2018-06-29
Due sberle per Berlino: Trump invita Conte e tende la mano a Putin
Il presidente Usa attacca ancora l'export Ue a trazione tedesca. L'asse con Roma e Mosca spaventa Angela Merkel.Nel suo quarto Bollettino, la Bce mette in guardia dal rischio che «l'Italia possa modificare la riforma pensionistica». Proprio un punto chiave del programma gialloblù.Lo speciale contiene due articoliChe Donald Trump non ami particolarmente l'Unione Europea, non è certo un mistero. È dai tempi della campagna elettorale che il presidente Usa la accusa di scorrettezze commerciali, oltre che di non contribuire adeguatamente alle spese della Nato. E i recenti dazi imposti da Washington vanno d'altronde esattamente in una direzione non troppo amichevole. Ciononostante, non è forse del tutto vera la vulgata che vuole il presidente americano un acerrimo e totale nemico dell'Europa. A chiarire in un certo senso la situazione è del resto stato lo stesso miliardario due giorni fa, quando - parlando in occasione di un comizio in North Dakota - ha dichiarato: «Amiamo i paesi dell'Unione europea. Ma l'Unione europea, ovviamente, è stata istituita per trarre vantaggio dagli Stati Uniti. E, lo sapete, non possiamo permettere che ciò accada». Parole chiare, insomma, che denotano come, da parte del presidente americano, non ci sia tanto un odio cieco verso il Vecchio Continente, quanto - semmai - un'avversione verso le istituzioni dell'Unione. E, nello specifico, una non celata ostilità nei confronti della Germania. Non a caso, nel suo comizio Trump ha aggiunto: «Perché mandano la Mercedes, mandano le Bmw, inviano i loro prodotti e quando gli mandiamo loro delle cose, loro dicono “No, grazie, non prendiamo il vostro prodotto". Per tutti voi liberi commercianti là fuori, quello non è il libero scambio, è uno stupido commercio». Un riferimento neppure troppo velato all'industria automobilistica tedesca. Non è una novità che il presidente consideri Berlino tra i principali nemici commerciali dello Zio Sam. Non dimentichiamo d'altronde che il consigliere al commercio del presidente, il mercantilista Peter Navarro, nutra storicamente ostilità per Cina e Germania, da lui accusate di pratiche commerciali scorrette. Alla luce di tutto questo, è chiaro come, agli occhi di Trump, l'Unione Europea appaia nulla più che uno strumento politico-economico nelle mani della cancelliera, Angela Merkel. Una convinzione, forse non del tutto infondata, che si colloca alla base della sua freddezza verso le istituzioni dell'Unione. Una freddezza che non si trasferisce tuttavia ai singoli Paesi del Vecchio Continente, con cui il magnate sembra voler intrattenere delle relazioni possibilmente amichevoli e proficue. Si pensi soltanto all'intesa venutasi recentemente a creare con il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, il quale - non a caso - è stato invitato alla Casa Bianca il prossimo 30 luglio. «Insieme gli Stati Uniti e l'Italia cercheranno di approfondire la cooperazione nel fronteggiare i conflitti globali e promuovere la prosperità economica tra le due sponde dell'Atlantico», ha dichiarato la Casa Bianca in una nota con cui ha ufficializzato la visita. In altre parole, Trump sembrerebbe vedere nell'Italia un possibile partner economico da usare magari in funzione anti tedesca. Inoltre, nei giorni scorsi, il magnate non ha nascosto la sua approvazione per la stretta attuata dal nuovo governo italiano in tema di immigrazione. In tutto questo, si comprendono alcuni punti nodali della strategia adottata da Trump verso i Paesi europei. In primo luogo, il presidente americano predilige - ancora una volta - il bilateralismo al multilateralismo (si pensi solo al G7 tenutosi poche settimane fa in Canada). In secondo luogo, il principale avversario che il magnate scorge al di là dell'Atlantico non è l'Europa in sé ma - semmai - una Europa «germanizzata». Anche per questo, ai continui proclami di Angela Merkel a favore del free trade (il libero commercio), Trump replica costantemente invocando il fair trade (il giusto commercio). E' d'altronde in quest'ottica che il presidente usa il bilateralismo: per scardinare l'influenza tedesca (economica e politica) sul Vecchio Continente. Infine, non bisogna dimenticare che, sullo sfondo dei rapporti con l'Europa, si stagli un'ulteriore questione: quella delle relazioni diplomatiche tra Washington e Mosca. Proprio in questo senso, è stato ufficializzato un summit bilaterale tra Trump e il presidente russo, Vladimir Putin, per il prossimo 16 luglio a Helsinki (in Finlandia). È noto che, dall'inizio del suo mandato, il miliardario newyorchese avrebbe intenzione di avviare un disgelo verso il Cremlino. Un disgelo tuttavia più volte inceppatosi nel corso dei mesi: parte cospicua dell'establishment statunitense (dall'intelligence all'esercito) non ne ha mai voluto sapere ed ha a più riprese utilizzato l'inchiesta Russiagate per mettere i bastoni tra le ruote al presidente sulla questione. Adesso, bisognerà vedere se questo vertice, che ha spiazzato e non poco le diplomazie continentali, aprirà ad una vera svolta geopolitica. Una svolta auspicata da più parti, visto che alcuni Paesi europei stanno mostrando una certa propensione per favorire il dialogo tra le due potenze: dall'Austria di Sebastian Kurz allo stesso governo italiano. Anche perché è chiaro che, per molti Stati del Vecchio Continente, una distensione tra Washington e Mosca potrebbe in qualche modo preludere ad allentare quelle sanzioni economiche anti russe che colpiscono indirettamente numerose aziende europee. D'altronde, l'incontro tra Trump e Putin è stato salutato con favore dallo stesso segretario generale della Nato (di cui gli Usa sono i maggiori sostenitori economici), Jens Stoltenberg, che non a caso ha dichiarato: «Accolgo con favore l'incontro tra il presidente Trump e il presidente Putin, perché credo nel dialogo e l'approccio della Nato nei confronti della Russia è quello del doppio binario dove il dialogo è segno di forza e non di debolezza». «Non vogliamo una nuova guerra fredda né l'isolamento della Russia», ha aggiunto Stoltenberg. Di certo è ancora prematuro per dirlo. Ma l'immagine (un po' semplicistica) del Trump anti-europeo potrebbe forse essere ben presto sfatata. Stefano Graziosi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/due-sberle-per-berlino-trump-invita-il-premier-e-tende-la-mano-a-putin-2582171771.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pizzino-bce-non-toccate-la-fornero" data-post-id="2582171771" data-published-at="1760552055" data-use-pagination="False"> Pizzino Bce: non toccate la Fornero La riforma Fornero non si tocca. È questo il messaggio, poco tecnico e molto politico, che si legge tra le righe del quarto Bollettino economico pubblicato ieri dalla Banca centrale europea. Uno strale lanciato proprio nel giorno dell'apertura a Bruxelles del Consiglio europeo, che segna di fatto il debutto a livello internazionale del governo legastellato. Francoforte manda un messaggio ben preciso al nostro Paese: come si legge nel testo, esiste il «rischio concreto che alcuni Paesi (come ad esempio l'Italia e la Spagna) decidano di fare marcia indietro sulle riforme pensionistiche approvate in precedenza». La Bce aggiunge che per quei Paesi che presentano un alto debito pubblico è di fondamentale importanza «adottare ulteriori politiche e incrementare gli sforzi nel conseguire le riforme strutturali nei settori delle pensioni, della sanità e dell'assistenza di lunga durata». Gli analisti osservano inoltre che, se l'andamento demografico e quello macroeconomico si dovessero discostare dalle aspettative, ciò si tradurrebbe nella necessità di sostenere un costo legato all'invecchiamento della popolazione maggiore del previsto. La Bce sceglie dunque di intervenire a gamba tesa su un tema prettamente politico e nonostante le rassicurazioni del premier Giuseppe Conte e del ministro Paolo Savona sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. Un attacco rivolto a quello «stop alla riforma Fornero» messo nero su bianco nel contratto di governo sottoscritto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini e che rappresenta un architrave del programma dell'esecutivo. «Occorre provvedere all'abolizione degli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla riforma delle pensioni cosiddetta «Fornero», stanziando 5 miliardi per agevolare l'uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse», si legge nella versione definitiva dell'accordo tra Lega e 5 Stelle. «Daremo fin da subito», prosegue il testo, «la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell'età e degli anni di contributi del lavoratore è almeno pari a 100, con l'obiettivo di consentire il raggiungimento dell'età pensionabile con 41 anni di anzianità contributiva, tenuto altresì conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti». L'attacco della Bce non deve stupire, dal momento che quella riforma fu voluta e caldeggiata proprio da Francoforte nel 2011. Nella famosa lettera che spianò la strada al governo Monti, Jean Claude Trichet e Mario Draghi raccomandavano al nostro Paese di «intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l'età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012». Consigli non richiesti forniti lo stesso anno anche dall'Ocse, che nel suo rapporto Pensions at a glance osservava che «la combinazione tra la bassa età di uscita dal mercato del lavoro e l'alta aspettativa di vita portano ad una lunga durata del periodo di quiescenza», aggiungendo che «il successo della riforma dipenderà dall'abilità di incrementare la durata dell'età lavorativa». Chi non ricorda le lacrime versate da Elsa Fornero a reti unificate mentre annunciava al popolo italiano le misure drastiche previste dalla riforma eterodiretta che porta il suo nome? Ma oltre a una frattura sociale senza precedenti nella storia repubblicana, quella legge ha generato anche delle inaspettate conseguenze economiche negative. La copertura delle salvaguardie (ovvero i provvedimenti volti a tutelare gli esodati), secondo uno studio del 2016 redatto dall'Ufficio parlamentare di bilancio, costerà agli italiani 11,4 miliardi nell'arco di un decennio, polverizzando il 13% dei risparmi generati dalla stessa riforma. Prolungare l'età lavorativa ha infine reso più difficoltoso l'ingresso delle fasce più giovani nel mondo del lavoro, come testimoniano gli ultimi dati sulla povertà diffusi dall'Istat appena qualche giorno fa. Più che il ministro, si capisce dunque che a piangere per quella legge sono stati gli italiani. Antonio Grizzuti
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 15 ottobre 2025. Ospite Daniele Ruvinetti. L'argomento di oggi è: "Tutti i dettagli inediti dell'accordo di pace a Gaza".