2019-04-05
«Fedez ci attacca? È troppo ricco per capire i bisogni degli italiani»
Diversi giorni dopo la chiusura dei battenti dell'evento scaligero, quindi, quanto detto a Verona continua ad animare il dibattito. Jacopo Coghe: «Caro Fedez vuole metterci nei nuovi campi di concentramento e dire che i bambini nascono da uomo con uomo e donna con donna?».Negli Usa si discute dell'Equality Act, nuova legge per difendere i diritti gender. Le attiviste radicali insorgono: «Dovremo dividere bagni e spogliatoi con i maschi».Il governo fa scomparire dai documenti la dicitura generica «genitori» malgrado il parere negativo del Garante Ma i gruppi omosessuali e Chiara Appendino danno battaglia: «Ricorriamo al Tar».Lo speciale contiene tre articoli«È contro natura credere in un uomo che cammina sull'acqua e resuscita»: così il cantante rapper Fedez con un post su Instragam attacca il congresso di Verona. Jacopo Coghe, vice presidente del Wcf, però non ci sta, e commenta così sul social le accuse rivolte alle famiglie: «Caro Fedez vuole metterci nei nuovi campi di concentramento e dire che i bambini nascono da uomo con uomo e donna con donna? Noi vogliamo aiuti alla famiglia naturale, ma lei è troppo ricco per capirlo forse». Diversi giorni dopo la chiusura dei battenti dell'evento scaligero, quindi, quanto detto a Verona continua ad animare il dibattito. Non solo in senso negativo, come scrive il presidente del Family Day Massimo Gandolfini: «Ci fa piacere che a parlare di questi temi siano ora tanti personaggi del mondo politico e della società civile che sono stati invitati a Verona e che non ci hanno degnato nemmeno di una risposta, usando persino sgradevoli definizioni nei nostri confronti». Insomma, «il tema della promozione economica e culturale della famiglia torna nell'agenda politica. Adesso ci aspettiamo che le riflessioni e le proposte accolte dalla politica si tramutino in fatti». Anche Luigi Di Maio ha più volte annunciato la messa a punto di una serie di iniziative tese a sostenere le nascite, non ultimo al question time di ieri in Senato. Sempre ieri a Mattino Cinque il vice premier ha confermato l'aumento del bonus baby sitting a 1500 euro e che nei prossimi mesi sarà approvato un provvedimento che prevede il 50% di sconto sui pannolini e sugli asilo nido. Ma il vicepremier è anche tornato anche ad agitare i soliti stereotipi contro i partecipanti dell'evento di Verona: «Lì c'erano persone che sostenevano che per aiutare la famiglia la donna deve stare a casa». «Di Maio ci diffama ancora», hanno risposto Toni Brandi e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente del congresso.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fedez-ci-attacca-e-troppo-ricco-per-capire-i-bisogni-degli-italiani-2633721716.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-rivolta-delle-femministe-i-trans-non-sono-donne" data-post-id="2633721716" data-published-at="1760517878" data-use-pagination="False"> La rivolta delle femministe «I trans non sono donne» Da tempo negli Stati Uniti si discute dell'Equality Act, ovvero la norma che dovrebbe emendare il Civil Rights Act al fine di garantire maggiori tutele contro le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere. A favore dell'Equality Act si sono schierati circa 300 esponenti del Partito democratico, alcuni repubblicani e una marea di celebrità, tra cui Hillary Clinton, Barack Obama e i vertici di varie multinazionali come Facebook, Google, Nike e Apple. Ovviamente, secondo gli attivisti Lgbt questa norma rappresenta un fondamentale progresso, in particolare per le persone transgender. L'Equality Act, infatti, almeno sulla carta, garantisce uguale trattamento sul lavoro, nei rapporti con il sistema bancario e in numerosi altri settori. Dietro la patina dei diritti, tuttavia, si nasconde al solito una bella quantità di ideologia. A notarlo non sono stati soltanto i conservatori e i fedelissimi di Donald Trump, ma pure alcune esponenti dell'universo progressista, in particolare le femministe. Negli ultimi mesi hanno preso la parola per spiegare che l'Equality Act, con la scusa di difendere i trans, discrimina le donne. Martedì, a Washington, presso l'apposito comitato istituito dal Congresso degli Stati Uniti, sono iniziate le audizioni sull'Equality Act, in vista del voto parlamentare previsto per l'estate. Ad esprimere la sua opinione, tra gli altri, è stata Julia Beck, nota attivista femminista e lesbica. La signora - una democratica - è diventata famosa per la sua intemerata contro uno stupratore transgender. La Beck disse che il violentatore, benché si definisse donna, era a tutti gli effetti un uomo. Affermazione più che condivisibile, ma che verrebbe sanzionata se l'Equality Act fosse approvato. La legge, infatti, prevede che sia punito il «misgendering»: chiamando «lui» un maschio che si definisce una «lei», si rischia grosso. Per ragioni come questa le femministe si oppongono alla nuova legge: perché di fatto mette donne e trans sullo stesso piano, trasformando la femminilità in un'opinione o, al massimo, un sentimento. Se l'Equality Act fosse approvato, ha detto la Beck al Congresso, «gli stupratori maschi andranno nelle prigioni delle donne e probabilmente assaliranno le detenute come è già accaduto nel Regno Unito; le donne sopravvissute allo stupro non saranno in grado di contestare la presenza maschile nei rifugi per le donne; gli uomini domineranno lo sport delle donne - alle ragazze che si sarebbero aggiudicate il primo posto saranno negate le opportunità scolastiche». E non è tutto: «Le donne che usano pronomi maschili per parlare di uomini possono essere arrestate, multate e bandite dalle piattaforme dei social media», ha proseguito la Beck. «Tutto quello che ho appena elencato sta già accadendo e peggiorerà se l'identità di genere verrà riconosciuta dalla legge federale». Per questo l'attivista ha esortato «i colleghi democratici a svegliarsi. Per favore, riconoscete la realtà biologica». Sono parole stupefacenti, tanto più se si considera che provengono da una donna di estrema sinistra. La Beck, però, non è la sola a pensarla così. Opinioni molto simili ha espresso Kara Dansky, attivista del Women's Liberation Front. Secondo costei, «l'Equality Act, che a parole sembra bello e buono, rappresenta un disastro totale per donne e ragazze». A darle man forte ci ha pensato Jennifer Chavez, altra militante del Wlf. Durante un convegno organizzato alla fine di gennaio, la Dansky e la Chavez hanno condiviso il palco con Hacsi Horvath, studioso di epidemiologia nato uomo e diventato donna qualche anno fa. Horvath ha sposato la causa delle femministe e ha spiegato che molte persone hanno paura di criticare il movimento che supporta l'Equality Act per paura di ripercussioni. «Ci si aspetta che tutti lo approvino perché nessuno vuole essere un bigotto», ha detto Horvath. Qualcuno, per fortuna, le ripercussioni non le teme. Ad esempio Abigail Shrier, scrittrice, anche lei attivista per i diritti delle donne. Pochi giorni fa, sul Wall Street Journal, ha scritto un editoriale di fuoco intitolato «La guerra dei transgender contro le donne». Secondo la Shrier, «l'Equality Act mette a rischio la sicurezza femminile nei bagni, negli spogliatoi e persino nei rifugi per la violenza domestica». A suo dire, «tutti i maschi biologici che si autoidentificano come femmine, in base all'Equality Act, avranno il diritto legale di entrare nei bagni delle donne, negli spogliatoi e nelle strutture di protezione come i ricoveri per donne maltrattate. Tutto ciò rappresenta una minaccia fisica immediata per le donne». Al di là dei dettagli della legge, quel che dicono le femministe è piuttosto chiaro e netto. Il punto è che non basta dichiarare di essere una donna per diventarlo. Annullare la differenza sessuale non è «un diritto», ma un danno, sia per i maschi che per le femmine. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fedez-ci-attacca-e-troppo-ricco-per-capire-i-bisogni-degli-italiani-2633721716.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="sulle-carte-didentita-dei-minori-ritornano-il-padre-e-la-madre" data-post-id="2633721716" data-published-at="1760517878" data-use-pagination="False"> Sulle carte d’identità dei minori ritornano il padre e la madre In una situazione normale non farebbe neanche notizia: sulla carta d'identità dei minorenni ci sarà la dicitura «madre» e «padre». Di questi tempi, tuttavia, è anche per queste minuzie che passano battaglie simboliche tutte politiche. E questa, di battaglia, è da sempre cara a Matteo Salvini, che già lo scorso agosto aveva annunciato di voler intervenire sulla questione: «La settimana scorsa mi è stato segnalato che sul sito del ministero dell'Interno, sui moduli per la carta d'identità elettronica c'erano “genitore 1" e “genitore 2". Ho fatto subito modificare il sito ripristinando la definizione “madre" e “padre". È una piccola cosa, un piccolo segnale, però è certo che farò tutto quello che è possibile al ministro dell'Interno e che comunque è previsto dalla Costituzione». Quel proponimento ora è diventato realtà: il provvedimento è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e la notizia è stata data dal Viminale. Il tutto con buona pace del Garante della privacy, Antonello Soro, che a suo tempo aveva lamentato i possibili «effetti discriminatori» della riforma, beccandosi questa risposta dal leader leghista: «Noi andiamo avanti, non esiste privacy che neghi il diritto a un bimbo di avere una mamma e un papà». Il decreto è stato firmato dal ministero dell'Interno, da quello della Pubblica amministrazione e da quello dell'Economia: porta la data del 31 gennaio 2019. Il provvedimento modifica il testo del decreto del 23 dicembre 2015, con il quale si introduceva la dicitura «genitori». La nuova norma prevede la sostituzione del termine «genitori» con «padre» e «madre» ogni qual volta appaia nel decreto che predispone le «modalità tecniche di emissione della carta d'identità elettronica». Il ministro dell'Interno ha subito incassato il plauso del collega Lorenzo Fontana: «Bravo Matteo sulle cose giuste si va avanti!». Diverse, invece, le reazioni dell'alleato di governo grillino. Chiamato in causa su Twitter da Torino Pride, il sindaco Chiara Appendino ha scritto: «Come ho sempre detto, penso che sia un passo indietro rispetto ai tanti in avanti che sono stati fatti in questi anni a Torino in tema di diritti. Stiamo cercando di capire quali siano i margini a disposizione per intervenire». Chi dichiara di voler subito replicare al provvedimento è anche Famiglie Arcobaleno, l'associazione dei genitori omosessuali, che annuncia di voler impugnare il decreto al Tar, ritenendolo «palesemente illegittimo e discriminatorio perché non permette di far coincidere lo status documentale con quello legale dei bambini e delle bambine che già oggi - attraverso trascrizioni di atti esteri o che sono stati adottati dal compagno o dalla compagna del genitore biologico grazie all'art. 44, lett d (adozione in casi particolari) - sono riconosciuti figli e figlie di due padri e due madri e di quelli che invece verranno riconosciuti in futuro». Secondo Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie Arcobaleno che firma la nota, «l'illegittimità del decreto è palese in quanto un atto amministrativo non può contravvenire alle disposizioni di legge e alle sentenze dei Tribunali. La sua pubblicazione è quindi un atto di pura propaganda politica». Il governo, ha aggiunto, «non aiuta le famiglie italiane ma perde tempo con puri atti propagandistici che hanno il solo effetto di rendere la vita di alcune cittadine e cittadini più difficili, spargendo odio e divisione in un Paese piegato in due da una crisi economica devastante le cui conseguenze - conclude la nota - pesano sulle vite di noi tutte e noi tutti». M. Gue.
Il valico di Rafah (Getty Images)
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