio, scriveva sulle proposte dall'alleanza Di Maio-Salvini: «Le norme attuative dei propositi si dovranno scrivere con le competenze istituzionali in grado di misurare effetti di bilancio e coerenze legislative di sistema. E in genere la realtà delle cifre ridimensiona spesso la visione». Inoltre sottolineava come non fosse «affatto chiaro quale sarebbe l'indirizzo del governo di coalizione sui temi di politica industriale e sul sistema di controlli giudiziari e para-giudiziari che assieme al codice degli appalti stanno paralizzando ogni velleità di attivazione degli investimenti pubblici, pur da tutti auspicati». Nello stesso articolo sottolineava: «Vi è la “vulgata" che serva subito un governo per impedire che queste clausole di aumento dell'Iva vengano attivate, perché ciò sarebbe recessivo. La tesi non mi sembra sostenibile a meno che si pensi di impedire l'aumento delle aliquote Iva creando altro deficit». Piuttosto, scrive, e la cosa non potrà che diventare argomento caldo fin dal primo cdm, «non si vede perché non si debba far scattare le clausole di salvaguardia di aumento dell'Iva per finanziare parte consistente dell'operazione flat tax». La conoscenza profonda della Pa consentirà al ministro Giovanni Tria di guidare la macchina di Via XX Settembre e costruire una squadra capace di affrontare «attacchi» dentro e fuori. Fin da subito, rinunciando forse a qualche concerto jazz e a qualche serata tra amici nell'amata Toscana. Sarina Biraghi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/governo-conte-tria-toninelli-2574017731.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="la-lega-e-i-5-stelle-possono-partire-anche-con-la-spintarella-della-meloni" data-post-id="2574017731" data-published-at="1758019776" data-use-pagination="False"> La Lega e i 5 stelle possono partire anche con la spintarella della Meloni Habemus papam, Giuseppe II. Giuseppe Conte, il professore pugliese di Volturara Appula, è il secondo presidente del Consiglio battezzato con il nome proprio maschile più diffuso in Italia. Il primo fu Giuseppe Pella, piemontese di Valdengo, successore di Alcide De Gasperi. Pella, democristiano, governò l'Italia per soli 5 mesi, dal 17 agosto 1953 al 18 gennaio 1954. L'allora capo dello Stato, Luigi Einaudi, incaricò Pella di formare un governo provvisorio, il cui unico obiettivo era approvare la legge finanziaria. Il governo Pella durò 5 mesi, Giuseppe Conte spera (anzi conta, ovviamente) di durare 5 anni. La sua prima esperienza come premier incaricato, era durata appena 5 giorni. Il sogno di Conte era naufragato domenica scorsa, di sera, infrangendosi contro uno scoglio di 82 anni chiamato Paolo Savona all'Economia. Lo scoglio non c'è più, o meglio: si è spostato al ministero delle Politiche comunitarie. All'Economia va il docente Giovanni Tria, che ha l'ok del capo dello Stato, Sergio Mattarella, e così Giuseppe Conte può finalmente iniziare la sua navigazione in mare aperto, sostenuto dalla maggioranza M5s-Lega, con l'appoggio esterno di Fratelli d'Italia. La novità della convulsa giornata di ieri, infatti, è questa: Giorgia Meloni non entrerà al governo, e neanche nessun altro esponente del suo partito, che si asterrà sulla fiducia. La lista dei ministri è sostanzialmente invariata rispetto a quella presentata domenica scorsa al presidente della Repubblica, Mattarella, da Conte, che vedendosi bocciare il nome di Savona per il ministero dell'Economia, rimise l'incarico. Matteo Salvini, che su Savona ha combattuto una battaglia al penultimo sangue, alla fine si è convinto a «salvarci», come ieri titolava la Verità in prima pagina, chiedendo al leader della Lega «un atto di buonsenso che sblocchi la situazione». Il governo del buonsenso nasce alle 18 e 58 di ieri, quando Luigi Di Maio e Matteo Salvini, diffondono la dichiarazione congiunta che il Quirinale attende per chiudere una crisi durata 89 giorni. «Ci sono tutte le condizioni per un governo politico M5s-Lega con Giuseppe Conte presidente del Consiglio», annunciano Di Maio e Salvini, dopo una riunione durata quasi quattro ore, alla Camera, prima da soli e poi con Conte, sul tetto di Montecitorio. «Impegno, coerenza, ascolto», dice Matteo Salvini alcuni minuti dopo, su Facebook, «lavoro, pazienza, buon senso, testa e cuore per il bene degli italiani. Forse finalmente ci siamo, dopo tanti ostacoli, attacchi, minacce e bugie. Grazie per la fiducia amici, vi voglio bene e sappiate che avrò bisogno di voi». La giornata della svolta inizia di buon mattino, quando Giorgia Meloni e Matteo Salvini annullano gli appuntamenti elettorali e piombano a Roma. Tra le 11 e le 12, Di Maio e Salvini arrivano alla Camera. Alle 14, Salvini incontra la Meloni; subito dopo si riunisce con Di Maio. L'ipotesi di un ingresso in maggioranza di Fdi tramonta: il M5s non accetta la presenza di ministri «meloniani», poiché la prospettiva stava facendo andare in frantumi i pentastellati. «Mi pare di capire», commenta la Meloni, «che Matteo Salvini abbia parlato di un eventuale ingresso di Fdi nel futuro governo per rafforzare il campo del centrodestra, mi pare anche che abbia ricevuto un niet da parte del M5s. Mi dispiace, non mi fa ben sperare per il futuro del governo. Presumibilmente», aggiunge la Meloni, «ci asterremo sul voto di fiducia per aiutarlo a nascere perché abbiamo sempre detto che un governo politico è meglio di uno tecnico». Dunque, il centrodestra sembra spaccarsi in tre. Lega al governo, Fdi astenuta sulla fiducia, Forza Italia contraria, come annunciato dalla capogruppo azzurra Mariastella Gelmini: tre partiti, tre posizioni diverse. Alle 17 e 37, Giuseppe Conte raggiunge Matteo Salvini e Luigi Di Maio a Montecitorio. Il premier e i suoi due vicepremier mettono a punto la lista dei ministri; informano il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dell'accordo, e inviano via mail, dal cellulare di Luigi Di Maio, l'elenco. Carlo Cottarelli, che alle 18 era salito al Colle per l'ennesimo colloquio «informale», viene riconvocato ufficialmente dal presidente della Repubblica per le 19 e 30. Puntualissimo, arriva al Quirinale e incontra Mattarella. Neanche 10 minuti e, il segretario generale della presidenza della Repubblica, Ugo Zampetti, annuncia che Cottarelli ha rimesso il mandato. «È stato per me un grande onore», dice Cottarelli all'uscita dell'incontro con Mattarella, «lavorare al servizio del paese, anche se solo per qualche giorno. La formazione di un governo politico», sottolinea Cottarelli, «è di gran lunga la migliore soluzione per il paese, limita l'incertezza che deriverebbe da nuove elezioni. Esprimo i miei auguri di cuore di buon lavoro al governo che spero possa essere formato al più presto. Grazie e scusate», conclude Cottarelli, «se sono stato troppo silenzioso in questi giorni». I giornalisti applaudono, cosa mai accaduta prima: un po' per incoraggiare Cottarelli, un po' perché finalmente la fine di questa assurda telenovela sembra vicinissima. Alle 21, Giuseppe Conte sale al Quirinale per ricevere l'incarico di presidente del Consiglio. Oggi, alle 11, il giuramento. Lunedì prossimo la fiducia al Senato, martedì alla Camera. Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/governo-conte-tria-toninelli-2574017731.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ai-due-leader-interno-e-super-lavoro-giorgetti-sara-il-nuovo-gianni-letta" data-post-id="2574017731" data-published-at="1758019776" data-use-pagination="False"> Ai due leader Interno e super Lavoro. Giorgetti sarà il nuovo Gianni Letta Con il trolley è venuto e con il trolley se ne andrà, non senza aver fatto un po' di turismo a Montecitorio, con una visita privata all'aula della Camera. Carlo Cottarelli, ieri sera alle 19.30 è andato al Quirinale per rimettere il mandato, dopo un colloquio informale alle 18, proprio mentre Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini mettevano a punto la lista del governo gialloblù. In coppia con l'uomo del Colle, l'economista del Fondo monetario archivia con la remissione del mandato un'avventura capace di bruciare 125 punti di spread: il differenziale dei titoli italiani con quelli tedeschi era a 178 giovedì 24, quando il governo Conte sembrava sicuro, e ha toccato quota 303 quando Mattarella sembrava intenzionato a mandare Cottarelli allo sbaraglio anche se perfino il Pd parlava di elezioni subito. Non male come «tutela del risparmio degli italiani». Ieri, man mano che la paura per la morsa dei mercati calava, anche al Quirinale si faceva strada un minimo imbarazzo per come la mossa Cottarelli «non è stata evidentemente compresa». Mattarella, dicono fonti dello stesso Pd, sarebbe rimasto sorpreso dal voltafaccia del suo ex partito rispetto a mister spending review, ma non si pente manco un po' di aver sbarrato il portone di via XX Settembre a Paolo Savona. In ogni caso, ieri mattina ha avuto un incontro (sempre «informale», per carità) con Cottarelli, per aggiornarlo delle novità e tenerlo caldo, nel caso leghisti e grillini avessero litigato di nuovo. Ma i leader dei due partiti usciti semi-vincitori dalle elezioni di domenica 4 marzo hanno imparato la lezione e si sono fatti furbi. «Problemi su qualche ministro suggerito dal Colle o da Bankitalia? No problem, intanto partiamo con il governo, che tanto i singoli ministri si possono sempre sfiduciare appena sgarrano», spiega uno dei vertici del Carroccio. Il discorso, tanto per non far nomi, vale innanzitutto per l'economista Giovanni Tria, preside di Bernardo Mattarella (figlio) alla Scuola della pubblica amministrazione, e in passato consigliere di Giuliano Amato al Tesoro e di Lamberto Dini agli Esteri per la cooperazione internazionale. Ma vale anche per Enzo Moavero Milanesi, spostato dagli Affari europei alla Farnesina, ed espressione purissima di quello che Lega e M5s chiamano un po' spregiativamente establishment. Del resto, indiscrezioni di area grillina sostengono che il capo dello Stato, su probabile consiglio di Mario Draghi e del governatore Ignazio Visco, abbia fatto arrivare nomi come Pierluigi Ciocca e Salvatore Rossi, che però sarebbero stati bocciati proprio in quanto di scuola Bankitalia, giudicata da Lega e 5 stelle non esattamente una garanzia in fatto di «tutela dei risparmiatori». Ma il capo dello Stato, con il suo Cottarelli appeso agli eventi come un altro campione della Troika, ovvero il premier spagnolo Mariano Rajoy, ha anche voluto sondare il presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Anche con lei «incontro informale» di buon mattino, nel corso del quale l'ex collega dell'avvocato Niccolò Ghedini e il capo dello Stato hanno parlato anche di numeri, sempre «informalmente». La maggioranza gialloblù al Senato ha solo sei seggi di vantaggio e quindi chissà se Fratelli d'Italia potrebbe aggiungere 14 voti. E poi c'è da capire se Silvio Berlusconi farà un'opposizione feroce, oppure sarà pronto a votare qualche fiducia qua e là, su punti che in fondo erano nel programma del centrodestra. A parte lo spostamento di Savona al posto di Moavero Milanesi, la lista dei ministri annunciata da Di Maio domenica sera non dovrebbe subire grandi modifiche. I due leader, Salvini e Di Maio, saranno vicepremier con il secondo che avrà il ministero dello Sviluppo economico unificato con il Lavoro, mentre il leghista andrà al Viminale. Il post-padano Giancarlo Giorgetti dovrebbe andare a Palazzo Chigi, a cercare di non far rimpiangere Gianni Letta, mentre Riccardo Fraccaro (M5s) sarà ministro ai Rapporti col Parlamento e democrazia diretta. Alla Funzione pubblica, al posto della Madia, è pronta la leghista Giulia Bongiorno, mentre alla Giustizia andrà Alfonso Bonafede. All'Ambiente il generale Sergio Costa. Alla Difesa, nella speranza di imbarcare qualche Fratello d'Italia come viceministro, si siederà Elisabetta Trenta in quota M5s. Mentre a Infrastrutture e trasporti ecco Danilo Toninelli, sempre in quota M5s. Il provveditore di Milano, Marco Bussetti, alla Scuola. Mentre la grillina Giulia Grillo va verso la Sanità con Lorenzo Fontana alla Disabilità. Ministro per il Sud sarà la grillina Barbara Lezzi, alla Cultura Roberto Bonisoli. Francesco Bonazzi <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/governo-conte-tria-toninelli-2574017731.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="cosi-e-fallito-lultimo-assalto-al-professore" data-post-id="2574017731" data-published-at="1758019776" data-use-pagination="False"> Così è fallito l’ultimo assalto al professore Anche se avverte che a 82 anni il suo posto è nell'amato orto, fra la salvia e le verze, Paolo Savona ha deciso di godersi lo spettacolo e accetterà le Politiche comunitarie. Si toglierà lo sfizio di piantare le tende a Bruxelles dove lo detestano e di chiedere la parola per mettere in imbarazzo i nani della moneta unica. Una bella sfida a Sergio Mattarella. Una vendetta sottile, anche se quello è un ministero di seconda fila; roba da Valdo Spini o Rocco Buttiglione. Come suonare l'oboe quando hai dentro di te la genialità del primo violino. In sua vece, davanti ad Angela Merkel, andrà Giovanni Tria, che sta su posizioni molto vicine - su euro e Quarto Reich - a quelle del magister sardo che da una settimana stiamo scambiando per Dracula. L'accanimento violento e livoroso con cui i giornaloni italiani si stanno scagliando contro Savona da domenica scorsa è pari solo alle monetine per Bettino Craxi, al tiro al bersaglio al Silvio Berlusconi del 1994 e alla demolizione dell'arbitro Byron Moreno che ci cacciò dai mondiali coreani (lì almeno c'era un motivo). L'ex ministro del governo di Carlo Azeglio Ciampi, ex dirigente di Bankitalia, membro dell'Ocse, mente sopraffina chiamata a stilare trattati internazionali e molto altro, ha commesso due errori imperdonabili per i numerosi cani lupo con i canini affilati che lo stanno inseguendo nonostante lo spread sia tornato a cuccia: ha sollevato legittime obiezioni sulla solidità dell'euro in alcuni dei suoi 39 libri, scritti senza la prefazione di Walter Veltroni. E ha osato guardare negli occhi, senza abbassare i suoi, il presidente della Repubblica che gli ordinava di togliersi di torno per non irritare gli euromonarchi del nostro destino. Non fare il servo, nel mainstream mediatico, è considerato qualcosa di inaudito, un'imperdonabile leggerezza che lui sta duramente pagando. Dopo essere stato accusato di favorire la bancarotta del Paese e di sobillare la Troika per creare un effetto Grecia, ecco l'inevitabile salto di qualità: le insinuazioni personali. Così ieri il Corriere della Sera (per rimanere in vantaggio su Repubblica e La Stampa, dove la nostalgia del renzismo è lancinante) ha pubblicato una mail inoltrata alla redazione da uno pseudo amico di Savona incline alla delazione, nella quale il professore avrebbe scritto qualcosa di terribile come «Il mio silenzio sdegnoso li offende più di una risposta. Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta». Ma questo è il meno. Lo scoop più eccitante è quello che Luigi Di Maio avrebbe riferito a Carlo Cottarelli al bar: Savona è iscritto alla massoneria americana. Senza virgolette perché ormai si pubblica anche il sospiro incerto del pastore errante. La pratica ha pure un nome, si chiama «battuta rubata». Ovviamente un politico in astinenza da rissa, per esempio il deputato del Pd Michele Anzaldi, lo si trova sempre. E parte il circo. «Se fosse confermato, Di Maio e il Movimento 5 stelle accetterebbero che l'economista venga nominato ministro? Se è l'ennesima bufala, perché Di Maio non smentisce?». I social sono meravigliosi ventilatori e infatti il professore si ritrova l'hashtag #Savonamassone. Ammesso che lo sia, potremmo divertirci a contare (anche fra i giornalisti di successo) quelli che non lo sono stati o non lo sono. Savona ha tenuto il punto con il capo dello Stato, ha criticato la Germania bulimica che domina il gioco monetario e lo hanno massacrato neanche fosse il terrorista Cesare Battisti quando sputa sull'Italia. Poco importa che un premio Nobel dell'Economia come Paul Krugman gli abbia dato ragione («È veramente orribile escludere dal potere i partiti populisti che hanno vinto perché vogliono un ministro delle finanze euroscettico. La fede nella moneta unica supera la democrazia?»). È del tutto marginale che da destra a sinistra ci si stupisca delle manganellate all'economista, come fa Stefano Fassina, non certo sospettabile di leghismo: «Milioni di italiani delle fasce deboli hanno votato M5s al Sud e Lega al Nord. Savona è una persona autorevole e competente, è l'uomo giusto per forzare le regole europee. E in più conosce anche i nostri limiti e i nostri pregi». Le fauci restano aperte, i guardiani delle élites hanno il loro nemico da sbranare. Poiché al terzo «Piano B» per l'uscita dall'euro un venerdì notte (ma c'è qualcuno che ci crede?), la noia sta cominciando a travolgere il lettore, anticipiamo due sviluppi che potrebbero affiancare le «battute rubate» di chi peraltro gronda deontologia: la scoperta di una Gladio economica organizzata dai servizi deviati nei caveau di Bankitalia e la pubblicazione di una foto sbiadita del professore a sei anni, vestito da balilla con il fez. Quella ci manca. Ieri, prima di derubricarsi da primo violino a oboe con una certa vendicativa perfidia, Paolo Savona ha voluto rassicurare i pochi che lo ascoltano: «Non c'è alcuna possibilità di default del debito pubblico italiano. Lo devono capire». Ma non lo capiranno, caro professore. Le rape ideologiche contengono anche meno sangue di quelle che lei coltiva nell'orto. Giorgio Gandola <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/governo-conte-tria-toninelli-2574017731.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="cottarelli-se-le-presa-nel-trolley-puo-tornare-a-godersi-la-pensione" data-post-id="2574017731" data-published-at="1758019776" data-use-pagination="False"> Cottarelli se l’è presa nel trolley, può tornare a godersi la pensione Nella frenetica escalation di vertici, impegni annullati, meeting, abboccamenti e incontri di ieri, c'era qualcuno che non sapeva come passare il tempo. Si consumava nell'attesa. Non aveva nulla da fare, se non aspettare che il Quirinale decidesse il suo destino e soprattutto quello del governo da lui diligentemente confezionato. Questo fino al tardo pomeriggio, quando Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno annunciato di aver trovato «le condizioni per un governo politico», rendendo di fatto il suo esecutivo tecnico perfettamente inutile. Quest'uomo si chiama Carlo Cottarelli, che per quattro giorni è rimasto virtualmente sulla soglia di Palazzo Chigi e ieri ha scoperto di poter a tornare serenamente ai suoi studi economici e all'Osservatorio conti pubblici dell'Università Cattolica. Alle 19.30, convocato, si è recato al Colle per l'ultima volta in questa lunga crisi post-elettorale e ha rimesso il mandato ricevuto da Sergio Mattarella. Anche ieri è rimasto relegato dietro le quinte, nonostante avesse pronta da giorni la lista dei ministri per un esecutivo «neutrale». Alle 18 era già salito al Colle per un «colloquio informale» con il capo dello Stato, l'ennesimo di questi ultimi giorni, d'altronde si trattava pur sempre del presidente del Consiglio incaricato e qualcosa bisognava dirgli. Un incontro durato soltanto pochi minuti. Quindi come ha impiegato il resto della giornata? In spasmodica attesa che squillasse il telefono? Sperando che Di Maio e Salvini si decidessero finalmente a governare? Oppure augurandosi il contrario? Tali dubbi e pensieri devono aver affollato per tutto il giorno la testa dell'ex commissario alla spending review. Lunghe ore trascorse a immaginare i possibili scenari, a tessere contromisure per arginare lo spread. Cottarelli tuttavia non poteva sprecare mattinata e pomeriggio recluso nel suo ufficio, appositamente allestito al primo piano di Montecitorio, a rigirarsi i pollici. Infatti, come un turista qualsiasi, ne ha approfittato per visitare l'aula della Camera, seguendo con attenzione le spiegazioni dei commessi. Ha ascoltato con interesse la lunga storia del palazzo, da quando nel 1653 Innocenzo X lo commissionò a Gian Lorenzo Bernini come residenza per la famiglia Ludovisi. Il premier incaricato è stato quindi ancora avvistato in Transatlantico mentre iniziava proprio il faccia a faccia tra Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. Quindi è stato visto percorrere velocemente il cosiddetto Corridoio dei passi perduti, il cui nome ben si accompagnava con lo smarrimento di Cottarelli. Poi è sparito dietro le porte del suo studio, in Sala dei busti. Sempre con lo stesso pensiero a brulicare in testa: potrò presentare la sua squadra dei ministri oppure dovrò cedere il passo definitivamente a Giuseppe Conte? I suoi sostenitori erano rimasti pochissimi. Anche lo stesso Partito democratico, che ora lo invoca come possibile, ennesimo, leader, aveva iniziato a invocare le elezioni appena dopo l'estate. E nessuno pareva disposto a votare la fiducia a un suo sempre più improbabile e barcollante governo. A sorreggerlo restava però la moglie, con la quale ieri ha avuto un intenso scambio di telefonate. Forse anche perché non sapeva chi chiamare. Lei si chiama Miria Pigato e lavora, come il marito, nel mondo della finanza e dei grandi numeri. È infatti una practice manager alla Banca mondiale ed è sempre stata convinta, fino all'ultimo, che il suo consorte avrebbe potuto fare bene a Palazzo Chigi. La Pigato, che ha vissuto per 25 anni a Washington, si diceva sicura del ruolo benefico che avrebbe potuto ricoprire il suo Carlo nella razionalizzazione dei conti pubblici italiani. Non a caso Cottarelli è stato soprannominato «Mister forbici». Ma per questa volta le famigerate forbici sono rimaste nel cassetto, poiché il premier incaricato non è mai potuto uscire dal «parcheggio» in cui lo aveva relegato il presidente Sergio Mattarella. Aspettando che Lega e 5 stelle facessero i giochi che gli elettori li hanno chiamati a fare. L'interminabile giornata turistica di Cottarelli alla Camera si è chiusa precipitosamente nel giro di pochi minuti. Alle 19.30 l'ingresso nel Palazzo del Quirinale. Alle 19.40 il segretario della presidenza della Repubblica Ugo Zampetti annunciava che lo sforzo di Mister forbici «non risulta più necessario». Cinque minuti dopo è stato lo stesso (ormai ex) premier incaricato a confermare ai giornalisti di aver rimesso il mandato nelle mani di Mattarella: «È stato per me un grande onore lavorare al servizio del Paese, anche se soltanto per qualche giorno. Ringrazio le persone che si erano rese disponibili a entrare in tale governo e i dipendenti della Camera». Cottarelli ha ammesso che «la formazione di un governo politico è di gran lunga la soluzione migliore per il Paese. Esprimo i miei auguri di cuore al governo che spero sia formato al più presto». A parte la gita tra gli stucchi di Montecitorio, le telefonate a vuoto e l'applauso dei giornalisti al suo «grazie, e scusatemi se sono stato un po' silenzioso con voi», di questa giornata noiosa e frenetica Cottarelli si porta a casa il ringraziamento da parte del capo dello Stato per «l'impegno, la serietà e il senso delle istituzioni che ha dimostrato nello svolgimento del compito affidatogli». Incarico che secondo molti, e forse anche secondo lo stesso Mattarella, era destinato a finire così. Pazienza, Mister forbici saprà consolarsi con la pensione d'oro del Fmi. Alfredo Arduino
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.