Acquista qui la prima graphic novel sull'invasione.
La pioggia, le urla, il machete brandito contro nemici immaginari che potrebbero però diventare delle vittime sin troppo reali. Sembra la copertina di Adam, la prima graphic novel sull'invasione, scritta da Francesco Borgonovo, e invece è l'inquietante realtà. Ieri, a Fermo, un uomo di colore si aggirava per le strade della città brandendo un machete, seminando il terrore tra automobilisti e studenti all'uscita di scuola. Dopo una caccia all'uomo durata qualche ora, l'immigrato di origine nigeriana è stato arrestato al Lido di Fermo. «Si tratta di un irregolare non inserito in programmi di accoglienza e già raggiunto da provvedimento di espulsione», ha commentato il sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro.
Il fatto è decisamente allarmante e dovrebbe indurre le persone di buon senso ad archiviare una certa aria di supponenza relativa a certe tematiche per aprire gli occhi di fronte alla realtà. Purtroppo, però, non è così.
Nelle stesse ore in cui un africano agitava un coltellaccio per le vie di Fermo, infatti, 400 chilometri più a Nord, a Verona, la sinistra insorgeva proprio contro la presentazione di Adam.
Parliamo dell'evento «Le bugie sull'immigrazione», convegno organizzato dalle associazioni Nomos e Dex, con il patrocinio del Comune di Verona e la sponsorizzazione della Serit, l'azienda per i servizi di igiene ambientale partecipata dal Comune.
Tra gli ospiti, anche il vicedirettore della Verità, Francesco Borgonovo, che presenterà il fumetto edito da Ferrogallico e acquistabile sul sito ecommercelaverita.info al costo di 20 euro (5.90 per la versione ebook). Una graphic novel che probabilmente nessuno di coloro che hanno attaccato la conferenza ha letto, ma il cui solo titolo è bastato per suscitare il putiferio. Anche perché stasera, alle 21, al Circolo ufficiali di Castelvecchio, interverrà per un saluto anche il sindaco di Verona, Federico Sboarina.
«Inaccettabile che il sindaco dia il patrocinio del Comune e porti i saluti istituzionali a un convegno di propaganda xenofoba», affermano in una nota i consiglieri comunali veronesi del Pd, Federico Benini, Elisa La Paglia e Stefano Vallani, insieme con i segretari provinciale e cittadino, Maurizio Facincani e Luigi Ugoli. «Abbiamo perso il conto delle iniziative di estrema destra sponsorizzate dalle nostre istituzioni», sottolinea sottolinea una nota dell'associazione Verona 17 dicembre.
Il consigliere comunale e leader di Traguardi Tommaso Ferrari non è da meno: «La maggioranza con la benedizione (e la partecipazione stessa del sindaco) ad un evento di chiaro stampo razzista si strappa le finte vesti da moderata e si mostra per quello che è: ostaggio dell'estrema destra». Il «chiaro stampo», ovviamente, così chiaro non è e andrebbe quanto meno documentato: in che modo la conferenza proporrebbe una gerarchizzazione delle razze o un invito alla discriminazione? Non si sa.
Michele Bertucco, consigliere comunale di Verona e Sinistra in Comune, prova a uscire dalla vaghezza e porta anche elementi concreti a supporto della propria indignazione: la copertina di Adam (ma non il contenuto, ci mancherebbe). «Basta guardare alla copertina di uno dei libri che con cui venerdì Bacciga, Mariotti e Sboarina vorrebbero parlare di immigrazione ai veronesi: un uomo dagli inequivocabili tratti somatici che impugna un machete insanguinato… Con ogni evidenza siamo di fronte all'ennesima iniziativa patacca di questo ormai logoro trio di politicanti», tuona. E se tutto questo è deducibile da una copertina, perché sforzarsi di aprirli pure, i libri?
I due nomi citati da Bertucco accanto a quello del primo cittadino sono quelli di Massimo Mariotti, presidente di Serit, e del consigliere comunale, nonché presidente di Nomos, Andrea Bacciga. Quest'ultimo, contattato dalla Verità, spiega: «È una polemica paradossale e fuori luogo, scoppiata unicamente per il titolo che abbiamo scelto. Evidentemente l'immigrazione è un argomento tabù».
Circa i soldi pubblici con cui è stato finanziato l'evento (in cui interverrà anche Francesca Totolo, presentando il suo libro Inferno Spa, edito da Altaforte), Bacciga dichiara: «Il Comune, di per sé, non ci ha dato nulla. Abbiamo avuto un contributo di 500 euro dalla muncipalizzata Serit, che peraltro sponsorizza decine di eventi culturali. Faccio presente che solo la sala ci è costata 400 euro, quindi il contributo di Serit non ha nemmeno coperto tutte le spese, il resto dei soldi ce li abbiamo messi come sempre di tasca nostra. Si dice spesso che la cultura non abbia sostegno da parte delle istituzioni, e poi, per una volta che arriva un contributo minimo, scoppia questa bufera...». In effetti l'aggravio sulle casse pubbliche della conferenza di stasera appare davvero minimo. Soprattutto se confrontato con i finanziamenti a pioggia di ben altra entità concessi un po' in tutta Italia a iniziative militanti di tutt'altro segno: si vedano, solo per fare un esempio, i 100.000 euro versati dalla Regione Emilia Romagna al festival Gender Bender, di cui ieri La Verità ha dato conto.
Ma i luoghi comuni Lgbt sono sempre i benvenuti, le verità scomode sull'immigrazione no. Fino a che non sono loro a bussare alla porta, come accaduto ieri a Fermo.
- Diversi giorni dopo la chiusura dei battenti dell'evento scaligero, quindi, quanto detto a Verona continua ad animare il dibattito. Jacopo Coghe: «Caro Fedez vuole metterci nei nuovi campi di concentramento e dire che i bambini nascono da uomo con uomo e donna con donna?».
- Negli Usa si discute dell'Equality Act, nuova legge per difendere i diritti gender. Le attiviste radicali insorgono: «Dovremo dividere bagni e spogliatoi con i maschi».
- Il governo fa scomparire dai documenti la dicitura generica «genitori» malgrado il parere negativo del Garante Ma i gruppi omosessuali e Chiara Appendino danno battaglia: «Ricorriamo al Tar».
Lo speciale contiene tre articoli
«È contro natura credere in un uomo che cammina sull'acqua e resuscita»: così il cantante rapper Fedez con un post su Instragam attacca il congresso di Verona. Jacopo Coghe, vice presidente del Wcf, però non ci sta, e commenta così sul social le accuse rivolte alle famiglie: «Caro Fedez vuole metterci nei nuovi campi di concentramento e dire che i bambini nascono da uomo con uomo e donna con donna? Noi vogliamo aiuti alla famiglia naturale, ma lei è troppo ricco per capirlo forse». Diversi giorni dopo la chiusura dei battenti dell'evento scaligero, quindi, quanto detto a Verona continua ad animare il dibattito.
Non solo in senso negativo, come scrive il presidente del Family Day Massimo Gandolfini: «Ci fa piacere che a parlare di questi temi siano ora tanti personaggi del mondo politico e della società civile che sono stati invitati a Verona e che non ci hanno degnato nemmeno di una risposta, usando persino sgradevoli definizioni nei nostri confronti». Insomma, «il tema della promozione economica e culturale della famiglia torna nell'agenda politica. Adesso ci aspettiamo che le riflessioni e le proposte accolte dalla politica si tramutino in fatti».
Anche Luigi Di Maio ha più volte annunciato la messa a punto di una serie di iniziative tese a sostenere le nascite, non ultimo al question time di ieri in Senato. Sempre ieri a Mattino Cinque il vice premier ha confermato l'aumento del bonus baby sitting a 1500 euro e che nei prossimi mesi sarà approvato un provvedimento che prevede il 50% di sconto sui pannolini e sugli asilo nido. Ma il vicepremier è anche tornato anche ad agitare i soliti stereotipi contro i partecipanti dell'evento di Verona: «Lì c'erano persone che sostenevano che per aiutare la famiglia la donna deve stare a casa». «Di Maio ci diffama ancora», hanno risposto Toni Brandi e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente del congresso.
La rivolta delle femministe «I trans non sono donne»
Da tempo negli Stati Uniti si discute dell'Equality Act, ovvero la norma che dovrebbe emendare il Civil Rights Act al fine di garantire maggiori tutele contro le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere. A favore dell'Equality Act si sono schierati circa 300 esponenti del Partito democratico, alcuni repubblicani e una marea di celebrità, tra cui Hillary Clinton, Barack Obama e i vertici di varie multinazionali come Facebook, Google, Nike e Apple. Ovviamente, secondo gli attivisti Lgbt questa norma rappresenta un fondamentale progresso, in particolare per le persone transgender. L'Equality Act, infatti, almeno sulla carta, garantisce uguale trattamento sul lavoro, nei rapporti con il sistema bancario e in numerosi altri settori.
Dietro la patina dei diritti, tuttavia, si nasconde al solito una bella quantità di ideologia. A notarlo non sono stati soltanto i conservatori e i fedelissimi di Donald Trump, ma pure alcune esponenti dell'universo progressista, in particolare le femministe. Negli ultimi mesi hanno preso la parola per spiegare che l'Equality Act, con la scusa di difendere i trans, discrimina le donne.
Martedì, a Washington, presso l'apposito comitato istituito dal Congresso degli Stati Uniti, sono iniziate le audizioni sull'Equality Act, in vista del voto parlamentare previsto per l'estate. Ad esprimere la sua opinione, tra gli altri, è stata Julia Beck, nota attivista femminista e lesbica. La signora - una democratica - è diventata famosa per la sua intemerata contro uno stupratore transgender. La Beck disse che il violentatore, benché si definisse donna, era a tutti gli effetti un uomo. Affermazione più che condivisibile, ma che verrebbe sanzionata se l'Equality Act fosse approvato. La legge, infatti, prevede che sia punito il «misgendering»: chiamando «lui» un maschio che si definisce una «lei», si rischia grosso. Per ragioni come questa le femministe si oppongono alla nuova legge: perché di fatto mette donne e trans sullo stesso piano, trasformando la femminilità in un'opinione o, al massimo, un sentimento.
Se l'Equality Act fosse approvato, ha detto la Beck al Congresso, «gli stupratori maschi andranno nelle prigioni delle donne e probabilmente assaliranno le detenute come è già accaduto nel Regno Unito; le donne sopravvissute allo stupro non saranno in grado di contestare la presenza maschile nei rifugi per le donne; gli uomini domineranno lo sport delle donne - alle ragazze che si sarebbero aggiudicate il primo posto saranno negate le opportunità scolastiche».
E non è tutto: «Le donne che usano pronomi maschili per parlare di uomini possono essere arrestate, multate e bandite dalle piattaforme dei social media», ha proseguito la Beck. «Tutto quello che ho appena elencato sta già accadendo e peggiorerà se l'identità di genere verrà riconosciuta dalla legge federale». Per questo l'attivista ha esortato «i colleghi democratici a svegliarsi. Per favore, riconoscete la realtà biologica».
Sono parole stupefacenti, tanto più se si considera che provengono da una donna di estrema sinistra. La Beck, però, non è la sola a pensarla così. Opinioni molto simili ha espresso Kara Dansky, attivista del Women's Liberation Front. Secondo costei, «l'Equality Act, che a parole sembra bello e buono, rappresenta un disastro totale per donne e ragazze». A darle man forte ci ha pensato Jennifer Chavez, altra militante del Wlf. Durante un convegno organizzato alla fine di gennaio, la Dansky e la Chavez hanno condiviso il palco con Hacsi Horvath, studioso di epidemiologia nato uomo e diventato donna qualche anno fa. Horvath ha sposato la causa delle femministe e ha spiegato che molte persone hanno paura di criticare il movimento che supporta l'Equality Act per paura di ripercussioni. «Ci si aspetta che tutti lo approvino perché nessuno vuole essere un bigotto», ha detto Horvath.
Qualcuno, per fortuna, le ripercussioni non le teme. Ad esempio Abigail Shrier, scrittrice, anche lei attivista per i diritti delle donne. Pochi giorni fa, sul Wall Street Journal, ha scritto un editoriale di fuoco intitolato «La guerra dei transgender contro le donne». Secondo la Shrier, «l'Equality Act mette a rischio la sicurezza femminile nei bagni, negli spogliatoi e persino nei rifugi per la violenza domestica». A suo dire, «tutti i maschi biologici che si autoidentificano come femmine, in base all'Equality Act, avranno il diritto legale di entrare nei bagni delle donne, negli spogliatoi e nelle strutture di protezione come i ricoveri per donne maltrattate. Tutto ciò rappresenta una minaccia fisica immediata per le donne».
Al di là dei dettagli della legge, quel che dicono le femministe è piuttosto chiaro e netto. Il punto è che non basta dichiarare di essere una donna per diventarlo. Annullare la differenza sessuale non è «un diritto», ma un danno, sia per i maschi che per le femmine.
Sulle carte d’identità dei minori ritornano il padre e la madre
In una situazione normale non farebbe neanche notizia: sulla carta d'identità dei minorenni ci sarà la dicitura «madre» e «padre». Di questi tempi, tuttavia, è anche per queste minuzie che passano battaglie simboliche tutte politiche.
E questa, di battaglia, è da sempre cara a Matteo Salvini, che già lo scorso agosto aveva annunciato di voler intervenire sulla questione: «La settimana scorsa mi è stato segnalato che sul sito del ministero dell'Interno, sui moduli per la carta d'identità elettronica c'erano “genitore 1" e “genitore 2". Ho fatto subito modificare il sito ripristinando la definizione “madre" e “padre". È una piccola cosa, un piccolo segnale, però è certo che farò tutto quello che è possibile al ministro dell'Interno e che comunque è previsto dalla Costituzione».
Quel proponimento ora è diventato realtà: il provvedimento è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale e la notizia è stata data dal Viminale. Il tutto con buona pace del Garante della privacy, Antonello Soro, che a suo tempo aveva lamentato i possibili «effetti discriminatori» della riforma, beccandosi questa risposta dal leader leghista: «Noi andiamo avanti, non esiste privacy che neghi il diritto a un bimbo di avere una mamma e un papà».
Il decreto è stato firmato dal ministero dell'Interno, da quello della Pubblica amministrazione e da quello dell'Economia: porta la data del 31 gennaio 2019. Il provvedimento modifica il testo del decreto del 23 dicembre 2015, con il quale si introduceva la dicitura «genitori».
La nuova norma prevede la sostituzione del termine «genitori» con «padre» e «madre» ogni qual volta appaia nel decreto che predispone le «modalità tecniche di emissione della carta d'identità elettronica».
Il ministro dell'Interno ha subito incassato il plauso del collega Lorenzo Fontana: «Bravo Matteo sulle cose giuste si va avanti!». Diverse, invece, le reazioni dell'alleato di governo grillino. Chiamato in causa su Twitter da Torino Pride, il sindaco Chiara Appendino ha scritto: «Come ho sempre detto, penso che sia un passo indietro rispetto ai tanti in avanti che sono stati fatti in questi anni a Torino in tema di diritti. Stiamo cercando di capire quali siano i margini a disposizione per intervenire».
Chi dichiara di voler subito replicare al provvedimento è anche Famiglie Arcobaleno, l'associazione dei genitori omosessuali, che annuncia di voler impugnare il decreto al Tar, ritenendolo «palesemente illegittimo e discriminatorio perché non permette di far coincidere lo status documentale con quello legale dei bambini e delle bambine che già oggi - attraverso trascrizioni di atti esteri o che sono stati adottati dal compagno o dalla compagna del genitore biologico grazie all'art. 44, lett d (adozione in casi particolari) - sono riconosciuti figli e figlie di due padri e due madri e di quelli che invece verranno riconosciuti in futuro».
Secondo Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie Arcobaleno che firma la nota, «l'illegittimità del decreto è palese in quanto un atto amministrativo non può contravvenire alle disposizioni di legge e alle sentenze dei Tribunali. La sua pubblicazione è quindi un atto di pura propaganda politica». Il governo, ha aggiunto, «non aiuta le famiglie italiane ma perde tempo con puri atti propagandistici che hanno il solo effetto di rendere la vita di alcune cittadine e cittadini più difficili, spargendo odio e divisione in un Paese piegato in due da una crisi economica devastante le cui conseguenze - conclude la nota - pesano sulle vite di noi tutte e noi tutti».
M. Gue.
- La presunta aggressione durante un incontro con il sindaco. La Santa Sede: «Restiamo in attesa dei risultati delle indagini».
- Christian Masset, richiamato in patria dopo l'incontro tra i grillini e i gilet gialli, è tornato a Roma. Sergio Mattarella lo riceve e accetta l'invito di Emmanuel Macron. Luigi Di Maio: «Bentornato, incontriamoci».
Lo speciale contiene due articoli.
Doveva essere una serata formale di auguri, d' incontri diplomatici, d'affari e relazioni sociali, quella che il Comune di Parigi aveva organizzato lo scorso 17 gennaio all'Hotel de Ville.
E invece la consueta cerimonia degli auguri del sindaco alle autorità civili, diplomatiche e religiose si è trasformata in un incubo per un giovane funzionario della delegazione internazionale del municipio della capitale. Si è infatti trovato preso di mira dalle avance insistenti e dai palpeggiamenti di un sacerdote, addirittura il nunzio apostolico in Francia, monsignor Luigi Ventura, 74 anni, ora indagato dalla Procura della capitale per aggressione sessuale. Una situazione ancora da chiarire ma che si annuncia davvero terrificante se ha portato l'amministrazione comunale di Parigi a inoltrare qualche giorno dopo, il 24 gennaio, formale segnalazione all'autorità giudiziaria, che ora sta valutando il caso.
Una notizia che ha gelato la curia e il mondo delle nunziature. Monsignor Ventura, seppur non sia mai stato elevato cardinale nonostante ruolo ed età, copre sicuramente una posizione di primo piano, essendo appunto l'equivalente dell'ambasciatore dello stato di Città del Vaticano nello strategico paese d'Oltralpe. È l'uomo che collega i vertici della Francia e della comunità di vescovi e cardinali di quel Paese con i sacri palazzi. Che hanno reagito con imbarazzo e silenzio a questa notizia anticipata da Le Monde che non lesina dettagli. Tra l'altro, il monsignore avrebbe lasciato «cadere a più riprese la mano morta su un giovane uomo della delegazione».
Il fascicolo è ora sul tavolo del procuratore Remi Heitz che ha disposto l'immediata convocazione di diverse persone che hanno partecipato alla serata e che potrebbero rilevarsi dei testimoni decisivi sulle accuse contro il nunzio, in Francia ormai da dieci anni e che rappresenta Francesco a Parigi. Questo anche se la distanza tra monsignor Ventura e Bergoglio era già stata oggetto di più di un mormorio nei corridoi della curia romana, dove si sottolinea come il monsignore sia più legato al mondo dell'ex segretario di Stato, Angelo Sodano, oggi decano del collegio cardinalizio, ma storicamente eminenza grigia e punto di riferimento del mondo diplomatico della santa sede.
La vicenda fa da contraltare, per una sinistra coincidenza, a un altro momento di tensione nelle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, quando la Francia aveva dovuto ritirare la nomina ad ambasciatore presso la Santa Sede del diplomatico omosessuale Laurent Stefanini, dopo che, pur presentata ormai da anni, era stata accolta con un gelido silenzio dalla Santa Sede, equivalente nel linguaggio delle diplomazie a un secco rifiuto.
Stefanini, cattolico praticante, era quindi stato trasferito dal Vaticano all'Unesco. Il caso era finito sui giornali, dato che l'ambasciatore sarebbe stato non accettato per la sua omosessualità, dichiarata ma non ostentata. Francesco, in un incontro con lo stesso Stefanini, si era lamentato del metodo quasi impositivo adottato per la sua nomina da parte dell'Eliseo, che ne fece una bandiera mediatica di principio. Oggi il Santo Padre si trova a gestire una situazione opposta, questa sì imbarazzante. Se i fatti verranno accertati - e i tempi dell'indagine non si annunciano lunghi - significherebbe che il diplomatico ha aggredito il giovane, convinto che nessuno lo avrebbe denunciato, che tutti avrebbero fatto finta di niente. Una posizione che ben esprimerebbe un certo senso di impunità. Vero è che se si scorre la casistica del passato si trovano casi analoghi di sacerdoti in ruoli e gradi diversi che si sentivano talmente intoccabili da spingersi in atteggiamenti deprecabili persino alla luce del sole, rischiando conseguenze inimmaginabili. «La Santa Sede ha appreso a mezzo stampa che è stata avviata una inchiesta da parte delle autorità francesi nei confronti di mons. Luigi Ventura, nunzio apostolico a Parigi», ha dichiarato il direttore «ad interim» della sala stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, in risposta alle domande dei giornalisti. «La Santa Sede rimane in attesa del risultato delle indagini». E in sala stampa sono tornati a lavorare al summit di giovedì, quando arriveranno a Roma, convocati dal Papa, i presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo per affrontare il tema delicato degli abusi sessuali nella Chiesa e la tutela dei minori. Due storie ben distinte: un conto è l'ambito delle molestie (sempre allo stato presunte) omosessuali, cosa diversa sono i reati di pedofilia. E, forse, il punto di incontro di queste vicende va trovato nel crescente senso di intolleranza, dentro e fuori la Chiesa, che sta crescendo verso ogni violenza compiuta da sacerdoti. Un tempo i più tacevano, oggi quel muro d'omertà impenetrabile perde sempre più pezzi.
E non solo tra i laici (che non vanno più solo a lamentarsi dal vescovo se un parroco si comporta male, rischiando di vanificare il cambiamento) ma anche nella Chiesa. La «tolleranza zero» verso non solo la pedofilia e ogni forma di violenza ma anche verso chi protegge i preti pedofili e insabbia i casi, potrebbe esser ben colta dal summit di Francesco, dando un segnale concreto che tanti cattolici si attendono.
Macron ci rimanda l’ambasciatore
L'incidente diplomatico tra Italia e Francia, causato dalla visita dello stato maggiore grillino a una componente dei gilet gialli, sembra rientrato.
L'ambasciatore francese, Christian Masset, è infatti rientrato a Roma, da dove era stato richiamato il 7 febbraio scorso, proprio in polemica con lo sgarbo pentastellato. Una mossa che aveva fatto molto rumore perché, pur simbolica e priva di effetti reali sulle relazioni tra i due Paesi, non era mai stata attuata dal 1940, cioè dalla seconda guerra mondiale.
Masset è sbarcato ieri alle 15.30 all'aeroporto di Fiumicino con un aereo di linea. Da qualche giorno, il governo francese dava il suo ritorno per «imminente».
«Abbiamo sentito Matteo Salvini dire che non voleva una guerra con la Francia», ha detto il ministro francese per gli Affari europei, Nathalie Loiseau, «e abbiamo sentito Luigi Di Maio dire cose complicate, ma era stato lui a mettersi da solo in una situazione molto complicata. Credo che gli italiani abbiano bisogno della Francia, quindi lavoriamo insieme».
E ha aggiunto: «Il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha telefonato al presidente Emmanuel Macron, si sono parlati, hanno detto insieme fino a che punto è importante l'amicizia tra la Francia e l'Italia, a che punto i due paesi hanno bisogno uno dell'altro. Abbiamo anche ascoltato dei leader politici che si erano lasciati andare a parole o comportamenti francamente non amichevoli e inaccettabili, mostrare rammarico» ha aggiunto Loiseau.
La citazione di Mattarella non è casuale. E infatti ieri il presidente della Repubblica ha ricevuto al Quirinale Masset, che gli ha consegnato una lettera del presidente Macron di invito a compiere una visita di Stato in Francia. E Mattarella ha accettato.
Una schiarita che, in verità, rischiava di essere messa a repentaglio dalle dichiarazioni rilasciate fuori onda ai microfoni di Piazzapulita da Christophe Chalençon, il leader dei gilet gialli incontrato da Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista in Francia.
«Abbiamo dei paramilitari pronti a intervenire perché anche loro vogliono far cadere il governo. Oggi è tutto calmo ma siamo sull'orlo della guerra civile», aveva detto l'attivista, non senza precisare che «con i grillini ci rivedremo. Siamo alleati».
Millanterie, probabilmente, ma che hanno fatto il giro del mondo, costringendo prima lo stesso Chalençon a una claudicante rettifica («Non volevo chiamare al colpo di Stato, denunciavo solo il rischio della violenza crescente»), poi lo stesso Luigi Di Maio a prende re le distanze.
«C'è stata un'interlocuzione con una realtà complessa, ma noi non abbiamo intenzione di dialogare con quell'anima che parla di lotta armata o la guerra civile. Chi presenterà quella lista dovrà essere una persona che crede nella democrazia per cambiare le cose», ha spiegato il vicepremier italiano.
E, per far capire bene che i toni barricaderi con cui fino a poche settimane fa veniva sfidata Parigi sono archiviati, il ministro del Lavoro ha addirittura dato il bentornato al diplomatico transalpino che era stato allontanato in protesta contro di lui: «Sono contento che stia tornando l'ambasciatore francese in Italia, a cui chiederò un incontro. Intanto gli do il bentornato», ha detto Di Maio. Caso chiuso, quindi. Almeno fino al prossimo caso diplomatico.





