La Festa in Francia dove si è consumata la vicenda (Ansa)
Punte per strada durante la Festa della musica. Gli esami dovranno dimostrare se dentro ci fossero sonniferi o stupefacenti dello stupro. È la nuova versione della Taharrush gamea che abbiamo già visto a Capodanno.
Il luogo del ritrovamento del corpo di Alessandro Coatti, nel riquadro (Ansa)
Continuano le indagini sul caso del ricercatore ucciso e fatto a pezzi in Colombia. Alessandro Coatti era un biologo molecolare originario di Ferrara che si trovava in vacanza a Santa Marta, nel Dipartimento di Magdalena nel nord del Paese sudamericano.
La testa e le braccia del ricercatore italiano sono state ritrovate all’interno di una valigia nei pressi dello stadio della città colombiana, mentre altre parti del corpo sono state rinvenute in un quartiere periferico della cittadina balneare. Il caso ha scosso una delle regioni più turistiche del turbolento stato sudamericano, sia per la ferocia che per il fatto che colpisce un turista arrivato da pochi giorni in città. Il sindaco di Santa Marta ha messo a disposizione una ricompensa di 50 milioni di pesos ( 10 mila euro) per chiunque possa dare informazioni per la risoluzione di questo caso che rischia di distruggere il tessuto economico della provincia. Alessandro Coatti era arrivato da pochi giorni dall’Ecuador e l’ultima volta era stato visto sabato sera in un locale del lungomare di Santa Marta. In questa area si combattono due principali gang criminali che si scontrano da anni per il commercio della cocaina, il racket dei rapimenti ed anche il traffico di organi. Nell’ultimo anno nel Dipartimento di Magdalena ci sono stati ben 13 omicidi proprio per rubare organi da rivendere al mercato nero e non è escluso che possa proprio essere questa la motivazione che ha portato alla morte di Alessandro Coatti, come ha anche dichiarato un suo zio ad un quotidiano locale in Italia. Fino ad oggi si è sempre trattato di omicidi di gente del posto, spesso contadini di villaggi isolati, e per questo motivo l’assassinio di un turista potrebbe aprire una fase nuova nel delicato equilibrio colombiano. Le Forze Conquistatrici di Autodifesa della Sierra, noti come Pachencas, hanno infatti rotto solo cinque giorni fa l’accordo con il governo di Bogotà tornando alla lotta armata. Il presidente Gustavo Petro aveva fatto dell’accordo con questi paramilitari e narcotrafficanti, che destabilizzano la regione da anni, uno dei punti di forza del suo programma elettorale. La destituzione di questi miliziani faceva parte di un accordo quadro che prevedeva la resa dei cinque principali gruppi di guerriglieri che Bogotá combatte da anni. La realtà però è ben diversa e molti guerriglieri si sono messi in proprio creando un microcosmo di gang criminali particolarmente agguerrite ed organizzate . Nella regione di Santa Marta l’altro principale gruppo criminale attivo da anni si chiama Gruppo di Autodifesa Gaitanista meglio conosciuto come Clan del Golfo che spesso trova fragili alleanze con i governativi proprio per combattere le milizie di Autodifesa della Sierra. Anche in questo caso si tratta di narcotrafficanti e tagliagole che arruolano i propri uomini assaltando i carcere delle principali città della Colombia. I Pachecas hanno rotto l’accordo di pace accusando l’esercito nazionale colombiano di aver ucciso tre miliziani per vendetta, dopo che avevano deposto le armi. Ma il vero motivo sta nel fatto che l’ormai ex Clan del Golfo agisce impunemente spalleggiato dalle forze armate colombiane e sta occupando tutto il territorio un tempo controllato dai Pachecas. Il portavoce di questi ribelli ha dichiarato che il governo se vuole trattare dovrà garantire alcune zone da mantenere sotto controllo e totale impunità per le azioni compiute in questa regione. Questo gruppo sembra che prenda ancora ordini dal vecchio leader Hector Giraldo, dal 2021 in carcere in Colombia, dopo 12 di detenzione negli Stati Uniti, che vorrebbe negoziare la sua pena con il presidente Petro. Una guerra che resta ancora aperta quella tra Bogotà ed i narcotrafficanti che restano uno stato nello stato in Colombia. Un mosaico complesso ed articolato nel quale potrebbe essere finito suo malgrado Alessandro Coatti che non aveva nessun tipo di contatto con la criminalità locale, come ha sostenuto anche la magistratura colombiana.
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Lo speciale contiene due articoli.
2025-03-18
Operazione della GdF a Catania: sequestrati al narcotraffico beni per 7,7 milioni di euro
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(Guardia di Finanza)
Le fiamme gialle hanno sequestrato una partita di 215 kg di cocaina nel porto etneo. Misure cautelari per 6 indagati.
Nell’ambito di complesse attività di indagine coordinate dalla Procura Distrettuale della Repubblica, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito, con il supporto di unità della Compagnia Pronto impiego Catania (Baschi Verdi e unità cinofile) nonché del Nucleo PEF di Reggio Calabria e del Gruppo Locri (RC), l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale ha disposto misure cautelari personali nei confronti di 6 persone, ritenute responsabili, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, di un’intensa attività di narcotraffico con importazioni dall'estero e con l'aggravante dell'ingente quantitativo.
Contemporaneamente, è stata data esecuzione a un decreto d’urgenza emesso dal Pubblico Ministero inquirente che ha disposto il sequestro preventivo di denaro e beni nella disponibilità degli indagati per un valore complessivo di circa 7,7 milioni di euro.
Le investigazioni, svolte da unità specializzate del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania – Gruppo Operativo Antidroga del G.I.C.O., anche mediante attività tecniche, acquisizione di dati e notizie tramite banche dati in uso al Corpo, servizi di osservazione e riscontro, hanno riguardato un gruppo criminale dedito all’importazione via mare dal Sudamerica di grandi partite di cocaina e alla successiva esfiltrazione dal porto di Catania, grazie a collaudate tecniche di occultamento della droga e a studiati metodi di recupero degli stupefacenti.
All’esito sono state acquisite molteplici evidenze che hanno permesso, per la prima volta, di fare piena luce sulle dinamiche criminali all’interno dello scalo portuale catanese.
In particolare, è stata individuata la figura di un soggetto condannato nel 2010 per narcotraffico e di suo figlio, entrambi operanti in quell’area in qualità di dipendenti della predetta società. È stato inoltre appurato che il primo avrebbe avuto rapporti con esponenti di spicco del clan Pillera/Puntina e in particolare con un soggetto già condannato per associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con sentenza del Gip di Catania del 2007.
Nonostante le numerose cautele adottate ogni giorno dagli indagati, le attività di intercettazione e i servizi di pedinamento e di osservazione dei finanzieri etnei avrebbero consentito di accertare, ferma restando la presunzione d’innocenza valida ora e fino a condanna definitiva, la sistematica attività di padre e figlio nel settore del narcotraffico e di individuare altri soggetti che li avrebbero coadiuvati, definendone i ruoli. A questo riguardo, sarebbero state acquisiti gravi indizi con riferimento ad almeno tre episodi di importazione di ingenti quantitativi di cocaina, per un peso complessivo di oltre 215 kg oltre ad iniziativa non concretizzatasi, di importare una partita di droga di 300 kg.
Il sistema, particolarmente rodato, si sarebbe caratterizzato per l’introduzione nel porto della droga tramite occultamento in doppi fondi ricavati all’interno di container utilizzati per l’importazione di frutta dal Sudamerica. Una volta arrivato in porto e scaricato sulla banchina, il container sarebbe stato poi trasportato verso la sede/deposito della società di gestione dei servizi portuali nella zona industriale di Catania, dove sarebbero state effettuate le operazioni di manipolazione necessarie ad estrarre il narcotico, da consegnare ai destinatari previo pagamento di una percentuale del 30/40% della quantità importata per il servizio reso.
Sulla scorta di quanto ricostruito dal Nucleo PEF di Catania, il Gip di Catania, su richiesta della locale Procura, ha ritenuto dunque sussistente un grave quadro indiziario a carico degli indagati disponendo l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di 6 indagati.
I finanzieri hanno dato esecuzione a un decreto d’urgenza, emesso dal Pubblico Ministero inquirente, di sequestro preventivo, anche per equivalente del denaro e dei beni mobili e immobili di proprietà o nella disponibilità dei principali indagati fino a raggiungimento della somma di 7,7 milioni di euro, corrispondente al profitto o prodotto derivante dal traffico di sostanze stupefacenti.
L’attività investigativa si colloca nel più ampio quadro delle attività svolte dalla Procura della Repubblica e dalla Guardia di finanza di Catania per il contrasto del traffico organizzato e dello spaccio di sostanze stupefacenti a tutela della cittadinanza e, in particolar modo, delle fasce più deboli della popolazione.
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