2023-11-19
Trump può scardinare i dogmi green e l’«Economist» evoca l’Apocalisse
Il settimanale degli Elkann scende in campo contro The Donald: «Il più grande pericolo mondiale nel 2024». E immagina solo guai se venisse rieletto. Quando rovina i loro interessi, la democrazia diventa fastidiosa.Fermi tutti! L’Economist ha scoperto il degno erede di Pol Pot. Secondo il settimanale britannico di proprietà degli Elkann, Donald Trump sarebbe nientemeno che «il più grande pericolo per il mondo nel 2024». D’altronde, l’antipatia della testata per l’ex presidente americano è nota da tempo, tanto che, a ottobre 2020, il magazine aveva dato il proprio endorsement a Joe Biden in vista delle elezioni di allora. Oggi l’Economist ci dice che, se Trump tornasse presidente, Vladimir Putin sarebbe incentivato a proseguire la guerra in Ucraina e ad aggredire la Moldavia e i Paesi baltici. Eppure, quando Trump era alla Casa Bianca, Putin non si è azzardato a toccare Kiev (come invece ha fatto ai tempi di Barack Obama nel 2014 e con Biden a partire dall’anno scorso). Inoltre Trump, pur cercando di cooperare con Mosca sul Medio Oriente, adottò misure non esattamente favorevoli al Cremlino: sanzionò il gasdotto Nord Stream 2, chiuse il consolato russo di Seattle e si ritirò dal controverso accordo sul nucleare iraniano (caldeggiato da Mosca). Chi invece ha revocato le sanzioni al Nord Stream 2 e ha tentato di ripristinare l’intesa con Teheran è stato proprio il beniamino dell’Economist, Joe Biden, che - a causa della sua irresolutezza - ha azzoppato la capacità di deterrenza americana nei confronti della Russia. Il settimanale prosegue, sostenendo che, se tornasse alla Casa Bianca, Trump appoggerebbe, sì, alacremente Israele, ma che ciò susciterebbe conflitti nella regione mediorientale. In realtà, il Medio Oriente è stato in fiamme ai tempi di Obama e lo è oggi con Biden. Trump, al contrario, quell’area era riuscito in gran parte a stabilizzarla grazie agli accordi di Abramo da lui mediati nel 2020. Fonte di instabilità si è invece rivelata la politica di appeasement verso l’Iran portata avanti prima da Obama e poi dall’attuale presidente americano. Il settimanale va avanti con un vecchio classico, affermando che Trump minaccia di «distruggere la Nato». Eppure, fu proprio Trump, nel dicembre 2019, a criticare un altro beniamino dell’Economist, come Emmanuel Macron, che aveva definito l’Alleanza atlantica «cerebralmente morta». Ma non è finita qui. Il settimanale sostiene che Trump abbandonerebbe Taiwan nelle mani di Xi Jinping. Ipotesi interessante. Peccato che, ad agosto 2019, il Dipartimento di Stato Usa, guidato da Mike Pompeo, approvò la vendita a Taipei di 66 caccia per un valore di 8 miliardi di dollari: una mossa che irritò notevolmente Pechino. Non solo: a maggio 2020, l’amministrazione Trump criticò l’Oms per aver escluso Taiwan dalla sua assemblea annuale. Un altro luogo comune rispolverato dall’Economist è che Trump potrebbe abbandonare l’Europa. Il settimanale degli Elkann dovrebbe allora ricordare che cosa accadde ad agosto 2021. Nel pieno del caos esploso dopo la caduta di Kabul, gli alleati del G7 chiesero a Biden di ritardare il ritiro definitivo delle truppe americane dall’Afghanistan: il loro obiettivo era quello di poter svolgere le operazioni di evacuazione in maggiore sicurezza. Eppure Biden chiuse loro la porta in faccia, cedendo platealmente alle pressioni dei talebani.Un ulteriore «grande classico» tirato fuori dal settimanale è che la politica di Trump sarebbe «disancorata dai valori». Magari è così. Tuttavia, a giugno 2020, l’allora presidente repubblicano firmò una legge volta a colpire la persecuzione cinese ai danni degli uiguri nello Xinjiang. Invece, a novembre dell’anno scorso, l’Economist se ne uscì con un articolo in difesa dei mondiali di calcio in Qatar: non esattamente un Paese all’avanguardia nel rispetto dei diritti umani. Dulcis in fundo, si fa per dire, una vittoria di Trump provocherebbe, per l’Economist, il declino dell’«autorità morale» americana. A proposito di autorità morale: ma delle donne afgane lasciate da Biden e da Kamala Harris alla mercè dei talebani non parla più nessuno? Sì lo sappiamo: qualcuno ora alzerà il ditino, dicendo che l’accordo per il ritiro dall’Afghanistan lo aveva negoziato Trump nel 2020. Peccato però che Biden avrebbe potuto rinegoziarlo o addirittura cassarlo. E comunque la gestione dell’evacuazione e delle sue conseguenze ricade totalmente sotto la responsabilità dell’attuale inquilino della Casa Bianca (che, in fin dei conti, era entrato in carica a gennaio 2021). A pensar male, il sospetto è che tutto questo astioso coacervo di luoghi comuni messo insieme dal settimanale abbia una sola ragione. Forse ai suoi proprietari non piace Trump perché, facendosi portavoce di molti colletti blu della Rust Belt, è scettico sull’auto elettrica. Forse i suoi proprietari non apprezzano Trump anche perché quest’ultimo sta cercando di farsi interprete dei timori, nutriti soprattutto dalla classe operaia di Michigan e Pennsylvania, nei confronti di un certo ambientalismo ideologico. Non è un mistero che gli Elkann abbiano effettuato investimenti nel settore delle rinnovabili e che abbiano schierato in senso pesantemente green il proprio impero mediatico. Tra l’altro, come ha scritto ieri Maurizio Belpietro su queste colonne, il segretario della Cgil, Maurizio Landini, rilascia interviste a Repubblica parlando di presunti attacchi alla democrazia da parte del governo Meloni, ma non sembra altrettanto battagliero sui tagli di Stellantis alla produzione in Italia. D’altronde, anche l’avversione dell’Economist al protezionismo di Trump potrebbe risultare vagamente interessata. Ricordiamo che, appena lo scorso ottobre, proprio Stellantis ha acquisito una partecipazione del 20% nell’azienda cinese, specializzata in veicoli elettrici, Leapmotor. Insomma, forse Trump è veramente il più grande pericolo del 2024. Ma non per il mondo, semmai per gli interessi degli Elkann.